La sola intestazione della carta ricaricabile non basta a provare che l’imputato sia l’autore della truffa della finta vendita del cellulare online.
Lo ha stabilito la Corte d’appello di Perugia confermando l’assoluzione emessa dal giudice del Tribunale di Spoleto. Secondo i giudici “non sussistono elementi di prova a carico degli imputati che consentano di ritenere raggiunta la prova oltre ogni ragionevole dubbio della riferibilità soggettiva della condotta di truffa posta in essere ai danni della persona offesa per averla indotta, tramite Facebook, ad acquistare un telefono cellulare – mai recapitato – al prezzo di 600 euro versati sulla Postepay indicata durante la trattativa”.
Dagli atti di indagine emerge, infatti, “ esclusivamente la titolarità a nome dell’imputato della carta prepagata usata per ricevere il profitto della truffa e l’intestazione dell’utenza telefonica usata per contattare la persona offesa a nome del coimputato”.
Per i giudici “non appare provato, senza margini di incertezza, che alla formale intestazione della carta Postepay corrispondesse un’effettiva disponibilità e utilizzo della stessa per scopi fraudolenti da parte dell’imputato”. E non vi sono elementi per a “confermare con certezza che alla intestazione dell’utenza telefonica utilizzata dal coimputato corrispondesse il suo e effettivo utilizzo”.
Per i giudici “non è stata infatti e effettuata alcuna attività di perquisizione né di accertamento su eventuali operazioni individualizzanti e effettuate sulla carta prepagata, tali da permettere di attribuire” all’imputato “l’uso della stessa, né vi è stata l’acquisizione dei tabulati sul numero usato per contattare la persona offesa, né sono stati svolti accertamenti in ordine all’intestazione dell’account Facebook utilizzato dal presunto venditore”.
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