Pietro Morreale era “perfettamente capace di intendere e di volere”. A decretarlo sono stati i giudici della Cassazione, che nelle scorse ore hanno pubblicato le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 10 luglio hanno confermato l’ergastolo per il giovane che ha ucciso l’ex fidanzata diciassettenne, Roberta Siragusa, dopo averle dato fuoco, la notte del 21 gennaio del 2021 a Caccamo, comune in provincia di Palermo. La prima sezione della Suprema Corte scrive che i motivi di ricorso presentati dalla difesa “non sono meritevoli di valutazione”. L’imputato dovrà ora risarcire le parti civili e pagare le spese processuali delle parti civili: la madre di Roberta, Iana Brancato, il padre Filippo Siragusa, il fratello Dario, la nonna Maria Barone, assistiti dagli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Canzone, Sergio Burgio e Simona La Verde.
Nessun pentimento per Pietro Morreale
Come scrivono i giudici, “il fatto che il ragazzo, subito dopo l’uccisione di Roberta abbia tenuto comportamenti che la difesa ha giudicato incongrui, non è plausibile spia di una condizione di deficit psichico rilevante, anzi pare esattamente il contrario; e che ancora non riveste particolare significato la circostanza che nei primi periodi della propria detenzione Morreale sia stato seguito dagli psicologi penitenziari, anche considerato che gli stessi non hanno mai fatto alcun riferimento a problematiche psicopatologiche diverse dalla normale ansia”.
E ancora: “Nessuna giustificazione dunque è possibile per il ventiduenne, che non ha mai confessato, mostrato segni di resipiscenza né tantomeno chiesto perdono ai familiari della vittima. Morreale ha anzi insistito nella sua tesi del “suicidio” della ragazza, pentita di averlo tradito e pronta a darsi fuoco dopo l’ennesima lite con lui”. Secondo quanto sostiene la Cassazione, invece, dopo l’omicidio ed essersi liberato del corpo della giovane, abbandonato in un dirupo, Morreale mandò un messaggio a un amico per giocare on line alla PlayStation.
Anche per questo la storia di Morreale, unita ai “33 episodi di violenza fisica subìti dalla diciassettenne in un anno prima dell’omicidio”, risulta essere ancora meno credibile secondo i giudici. La ricostruzione emersa in sede processuale sostiene che Morreale abbia prima colpito la ragazza con violenza al capo e poi l’abbia finita dandole fuoco quando era ancora viva, cercando poi di farne sparire i resti.
“Morreale, esperto praticante dell’arte marziale del kick-boxing”, prese “repentinamente e improvvisamente a pugni la povera Roberta, quando ancora i due erano in auto, senza darle il tempo di alcuna reazione”, sostengono i giudici. Infine, è confermato anche “il tema della gelosia patologica di Morreale e delle sue gravissime ricadute sul rapporto con Roberta”.
Dalle chat estrapolate dal tecnico informatico – non dal cellulare della ragazza che non è stato mai trovato – risulta che la diciassettenne, chattando col ragazzo che era diventato il suo nuovo amore, il 27 ottobre 2020, meno di tre mesi prima del delitto, parlando di Pietro lo abbia definito “non innamorato”, ma “malato di lei, fissato”, mandando le foto dei segni delle violenze.
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