Carlo Calenda si defila ancora una volta dalla piazza delle opposizioni, proponendo una leadership individualista e intransigente, che solleva dubbi sugli effetti collaterali della sua strategia per l’unità del fronte anti-governativo.
Carlo Calenda è il guappo della politica italiana, un capo che si muove nel teatro delle opposizioni senza mai aderire pienamente alla loro causa comune. Non è nuovo a dissociarsi da movimenti collettivi e piazze simboliche, come accaduto il 21 ottobre 2024, quando ha rifiutato di partecipare alla chiusura della campagna di Andrea Orlando a Genova. “Non ci sarò”, ha affermato con la solita sicurezza, giustificando la sua assenza per motivi logistici, ma lasciando che il gesto parli di più di mille parole. La figura di Calenda sembra infatti incarnare quel capo che non redistribuisce leadership o responsabilità, ma preferisce tenere tutto sotto il suo controllo, mantenendo il focus su di sé.
Prendiamo come esempio l’episodio emblematico della piazza del Popolo del 18 ottobre 2024, quando Calenda, intervenuto alla manifestazione dei lavoratori dell’automotive, ha duramente attaccato il piano Albania del governo Meloni definendolo un’“idiozia”. Eppure, anziché collaborare con Schlein e Conte, che nella stessa piazza hanno cercato una sinergia (seppur solo per le telecamere), Calenda ha preferito isolarsi, distanziandosi dalla dinamica del “campo largo”. Così, mentre Elly Schlein stringeva mani con Conte, a favore di camera, Carlo continuava il suo percorso solitario, confermando la sua avversione alla banalità della “coincidentia oppositorum”, ovvero quella forzata unità che non trova reale consistenza.
Non è la prima volta che il leader di Azione abbattere senza pietà i suoi avversari, senza fare sconti a nessuno, nemmeno agli alleati. Nel caso di Marco Bucci, ad esempio, sindaco di Genova e inizialmente sostenuto dallo stesso Calenda, il giudizio è stato spietato: “Mi ha deluso”, ha dichiarato lo stesso giorno. In questo frangente, Calenda fa leva su una narrazione che lo vede sempre un passo avanti agli altri, pronto a demolire chiunque tradisca le sue aspettative.
E gli effetti collaterali? La strategia del guappo solitario, sempre pronto a combattere il nemico e a prendere le distanze dai compagni, rischia di frammentare le già esili opposizioni. Se da una parte Calenda si dimostra un leader pragmatico, critico e dotato di una chiara visione per l’Italia, dall’altra i suoi continui distanziamenti mettono in discussione la tenuta complessiva del fronte progressista. Come dimostra l’episodio della mozione sull’automotive, sostenuta da tutte le opposizioni, nonostante la dichiarata unità sui contenuti, Calenda si è ancora una volta ritagliato il ruolo di guastafeste.
Perciò, Carlo Calenda si presenta come il guappo della politica italiana, quello che non solo non redistribuisce il potere, ma lo accentra su di sé, oscillando tra alleanze temporanee e critiche mordaci, senza concedere appigli a nessuno. E così, mentre si allontana da piazze e colleghi, rimane saldo nel suo ruolo di capo che combatte in solitaria, lasciando agli altri il compito di stringere mani e fare proclami davanti ai riflettori.
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