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Decreto Piantedosi e ONG all’attenzione della Consulta #finsubito prestito immediato


Con decreto legge n.1/2023 convertito in legge n.15/2023, recante disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori, è stato anche previsto un nuovo assetto giuridico per le ONG che trasportano i migranti nel nostro territorio nazionale. Il provvedimento di recente è stato esaminato dal Tribunale di Brindisi che ha sospeso l’efficacia del provvedimento di fermo dell’imbarcazione Ocean Viking e in data 10 ottobre 2024 ha inviato gli atti alla Corte costituzionale sollevando la questione di incostituzionalità in quanto non manifestamente infondata. Infatti, secondo il giudice, il provvedimento potrebbe essere in contrasto con la normativa internazionale e, in particolare, con la convenzione di Amburgo, nonché con gli artt. 2, 3,10, 25 e 117 della nostra Carta costituzionale. Per approfondire il tema dell’immigrazione consigliamo il volume: Immigrazione, asilo e cittadinanza

1. La legge n.15/2023 (conversione del c.d. decreto Piantedosi)


La legge n. 15/2023 che ha convertito il decreto legge n.1/2023 (c.d. decreto Piantedosi), reca disposizioni urgenti in materia di transito e sosta nelle acque territoriali delle navi non governative impegnate nelle operazioni di soccorso in mare.[1]
In sintesi, l’art. 1 mira a definire le condizioni in presenza delle quali le attività svolte da navi che effettuano interventi di recupero di persone in mare possono essere ritenute conformi alle convenzioni internazionali, con la conseguenza che, nei confronti di tali navi non possono essere adottati provvedimenti di divieto o limitazione al transito o alla sosta delle navi nel mare territoriale.[2]
Il provvedimento prevede, tra l’atro, che “il transito e la sosta di navi nel mare territoriale sono comunque garantiti ai soli fini di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità[…]”.[3]
Inoltre, “devono essere fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere”.
Secondo il provvedimento le navi che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare devono (art. 2- bis):

  • possedere le certificazioni e i documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera  “ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell’inquinamento, della certificazione e dell’addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita di vita e di lavoro a bordo”;
  • richiedere, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco;
  • raggiungere il porto di sbarco indicato dalle autorità senza ritardi, per completare il soccorso;
  • fare in modo che le operazioni di soccorso non aggravino le situazioni di pericolo a bordo e non impediscano tempestivamente il raggiungimento del porto di sbarco.

La norma stabilisce, poi, gli effetti della violazione del limite o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale, sostituendo alla precedente sanzione penale una sanzione amministrativa.
Nello specifico, la nuova disciplina prevede due ordini di comportamenti sanzionabili: il primo di cui al comma 2-quater riguarda la violazione della direttiva interministeriale eventualmente emessa ai sensi del comma 2 (la limitazione o il divieto di transito e sosta nelle acque territoriali); il secondo è invece descritto nel comma 2-sexies, attraverso l’individuazione di diverse fattispecie che sono sanzionate in modo meno grave. Quest’ultima norma prevede infatti uno specifico regime sanzionatorio applicabile quando:

  • il comandante o l’armatore non forniscono le informazioni richieste dall’autorità SAR (zone per le attività di ricerca e soccorso in mare- Search and Rescue) competente o dalla “struttura nazionale” per lo svolgimento delle attività di polizia di frontiera e contrasto all’immigrazione irregolare;
  • il comandante non aderisce alle indicazioni delle due autorità di cui sopra;
  • mancano le condizioni di cui al comma 2-bis (sopra citato) sulla base di un accertamento successivo all’assegnazione del porto di sbarco. [4]

