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Corigliano-Rossano chiama Vibo Valentia. La triste storia dell’Italcementi (di Pino Tassi) #finsubito finanziamenti e gestione bed & breakfast #finsubito finanziamenti e gestione bed & breakfast


CORIGLIANO-ROSSANO CHIAMA VIBO VALENTIA. LA STORIA DELL’ITALCEMENTI

di Pino Tassi

Corigliano-Rossano chiama Vibo Valentia, così come potrebbe chiamare Praia a Mare o Castrovillari o Catanzaro Sala eccetera eccetera. Oggi le luci della ribalta sono accese sull’affaire Baker Hughes a Rossano ovvero la multinazionale che pretende mezzo porto tutto per se per costruirvi ben quattordici capannoni industriali, di cui due  di dimensioni megagalattiche capaci di  contenere le mega-costruzioni che verranno realizzate e il centro di smistamento di tutte le pale eoliche che Occhiuto vorrebbe realizzare sullo Jonio.

Il presidente, l’autorità portuale, la Confindustria, e naturalmente i sindacati venduti approvano il progetto e mettono a disposizione ben quattro banchine del porto di Schiavonea per il megaprogetto. Occhiuto sostiene – è stato decifrato con i sottotitoli – che bisogna incentivare l’arrivo dei grandi gruppi industriali e accettare tutti i loro progetti perché la nostra regione ha bisogno di investimenti e lavoro. E se il Comune (guidato da colui che con tutta probabilità gli darà battaglia alle prossime Regionali) chiede di discutere del progetto e della collocazione dei capannoni si scatena una campagna critica feroce tendente a raffigurare il sindaco come un irresponsabile e pure mezzo pazzo. Come se lui, il presidente-parassita, fosse la bocca della verità, lui che non ha mai lavorato un giorno in vita sua…

In questa campagna brillano politici di ogni dove, opinionisti da urlo, industriali e loro organizzazioni e purtroppo anche sindacati e sindacalisti. Il ritornello è sempre lo stesso: lavoro (sic!), sviluppo (doppio sic!), progresso (sic al cubo!). E poiché noi comuni mortali abbiamo la memoria labile, allora ci si dimentica della storia dell’ex centrale Enel a Rossano che voi avete ricordato perfettamente e a Vibo Valentia ci si dimentica della storia del Cementificio che è lì chiuso e abbandonato a se stesso da oltre un decennio.

Il Cementificio di Vibo  Marina  nasce da un’iniziativa della società italiana per la produzione di “Calce e cementi Segni” negli anni Quaranta, viene avviato solo nel 1944, si espande nel dopoguerra con l’apertura  di un secondo forno nel 1949, dopo il terzo forno nel 1961 e il quarto nel 1967. Nel 1973 subentra l’Italcementi e il cementificio negli anni successivi vuoi per la concorrenza, vuoi per il costo alto  dell’olio combustibile, pian piano entra in crisi e  l’Itacementi per tentare di renderlo competitivo inizia a pretendere dal Comune  tutta una serie di lavori che portano  allo sconvolgimento di quella realtà.

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Vibo Marina per chi non l’avesse mai visita è una splendida località marina con clima mite tutto l’anno, pianeggiante e con un bellissimo lungomare, inserita nel cuore della Costa degli Dei tra Pizzo Calabro e Tropea. E’ stata la località balneare preferita dalla borghesia vibonese negli anni Sessanta e Settanta, quando ancora Tropea era poco conosciuta e Capo Vaticano era un’immensa campagna. Purtroppo scelte folli hanno portato ad asservire un territorio a scelte discutibili come anche la collocazione nel suo porto dei depositi petroliferi.

Sempre la convinzione dell’industrialismo a tutti i costi, della difesa del lavoro eccetera eccetera ha portato ad accettare per decenni le richieste dell’Italcementi, dagli sbancamenti facili ai collegamenti stradali che hanno ferito il territorio, per non parlare dei rischi ambientali legati a questa attività. Nel 1985 l’Italcementi decide di passare dall’alimentazione  ad olio combustibile al petcopke, il carbone per intenderci.

All’epoca ero responsabile di zona del PCI e all’arrivo della prima nave carica di carbone espressi forte preoccupazioni per il pericolo di inquinamento. Titolava la Gazzetta del Sud: “Tassi: Temiamo seriamente l’inquinamento”. Nell’intervista  chiedevo di fare studi approfonditi sospendendo per il momento l’arrivo delle navi, si aprì un fronte ampio e trasversale di improperi e invettive. L’accusa più “benevola” rivoltami fu di essere un irresponsabile. Il sindaco del tempo intervenne affermando che non vi erano pericoli di sorta in quanto l’Italcementi aveva rassicurato sulle misure messe in atto a difesa dell’ambiente. Nonostante tutti i cambiamenti e gli interventi fatti l’Italcementi di Vibo Valentia sopravvisse con una esistenza stentata riducendo man mano le forze lavoro impegnate.

