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prevista la vendita dello stabilimento Il Tirreno #finsubito prestito immediato


FIRENZE. Sono tempi bui per i dipendenti della Targetti Sankey che rischiano per una buona parte il licenziamento. Venerdì 8 novembre, proprio davanti ai cancelli della storica azienda fiorentina, si sono riuniti i lavoratori e lavoratrici che hanno indetto uno sciopero di 8 ore. Nei giorni scorsi, durante un incontro coi sindacati in Confindustria a Firenze, la 3F Filippi di Bologna, azienda di illuminotecnica che nel 2017 ha rilevato la Targetti Sankey, ha presentato un piano industriale che prevede nei prossimi mesi la chiusura della produzione a Firenze e la vendita dello storico stabilimento fiorentino, con una conseguente riduzione del personale da 90 a 40 lavoratori: si tratta dunque di 50 esuberi, tutti nel settore produzione (la produzione del gruppo sarà svolta solo nello stabilimento di Nusco in provincia di Avellino).

Per gli altri 40 non in esubero, tutti nel settore impiegati, secondo le dichiarazioni dell’azienda è previsto il mantenimento di una sede a Firenze, ma per come è strutturata l’azienda la preoccupazione dei sindacati è che anche questi posti di lavoro possano diventare a rischio. Un fulmine a ciel sereno per i lavoratori che sono disperati e dovranno trovarsi a fronteggiare serie difficoltà. Tra loro Antonio Voleri, che lavora per Targetti dal 2008: «Questa è la seconda crisi che vivo sulla mia pelle. La prima, nel 2017, quando mi licenziarono ma avendo una figlia minorenne a carico ho fatto ricorso, venendo riassunto nel 2021. Ora siamo di nuovo punto e a capo, con nessuna possibilità di essere reintegrato. Ho un divorzio alle spalle, rischio di andare in mezzo alla strada perché ho anche un affitto da pagare». Anche Francesco Sartoni, dell’ufficio acquisti, si trova in una simile situazione: «È da 20 anni che lavoro in questa azienda e il rischio è di trovarmi senza lavoro, con due bambini, uno alle medie e uno alle elementari, a carico». Per scongiurare quello che sembra un finale quasi certo, le sigle sindacali prevedono altre mobilitazioni nei prossimi giorni, per tenere alta l’attenzione sulla vertenza ed è stato chiesto un incontro alla Regione all’Unità di crisi. Un’azienda, la Targetti, che fa parte del tessuto industriale fiorentino. Le sue origini risalgono a un piccolo negozio aperto nel1928 a Firenze. Da lì una crescita esponenziale, avviata già negli anni Ottanta con 200 dipendenti e 25 milioni di fatturato, fino ad arrivare a quasi 300 milioni e 1.350 addetti fino a poco più di 10 anni fa.

Le commissioni vengono da tutto il mondo e i suoi clienti sono illustri. Solo per citarne alcuni, troviamo Ferrari, Mercedes, Peugeot, Max Mara, Levi’s, Benetton e McDonald’s, ma anche Venchi, McLaren, Renault, Alfa Romeo e Jeep, Walt Disney, Amazon. Un successo riconosciuto anche nel campo artistico perché Targetti ha illuminato l’Ultima Cena di Leonardo, il David di Michelangelo, il Salone dei Cinquecento, la Cattedrale di Notre Dame a Parigi e la Royal Opera di Singapore. Il gruppo è stato scelto persino per l’illuminazione dello Stadio di Los Angeles (Lafc Stadium) e del nuovo aeroporto di Doha. I primi segnali di crisi arrivarono nel 2008, in concomitanza poi con la morte, avvenuta nel 2010, di Paolo Targetti, il presidente-designer.

Nel frattempo, l’azienda si ritrovò a fare i conti con i creditori. Poi nel 2017 arriva la 3F Filippi, un’impresa bolognese esperta del settore che ha permesso alla Targetti di estendere i propri orizzonti verso Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Emirati Arabi. Dato il peso dell’azienda, per la Regione è fondamentale garantirne la tutela, come conferma anche il consigliere del presidente Giani per le vertenze aziendali, Valerio Fabiani: «La proprietà si fermi subito. È un insediamento storico, il cui nome è indissolubilmente legato a Firenze e al suo tessuto produttivo manifatturiero. Per questo raccogliamo la richiesta dei sindacati di apertura del tavolo di crisi e sono certo che con il confronto e il nostro supporto sarà possibile trovare una soluzione alternativa ai licenziamenti e alla chiusura del sito industriale».
 



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