 Alle due categorie di comportamenti corrispondono regimi sanzionatori differenti. La violazione della direttiva interministeriale comporta infatti il pagamento di una sanzione pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro, accompagnata dal fermo amministrativo della nave per due mesi; in caso di reiterazione della violazione il decreto prevede la confisca della nave, previo sequestro cautelare della stessa (cfr. comma 2-quinquies).
Nel secondo caso, invece, la sanzione pecuniaria va da 2.000 a 10.000 euro ed è accompagnata dal fermo della nave per un tempo inferiore, pari a 20 giorni, come nel caso esaminato dal Tribunale di Brindisi. In caso di reiterazione della violazione il fermo è invece più lungo, pari a 2 mesi, e in caso di ulteriore reiterazione si trasforma a sua volta in confisca, previo sequestro cautelare.
L’ultimo comma dell’art. 1 (il comma 2-septies) precisa che, sia nel primo che nel secondo caso, l’autorità competente all’irrogazione delle sanzioni è la forza di polizia procedente, mentre l’esame dei ricorsi amministrativi è affidata al Prefetto del luogo in cui la violazione viene accertata; in materia si applica, in quanto compatibile, la legge n. 689/1981 che contiene la disciplina generale delle sanzioni amministrative. Infatti, contro il fermo amministrativo della nave “è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al Prefetto che provvede nei successivi venti giorni”.  
Si applicheranno di conseguenza le procedure anche giurisdizionali e i tempi da quella norma previsti o richiamati (tra cui l’art. 6, d.lgs. 150/2011), ferma restando la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria per le impugnazioni delle sanzioni e di quella amministrativa per l’impugnazione del solo provvedimento interministeriale che dovesse intervenire limitando il transito o la sosta delle navi nelle acque territoriali italiane. Il ricorso al Tribunale di Brindisi nella fattispecie in esame si ritiene, pertanto, legittimamente presentato, diversamente da quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato.
Al fermo si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui all’art. 214 del codice della strada e viene anche introdotta una nuova sanzione amministrativa in caso di mancata risposta alle informazioni richieste o di mancata ottemperanza da parte delle navi alle indicazioni impartite.
Infatti, se le ONG violano le regole elencate, secondo il testo del decreto, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. La responsabilità solidale si estende all’armatore e al proprietario della nave, ai sensi dell’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n.689.
Sono, poi, previste sanzioni che vanno dai 2000 ai 10mila euro al comandante e all’armatore della nave che “non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità”.
Con il decreto in commento si opta, quindi, per la sostituzione del sistema sanzionatorio di carattere penale, previsto dal d.l. 21 ottobre 2020, n. 130 convertito in legge 18 dicembre 2020, n. 173, con il sistema sanzionatorio amministrativo, che si presenta per l’Amministrazione di maggiore agilità applicativa e per le ONG di più difficile contrasto.  Laddove, infatti, astrattamente si potrebbe salutare con favore la depenalizzazione delle condotte, ci si avvede invero che il nuovo sistema rende molto più ardua la verifica della legittimità delle scelte amministrative in tempi celeri. Tale scelta, come ben evidenziato anche in dottrina, appare diretta a sottrarre l’operato del governo al vaglio della giurisdizione penale che si è più volte espressa delimitando l’ambito di azione.[5]
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Obiettivo degli autori è quello di cogliere l’articolato e spesso contraddittorio tessuto normativo del diritto dell’immigrazione.Il volume, nel commento della disciplina, dà conto degli orientamenti giurisprudenziali e delle prassi amministrative, segnalando altresì la dottrina “utile”, perché propositiva di soluzioni interpretative utilizzabili dall’operatore (giudici, avvocati, amministratori, operatori nei diversi servizi).Il quadro normativo di riferimento di questa nuova edizione è aggiornato da ultimo alla Legge n. 176/2023, di conversione del decreto immigrazione (D.L. n. 133/2023) e al D.lgs n. 152/2023, che attua la Direttiva UE/2021/1883, gli ultimi atti legislativi (ad ora) di una stagione breve ma normativamente convulsa del diritto dell’immigrazione.Paolo Morozzo della RoccaDirettore del Dipartimento di Scienze umane e sociali internazionali presso l’Università per stranieri di Perugia.

