Non sembrerebbe accennare a placarsi il confronto tra la Regione Sardegna ed il Governo centrale.
Il Governo Meloni, e più precisamente il Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, infatti, avrebbe da ultimo deciso di impugnare la Legge Regionale numero 12 del 2024 recante “Modifiche alla Legge Regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria” per il richiamo in servizio di medici di base in pensione al fine di fronteggiare, perlomeno fino a fine anno, la grave carenza di personale medico.
L’impugnazione, stando a quanto sia possibile apprendersi dagli organi di stampa, rinverrebbe la sua ragione giustificatrice nella circostanza per cui “alcune disposizioni in materia di ordinamento civile, eccedendo dalle competenze statutarie e ponendosi in contrasto con la normativa statale viol(erebbero) l’articolo 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione”.
L’Assessore alla Sanità, Armando Bartolazzi, nel voler sottolineare che sembrerebbe trattarsi di una impugnazione “incomprensibile”, non ha mancato di evidenziare, ribadendolo con convinzione, che la misura, negli intendimenti ispirati e finalizzati alla massima concretezza sul piano pratico del legislatore sardo, “è nata per coprire un’emergenza conclamata e grave con carenze di medici di medicina generale per migliaia di abitanti in alcuni territori”.
Si tratterebbe, dunque, di un provvedimento oltremodo necessario, “esclusivamente su base volontaria” che dovrebbe sostenere le esigenze delle popolazioni delle aree maggiormente svantaggiate.
In buona sostanza, e per essere quanto più chiari, con la Legge richiamata, le Asl sono state autorizzate ad attingere i fondi dal proprio bilancio al fine di assicurare, medio tempore, la continuità dei servizi sanitari essenziali. La misura, al netto di ogni possibile valutazione, sembrerebbe dunque apparire in tutta la sua opportunità.
Eppure, benché la Sardegna rappresenti una sorta di realizzazione concisa dell’essenza sostanziale di una specialità legislativa e programmatica normativamente riconosciuta, legittimante un regime giuridico differenziato ab origine rispetto alla gran parte delle restanti regioni italiane, e benché la Regione medesima, come rilevato dalla Presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde, “pag(hi) interamente per la propria sanità” (cfr. Pagina Facebook di Alessandra Todde), pur tuttavia, avrebbe ecceduto le proprie competenze statutarie. Ebbene. La questione, al di là del rilievo concreto della sua rilevanza gestionale, sembrerebbe porre due ordini di riflessioni quanto meno. Per un verso, quello per cui se la ricerca di un rapporto diretto delle singole Regioni, e non solo di quelle a Statuto Speciale, con lo Stato sembrerebbe essere andata oltremodo in crescendo negli ultimi tempi, considerata la comunque contestata riforma inerente la cosiddetta “Autonomia Differenziata”, dall’altra sembrerebbe per contro assistersi (la formula dubitativa appare doverosa) ad una sorta di contrazione di quello stesso regime autonomistico che negli intenti più volte conclamati dal Governo Centrale per iniziativa del proprio Ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli, pareva costituire l’asse portante di una nuova ed inedita organizzazione amministrativa (se così la si voglia definire) dello Stato. Per altro verso, l’altro per cui, considerata sul piano della leale collaborazione tra lo Stato Centrale e le proprie articolazioni territoriali, l’iniziativa in materia sanitaria intrapresa da ultimo dalla Regione Sardegna parrebbe porsi e proporsi proprio nei termini maggiormente rappresentativi ed espressivi del principio medesimo, collocandosi, sembrerebbe, sul solco programmatico di quello che vorrebbe essere il nocciolo della riforma autonomistica. Sicché, quanto meno ad una prima analisi necessariamente sommaria, ed in attesa di ulteriori specifiche sulle motivazioni a sostegno della annunciata impugnazione, la Regione Sardegna sembrerebbe (il condizionale appare opportuno) non essere incorsa in violazione alcuna considerato che proprio in ambito sanitario la Regione medesima può legiferare nell’ambito dei principi stabiliti con legge dello Stato. Tanto più laddove si consideri che proprio le politiche sanitarie parrebbero costituire la concretizzazione dell’idea di regionalismo siccome espressive di un rapporto alternativo, se così lo si voglia definire, di efficienza gestionale idoneo a determinare il superamento di un sistema centralizzato e utile a favorire la migliore uniformità geografica del servizio.
L’iniziativa della Regione Sardegna, dicendolo più semplicemente, e considerate le attuali esigenze del territorio, sembrerebbe garantire la piena attuazione dell’articolo 32 della Costituzione attraverso una organizzazione regionale ispirata al massimo efficientismo pratico.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro
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