Valentina Guerini, 35 anni, è socia di VAL.MA.TECH, nata nel 2022, con sede operativa a Ponte Nossa, e dedicata alla vendita di robot collaborativi, accessori per l’automazione e alle soluzioni personalizzate d’avanguardia per l’automazione.
Com’è arrivata alla robotica?
Avevo già un occhio attento alle nuove tecnologie, ma è stata un’esperienza in Estremo Oriente a portarmi alla robotica. Lavoravo per la Orobica Meccanica Integrata srl, azienda esperta in lavorazioni meccaniche e montaggi di macchinari che uniscono meccanica ed elettronica, di Mattia Baronchelli, mio attuale socio in VAL.MA.TECH. Nel 2019 ho vissuto un anno a Songjiang, in provincia di Shanghai. Avevamo già una buona connessione con la Cina: importavamo parti meccaniche, avevamo un socio e una rete di fornitori. Ci eravamo resi conto che lì erano un passo avanti e così, quando sono dovuta rientrare nel 2020, Mattia ed io abbiamo cominciato a fare delle ricerche di mercato per capire l’utilizzo dei cobot (i robot collaborativi, ndr) e ne abbiamo acquistati due da un nostro fornitore.
In che modo la robotica dei cobot valorizza il lavoro delle persone?
Perché non sostituisce la persona, ma la sgrava da operazioni ripetitive, alienanti, faticose o poco salutari. Pensiamo agli ambienti in cui si esegue la verniciatura o a tutte le operazioni che prevedono l’uso di sostanze che, a lungo andare, possono nuocere alla salute. In alternativa, il cobot può collaborare con il lavoratore per le operazioni di assemblaggio, svolgendo una parte del processo, anche senza barriere protettive, perché è un robot sensorizzato, cioè, fatto apposta per fermarsi in caso di collisione. Che si tratti di collaborazione o di sostituzione, grazie ai cobot la persona può essere impiegata solo per operazioni ad alto valore aggiunto, non ripetitive.
I cobot hanno un raggio di applicazione amplissimo: dalla sanità alla grande distribuzione. Cosa significa questo per voi?
È una fortuna avere un mercato potenzialmente vastissimo, perché trasversale. Questo richiede grande flessibilità da parte nostra, perché ogni settore ha le sue richieste. Ogni volta occorre ripartire da zero in termini di ore di progettazione, ma a noi piace, è molto sfidante. Al momento le maggiori richieste ci arrivano dai settori della saldatura (per la carenza di manodopera), dell’asservimento dei macchinari (le operazioni di carico e scarico) e della pallettizzazione, cioè l’operazione di impilare le merci sui pallet.
In che direzione sta andando il modo di fare produzione?
La direzione è un modo di produrre più sostenibile, sia per l’uomo che per l’ambiente, temi attuali. La tendenza che noi registriamo è che, mentre prima si pensava alla flessibilità solo per la piccola azienda, che ha numeri più bassi, ora questo concetto entra nella grande impresa. Il consumatore chiede un prodotto ‘su misura’ e il vecchio modo di produrre, fatto per i grandi numeri con linee automatizzate, sta cambiando. Sempre di più, aziende medio-grandi guardano al cobot come a uno strumento flessibile, che permette di cambiare il packaging ogni 100 pezzi: basta modificare il programma, un piccolo cambio della presa e si può ripartire a lavorare.
Donne e discipline STEM, un divario ancora da colmare. Nella sua azienda quanto la robotica parla al femminile?
A parte le quote rosa della proprietà aziendale, la presenza maschile resta la più alta. Il problema è che è difficile trovare tecnici nel mondo della robotica e, in generale, figure tecnico-commerciali. Forse tra i giovani c’è qualche iscrizione in più a ingegneria, ma, onestamente, quando faccio ricerca del personale non ricevo candidature femminili. Anche fuori dall’azienda, quando parlo con clienti e fornitori, quando vado alle fiere, costantemente tendo a essere una delle poche donne. Il mondo della robotica e dell’automazione è ancora maschile.
Lei è stata insignita del Premio Fedeltà al Lavoro “per aver avviato un’attività imprenditoriale nell’innovativo settore della robotica collaborativa, con l’obiettivo di utilizzare le nuove soluzioni tecnologiche per rendere i processi produttivi delle aziende più sicuri, efficienti e flessibili”. Qual è l’efficienza di un cobot?
Ci si immagina un robot velocissimo, perché così è la robotica tradizionale. La robotica collaborativa non offre la velocità – perché si deve lavorare a fianco delle persone – ma è costante. Quando si vanno a misurare le performance, risulta più efficiente, perché non sbaglia mai, ha una precisione estrema, riduce lo scarto, anche se su certe operazioni non è più veloce dell’uomo. L’efficienza si misura anche in termini di costanza: una volta che un’operazione viene svolta in pochi secondi, sarà sempre svolta in pochi secondi.
Dove non arriva la robotica?
Nelle azioni in cui serve l’intelletto della persona, la sua esperienza e la capacità sviluppata con essa, come nel caso dell’artigianato. Il cobot può fare un lavoro di sgrossatura, ma la finitura resta della persona. Dove serve un occhio umano e la capacità umana di elaborare, non potrà mai esserci la sostituzione della robotica.
A chi dedica questo premio?
Al mio socio Mattia Baronchelli, la persona che più mi ha segnato e forgiato nel mio percorso professionale.
Siete collaborativi come i vostri robot?
Sì, abbiamo trovato il nostro equilibrio. Quando serve, sappiamo fare un passo indietro per non guastare la nostra bella sinergia.
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