Paolo Morozzo della Rocca | Maggioli Editore

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2. Le decisioni del Tribunale di Brindisi


La giudice civile del Tribunale di Brindisi Roberta Marra, nell’udienza del 14 marzo 2024, relativa al ricorso presentato dalla ONG Sos Mediterranée ha esaminato un provvedimento di fermo per venti giorni della nave Ocean Viking, per presunte violazioni del decreto Piantedosi.
Il contenzioso è scaturito quando, all’arrivo presso il porto di Brindisi, alla  citata imbarcazione è stata applicata dalla Questura di Brindisi, dalla Capitaneria di Porto e dalla Guardia di Finanza, la sanzione pecuniaria principale e quella accessoria del fermo amministrativo, ai sensi dagli artt. 1 comma 2-sexies, del decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 e 214 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per non avere osservato le indicazioni fornite dalla autorità competente per il coordinamento delle operazioni di soccorso, creando situazioni di pericolo.
 I ricorrenti, pagata la sanzione pecuniaria inflitta, hanno quindi impugnato il verbale di fermo amministrativo e di affidamento in custodia dell’imbarcazione; ne hanno chiesto la sospensione inaudita altera parte, e, nel merito, hanno eccepito il difetto di competenza dell’autorità italiana sull’operazione di soccorso in oggetto, avvenuta in acque internazionali; hanno, poi, negato che essa abbia creato una situazione di pericolo “a bordo” della nave, (art. 1, comma 2-bis, lett. f)) e hanno invocato lo “stato di necessità” che avrebbe imposto di portare a termine l’operazione di salvataggio, rilevando altresì la carenza di istruttoria da parte dell’Amministrazione prima dell’irrogazione della sanzione. Infine, hanno evidenziato il possibile contrasto fra la disposizione di diritto interno applicata dall’amministrazione ed il diritto internazionale consuetudinario e convenzionale che impone il salvataggio di vite in mare nonché l’obbligo di tutela della vita umana, sollecitando il Tribunale, per il caso in cui non fosse possibile fornire della disposizione una interpretazione costituzionalmente orientata, a sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione in oggetto. 
Oggetto del contendere è quindi il decreto del 20 febbraio scorso con cui la stessa giudice ha sospeso il fermo amministrativo disposto il 9 dello stesso mese per la nave Ocean Viking approdata a Brindisi con 261 migranti a bordo. Nel provvedimento adottato dal magistrato si legge che “l’opposizione appare sostenuta da un fumus di fondatezza in ordine alla possibile carenza di competenza di accertamento e sanzionatoria in capo alle autorità amministrative italiane”.[6]
Nel merito della questione il fermo del 9 febbraio è scaturito dalle comunicazioni delle autorità costiere della Libia, circa il comportamento imputato al comandante della Ocean Viking di non aver rispettato le loro indicazioni.
In particolare, sono state esaminate le fasi del salvataggio: il capitano della nave avrebbe disatteso gli ordini della capitaneria di porto libica – l’evento sarebbe avvenuto nelle acque Sar di questo Paese – ostacolando l’attività dell’autorità nord africana.
I legali della ONG hanno confutato questa ricostruzione, producendo le conversazioni in arabo e in inglese, tradotte, tra le due parti.[7] Pertanto, hanno depositato un fascicolo contenente anche le trascrizioni delle comunicazioni intercorse tra l’equipaggio della Ocean Viking e le autorità libiche durante i soccorsi per sostenere che la nave avesse avuto il via libera per operare e per fare poi rotta verso l’Italia. Inoltre hanno sollevato anche un problema di competenza delle autorità italiane in acque internazionali; infatti la nave di cui trattasi batte bandiera norvegese e per questo le autorità libiche avrebbero dovuto comunicare le eventuali violazioni alla Norvegia e non all’Italia.
L’avvocatura dello Stato ha contestato invece la competenza del giudice, in quanto il processo dovrebbe essere celebrato davanti a un giudice amministrativo. Per converso, i legali della Sos Méditerranée hanno ribadito più volte che la priorità, per il diritto internazionale, è la salvaguardia della vita umana; pertanto, hanno contestato direttamente la costituzionalità del decreto Piantedosi. Infatti la normativa italiana dovrebbe rispettare le convenzioni internazionali che hanno l’obiettivo prioritario di salvare vite umane in mare aperto.
La giudice Marra ha stabilito due mesi di tempo per decidere su tutte le questioni sollevate, anche su quelle di legittimità costituzionale. Nel dispositivo si legge infatti che “All’esito di ampia discussione su tutti i punti indicati il giudice sottopone al contradditorio delle parti la questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 2 sexies del decreto legge n.130/2020 nella parte in cui prevede che alla contestazione della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione, quale effetto automatico dell’applicazione della sanzione principale”.
Le parti hanno chiesto sul punto la concessione di un termine di almeno sessanta giorni per poter formulare le proprie difese, mentre la giudice si è riservata di provvedere sulle eccezioni di difetto di legittimazione attiva a proporre la controversia della Sos Mediterranée, sulla eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e sull’eccezione di improcedibilità del ricorso per il solo fermo amministrativo rinviando poi alla successiva udienza da fissarsi all’esito dello scioglimento della riserva.
