Il velo di silenzio che circonda la realtà dei centri di permanenza per il rimpatrio dei migranti irregolari (CPR) non basta a occultare il fatto che si tratta di strutture contenitive simili a prigioni, estremamente costose e che, per di più, raggiungono solo in parte assai limitata gli obiettivi dichiarati. Lo documenta da ultimo in maniera analitica il rapporto di Action Aid Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri, frutto di una ricerca che copre gli ultimi anni.
I Cpr attivi e funzionanti in Italia sono 10 sui 12 previsti. Sono strutture in cui si verificano regolarmente proteste anche violente, atti di autolesionismo, suicidi come quello del giovane Ousmane Sylla avvenuto a febbraio 2024 nel Cpr di Ponte Galeria a Roma. Le persone trattenute trascorrono le proprie giornate in spazi spogli che ricordano molto quelli delle carceri, spesso sedati di Altreconomia dell’aprile 2023).
Il costo di questa “macchina” è estremamente salato. Quasi 93 milioni di euro nel periodo 2018-2023. Con un costo medio che sfiora i 29mila euro per posto letto, con picchi di 40mila euro a Torino, 71mila a Brindisi, 36mila a Milano. Dei costi complessivi più di 33 milioni sono stati spesi per la manutenzione e ristrutturazione dei centri. Questa voce di spesa ha registrato un aumento significativo a partire dal 2020 e per tutti gli anni successivi. Da notare che le spese corrono anche per i centri chiusi, come quello di Torino (chiuso da marzo 2023) che ha continuato a produrre costi per circa 3,4 milioni di euro nel corso dell’anno per l’affitto della struttura versato a Ferrovie dello Stato e per appianamenti di debiti con l’ente gestore. Ma le spese non sono finite qui. A questi costi, infatti, bisogna aggiungere le spese “accessorie”, come vitto e alloggio per le forze dell’ordine a presidio delle strutture: 5,8 milioni di euro tra il 2020 e il 2023 a Macomer (Nuoro) e circa 680mila euro all’anno a Palazzo San Gervasio (Potenza).
A fronte di questi ingenti costi umani ed economici balza subito all’occhio il bassissimo tasso di efficacia dei centri: nel 2023 su oltre 28mila persone straniere colpite da provvedimento di espulsione quelle effettivamente rimpatriate dai Cpr sono state 2.987. «Una politica che ottiene il 10% dei risultati attesi è inammissibile, a meno che non si riconosca che l’obiettivo non è quello esplicito del rimpatrio, ma di assimilare le persone migranti ai criminali, erodendo le basi del diritto d’asilo e del sistema di accoglienza», commenta Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid. «L’investimento nei Cpr ha prodotto una crescita dei costi umani ed economici delle politiche di rimpatrio. Dal 2017 si rimpatria di meno, a costi più alti e in maniera sempre più coercitiva – commenta Giuseppe Campesi, dell’Università di Bari, tra i massimi esperti in Italia di detenzione amministrativa e rimpatri –. Il ricorso a queste strutture ha già dimostrato di essere fallimentare, tuttavia, si continuano a presentare i centri di detenzione come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri. I dati raccolti, invece, dicono l’esatto contrario».
Qui il link al testo completo del rapporto: Rapporto-Trattenuti
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