GENOVA – Il responsabile del negozio, che ha dato la vita per il suo lavoro, la cuoca separata con due figlie, il pizzaiolo che ha rischiato di morire intossicato nel fondi del locale in fiamme e ora rimasto come gli altri senza uno stipendio e un mutuo da pagare.
Sono solo tre storie di tre dei ventisei lavoratori dello storico bar ristorante Moody di Piccapietra che dopo l’improvvisa chiusura decisa dai proprietari svizzeri si sono ritrovati all’improvviso disoccupati, l’unica proposta ricevuta, trasferirsi in un negozio in un’altra regione.
Daniele Botto, il responsabile del negozio, è arrivato al presidio organizzato dalla Films Cgil con la febbre a 39 e il suo cagnolino trattiene a stento le lacrime, “qui lavoravo oltre dieci ore al giorno, questa era la mia casa, non so se avrò ancora voglia di rialzarmi, mi stanno facendo odiare un lavoro che ho sempre amato”.
Elena Bucchieri, una delle cuoche, contratto part time, separata, alle due figlie minori non ha avuto bisogno di aprire bocca per far capire di avere perso il lavoro. “Piangevo…” dice commossa. Lei sta già pensando a come rimodulare la sua vita senza uno stipendio e pure senza cassa integrazione.
Luigi Fogliani, il pizzaiolo, anche lui da tanti anni al Moody, nell’incendio nei fondi del negozio ha pure rischiato di morire, in cambio ha ricevuto una lettera con una proposta di trasferimento non ricevibile, “perché ho due genitori anziani e un fratello malato che ha bisogno di me e non posso andare a lavorare lontano da Genova”.
Al loro fianco a Piccapietra sempre il segretario della Filcams Cgil Maurizio Fiore, presente nel primo presidio organizzato davanti al negozio per mantenere alta l’attenzione sul loro dramma e che poi ha guidato in prima persona i lavoratori anche nella Sala del Maggior Consiglio di palazzo Ducale (nella foto) dove hanno gridato la loro rabbia a tutti i candidati alla presidenza della Regione Liguria che partecipavano ad un dibattito pubblico organizzato dal Secolo XIX.
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