Successivamente, con ordinanza in data 10 ottobre 2024, la stessa giudice del Tribunale di Brindisi ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale del decreto Piantedosi e ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale, oltre che alla presidente del consiglio, ai due presidenti delle Camere e alla procura della Repubblica di Brindisi.[8]
Secondo il giudice potrebbero essere stati violati in primo luogo gli artt. 10 e 117 della Costituzione concernenti gli obblighi imposti all’Italia di attenersi al diritto internazionale.
 Il punto controverso riguarda la dibattuta questione se la Libia debba essere considerata porto sicuro secondo le indicazioni della Convenzione di Amburgo del 2004, anche alla luce di numerose sentenze della Corte di Cassazione e la posizione espressa nel 2019 dall’alto Commissario ONU per i rifugiati.
Secondo la giudice brindisina “tale assunto sembra essere smentito da numerosi elementi di fatto, richiamati peraltro dalla giurisprudenza nazionale che, valorizzando la mancata ratifica di quel paese della Convenzione di Ginevra e l’ineffettività del diritto di accoglienza libico per le condizioni inumane e degradanti presenti nei centri di detenzione per i migranti, ha escluso la sicurezza dell’approdo dei migranti in Libia”.
Sulla base di questi presupposti relativi alla sicurezza dei porti, l’ordinanza sostiene la possibile violazione dell’applicazione del decreto Piantedosi degli obblighi imposti dal diritto internazionale sul divieto di respingimento dei migranti e sulla tortura, nonché dall’ordinamento nazionale sulla pace e giustizia tra i popoli, secondo i principi della Convenzione di Ginevra.
Infatti, secondo tale convenzione “Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”, normativa evidenziata nell’ordinanza de qua.
Altra questione di legittimità ritenuta rilevante è quella relativa all’automatismo tra la sanzione pecuniaria ed il fermo amministrativo perché sembrerebbe in contrasto con l’art.3 della Costituzione. Infatti la giudice rileva che “La disposizione appare censurabile in ragione dell’automatismo previsto dal legislatore nella sua applicazione in quanto la sanzione del fermo è prevista, oltre che per quella contestata nel caso in esame, anche per una molteplicità di condotte largamente eterogenee”. E a tale riguardo vengono citate come esempio la conformità alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle autorità dello Stato di bandiera, la mancanza di conformità agli stessi ai fini della sicurezza della navigazione, la prevenzione dell’inquinamento, la certificazione e l’addestramento del personale marittimo come anche le condizioni di vita e di lavoro a bordo.
Pertanto, il Tribunale di Brindisi ritiene che “Alla luce di tale eterogeneità delle fattispecie per le quali è prevista la medesima sanzione del fermo, sembra ancora più necessario che la norma incriminatrice preveda la possibilità per l’autorità giudiziaria di graduarne l’applicazione in ragione delle peculiarità del caso specifico. Tanto al fine di salvaguardare i principi di individuazione e proporzionalità della pena”.
Nel caso di specie, poi, secondo il tribunale, “La sanzione accessoria appare, peraltro, maggiormente afflittiva di quella principale, determinando a carico del comandante e dell’armatore della nave una rilevante lesione della propria sfera giuridica; molto più della sanzione pecuniaria, infatti, è il fermo dell’imbarcazione per venti giorni che maggiormente lede l’esercizio del diritto costituzionalmente tutelato e produce un rilevante danno economico al soggetto sanzionato”.
L’art.1, comma 2-sexies si pone pertanto in contrasto con l’art. 3 Cost.: il trattamento sanzionatorio comune previsto per situazioni di fatto non omogenee appare infatti contrario al principio di ragionevolezza, la cui osservanza garantisce altresì l’adeguatezza della risposta punitiva ai casi concreti e quindi il carattere “personale” della responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall’art. 27, primo comma; al contempo, la determinazione della pena può realizzare la sua finalità rieducativa (art. 27 Cost., terzo comma), nella materia penale come in quella amministrativa afflittiva, secondo i presupposti e i fini assegnati alla sanzione nel sistema costituzionale. Tanto è possibile solo laddove l’articolazione legale del sistema sanzionatorio renda possibile tale adeguamento individualizzato, proporzionale, delle pene inflitte con le sentenze di condanna, fornendo al giudice, nell’esercizio del suo apprezzamento, appropriati criteri di valutazione[9], sul presupposto che “l’attuazione di una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione più che l’uniformità”.[10]
L’art. 1, comma 2-sexies, in parte qua, appare pertanto in contrasto con il principio di determinatezza della fattispecie incriminatrice, corollario del principio di legalità (art. 25 Cost.), nella misura in cui, nel descrivere la condotta suscettibile di sanzione amministrativa, richiama per relationem l’ordine impartito dall’autorità incaricata di coordinare le operazioni di soccorso. 
Quindi, con la trasmissione dell’ordinanza alla Corte Costituzionale è stata ribadita la sospensione del giudizio in corso che vede costituiti il comandante, il legale rappresentante sella Sos Mediterranée France, l’armatore della nave, nonché i ministeri delle infrastrutture e dell’interno, la Guardia Costiera di Brindisi, la Questura di Brindisi, la Guardia di Finanza – Sezione Operativa Navale di Brindisi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale di Lecce.