Si arriva al 2012 e l’Italcementi annuncia l’ennesima riconversione dell’impianto affidando alla prestigiosa società Numisma di studiare il futuro dell’ impianto. La Numisma tira fuori ben sei progetti, il più consistente dei quali prevedeva la trasformazione dello stesso in  un impianto di Css (Combustibile solido secondario). Una specie di inceneritore. Voi non ci crederete ma anche questo folle progetto trovò gran parte delle forze politiche e sindacali a favore asserendo che le  ricadute ambientali sarebbero state quasi nulle sul territorio. Anche allora una delle poche voci critiche fu la mia. Calabria Ora  titolo a nove colonne : “Italcementi e cdr: Tassi e Sel uniche voci fuori dal coro” (il PCI era stato sciolto e anche il PDS e poi i Ds. E di certo non sarei mai entrato nel PD). Non è questa la soluzione per il problema, dichiarai a suo tempo. Il nascente Pd che inizialmente si era dichiarato contrario cambiò subito rotta con la motivazione: “… Perdere questa battaglia non significa solo staccare la spina ad 82 famiglie e neppure solo calpestare la dignità  di uomini che amano il proprio lavoro ed hanno dedicato tutta la vita ad Italcementi…. Non possiamo rimanere insensibili  difronte al richiamo, deciso e forte, del nostro vescovo, che ha chiesto  a noi tutti di fare il possibile  per salvare il salvabile”. Ancora una volta Italcementi valuta, sceglie e impone. Purtroppo il salvabile non fu salvato nonostante la genuflessione di tutti gli interlocutori.

Dopo appena due anni dal rapporto Numisma si arriva all’annuncio dell’Italcementi della chiusura dello stabilimento di Vibo Valentia. La politica e l’amministrazione comunale prendono atto della decisione dell’Italcementi che ha fatto per decenni tutto quello che ha voluto senza trovare nessuna contrapposizione. Nessuno si alza a dire non puoi chiudere perché ti abbiamo dato tutto. Anche qui solo il sottoscritto chiede al governo Letta  il commissariamento dell’impianto per verificarne le condizioni e verificare  la disponibilità di nuovi acquirenti e in alternativa creare una partnership pubblico/privato. Anche perché il gruppo Pesenti macinava utili su utili in tutta Italia, era diventato una grossa multinazionale. Infatti 50 dei lavoratori occupati presso lo stabilimento di Vibo Marina furono costretti ad accettare il trasferimento in altre realtà. Ma nessuno si interessò più dei lavoratori.

In più lanciavo una sfida al presidente dell’epoca Scopelliti di non fare solo parole ma fatti. “Invece di fare proclami sul futuro di Vibo Marina  in campo turistico, si metta in movimento  considerato che ne ha il potere”. E gli suggerivo anche alcune soluzioni: “Inserisca Vibo Marina nel piano regionale della crocieristica e avvii due progetti con i fondi Cee. Il primo per realizzare le autostrade del mare con collegamenti stabili con i porti del Nord e centro Italia e con le Isole Eolie. Il secondo per fare di Vibo Marina un “paese albergo”, con finanziamenti per la nascita di nuove strutture ricettive e la trasformazione di case private in strutture ricettive tipo Bed & Breakfast”. Si tenga conto che stiamo parlando di oltre 11 anni fa e che ancora non c’era stato il boom dei B&B di oggi.

Sono trascorsi oltre  dodici anni dalla chiusura dell’Italcementi e nessun piano di recupero, bonifica, riconversione è stato realizzato fino al 2013. A fine 2013 c’è l’annuncio della  società MetalsReborn del gruppo Engitec Technologies Spa di aver acquisito metà dell’area del cementificio dove darà vita ad uno stabilimento a partire dal 2026 per la produzione  innovativa di zinco, ferro-lega e altre materie prime. Ma questa è un’altra storia di cui vedremo gli sviluppi. E speriamo bene. Ad oggi sta di fatto che l’Italcementi non ha provveduto a nessuna opera di bonifica di tutta l’area di cui si era fatta carico. Naturalmente nessuna amministrazione che si è succeduta in questo decennio ha mai fatto sentire la sua voce. Speriamo che la nuova giunta Romeo intervenga con decisione su questo punto.

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Ho voluto raccontare la storia dell’Italcementi di Vibo Marina perché purtroppo la storia non insegna nulla e si ripetono sempre gli stessi errori. Sono sempre le grandi aziende, oggi la Baker Hughes, che  fanno e disfano a loro piacimento e gli interlocutori pubblici a partire dalla Regione finendo ai Comuni, passando per Confindustria e arrivando ai sindacati sono tutti ai loro piedi. Siamo tuttora una colonia dove ognuno può venire a imporre i suoi interessi. Per questo è importante la scelta di Flavio Stasi: si può aprire una pagina nuova, che non piace per niente ai politici corrotti e ai loro tirapiedi.

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