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3. Conclusioni


In primo luogo, si ritiene che il divieto di soccorrere in mare i naufraghi potrebbe porsi in contrasto con l’art. 2 della stessa Costituzione secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, come rilevato anche dal Tribunale di Brindisi.
Imporre, poi, alle navi di soccorso di raggiungere senza ritardo il porto di sbarco per il completamento dell’intervento di soccorso di cui alle lettere d) ed f) dell’art. 1, comma 2-bis, del decreto legge n.1/2023 potrebbe determinare un’omissione di soccorso di cui all’art.593 del c.p., oltre che una violazione delle norme internazionali in materia.
Inoltre, il decreto Piantedosi potrebbe confliggere, come sostenuto anche dalla giudice di Brindisi,  con la convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (nota anche come SAR, acronimo di search and rescue) siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985; si tratta di un accordo internazionale elaborato dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), volto a tutelare la sicurezza della navigazione mercantile, con esplicito riferimento al soccorso marittimo.
Si osserva anche che il regolamento di attuazione della Convenzione di Amburgo (D.P.R. 28 settembre 1994, n.662) è il documento di coordinamento in materia di ricerca e soccorso in mare. Esso dispone l’organizzazione del sistema di soccorso secondo precisi criteri aderenti alla normativa internazionale.
L’evoluzione del principio generale del soccorso in mare si è avuta con l’art. 98, §1, della Convenzione delle Nazione Unite sul diritto del mare del 1982 (Unclos), intitolato “Obbligo di prestare soccorso”, che così dispone:

  • ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o suoi passeggeri:
    • presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
    • proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
    • presti soccorso, in caso di collisione, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata e qual è il porto più vicino presso cui fare scalo.

Pertanto si ritiene che il generico richiamo nell’art. 1, comma 2-bis, del citato decreto legge al rispetto delle convenzioni internazionali in materia non consenta di sanare i profili di illegittimità rilevati.
Con il provvedimento in esame unitamente al successivo decreto legge n.20/2023 convertito in legge n.50/2023 e al Trattato con l’Albania, il governo ha cercato di dare attuazione ad uno degli obiettivi più salienti del programma di governo e, cioè, al contrasto dell’immigrazione clandestina.
Tuttavia, tali disposizioni potrebbero non avere una reale efficacia deterrente e potrebbero determinare situazioni conflittuali con gli altri Paesi dell’Unione Europea.
Ma, soprattutto, si deve rilevare che il decreto in questione si pone in contrasto con le citate convenzioni internazionali in materia e, in particolare quella di Amburgo, che non possono essere derogate con un semplice provvedimento normativo di uno Stato aderente alle stesse convenzioni.
Pertanto, la normativa in esame potrebbe incorrere nella scure della Corte costituzionale, che è già stata interessata dal Tribunale di Brindisi e, soprattutto, della Commissione Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo
In conclusione, si ritiene che ostacolare il soccorso in mare dei migranti da parte delle navi delle ONG non sia conforme ai nostri principi costituzionali e a quelli delle convenzioni internazionali e possa contribuire a favorire tragedie in mare come quella avvenuta il 14 marzo scorso in cui numerosi migranti, rimasti in balia del mare per sette giorni, sono morti di fame e sete su un gommone partito dalla Libia e diretto in Italia. Ed è stata proprio la nave Ocean Viking a soccorrerli ed impedire una tragedia di dimensioni più gravi. Pertanto, se il Tribunale di Brindisi non avesse sospeso il provvedimento di fermo dell’imbarcazione anche i 25 superstiti probabilmente non si sarebbero potuti mettere in salvo.
I naufraghi soccorsi dalle ONG sono in larga misura persone in difficoltà che sono riuscite dopo atroci sofferenze a fuggire soprattutto dai campi libici e tunisini e, quindi, ostacolare l’attività di salvataggio delle ONG significa impedire di salvare la vita di chi fugge da situazioni umanamente difficili e di conseguenza impedirgli di condurre un’esistenza dignitosa.

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Note


[1] P. Gentilucci, Il decreto Piantedosi all’attenzione della consulta, in diritto.it del 18 marzo 2024.
[2] Camera dei Deputati D.L. 1/2023: Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori del 3 marzo 2023.
[3] A, Cangemi, Le nuove regole per le Ong: la bozza del decreto Sicurezza approvato dal Consiglio dei ministri, in Fanpage del 28 dicembre 2022.
[4] ASGI, Il decreto legge 2 gennaio 2023 n, 1 convertito in legge 24 febbraio 2023, n. 15, del 4 marzo 2023.
[5] ASGI, Il decreto legge 2 gennaio 2023 n, 1 convertito in legge 24 febbraio 2023, n. 15, cit.
[6] E. Marinazzo, Scontro sul decreto Piantedosi. Il giudice coinvolge la Consulta, in Il quotidiano di Puglia  del 15 marzo 2024.
[7] E. Lentini, Udienza Ocean Viking a Brindisi: in ballo anche la legittimità del decreto Piantedosi, in Brindisireport del 14 marzo 2024.
[8] E. Marinazzo, Decreto Piantedosi e ong Brindisi, atti alla Consulta, in Il Quotidiano di Puglia del 12 ottobre 2024.
[9] Cfr. Corte Cost. sentenza n. 50/1980.
[10] Cfr. Corte Cost. sentenza n. 104/ 1968, richiamata dalla sentenza della  Corte Cost. n. 50/1980.



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