La piattaforma anti-pezzotto è ancora sotto la lente di ingrandimento. Chi la vuole chiudere, chi la vuole revisionare e chi la sostiene: intanto aumentano i costi
Chi pensava che la nota della commissaria Agcom Elisa Giomi inviata al Corriere fosse uno degli atti conclusivi della vicenda Piracy Shield, che da mesi si trascina critiche, contraddizioni e contrasti, si sbagliava. Le novità questa volta arrivano anche dall’estero e c’entrano in qualche modo i colossi come Amazon e Google. Ma non solo.
I2Coalition contro Piracy Shield
A pubblicare critiche verso la piattaforma questa volta è la I2Coalition, (Internet Infrastructure Coalition) un’organizzazione americana che tra le fila vede Big Tech come Amazon, Cloudlflare e Google, tanto per citarne alcune. Essa rappresenta aziende tecnologiche e dell’infrastruttura di Internet. La sue missioni sono quelle di promuovere la crescita di un Internet libero e aperto, difendere la neutralità della Rete e incentivare un commercio digitale equo. Un documento inviato alla Ustr (United States Trade Representative), ovvero un ufficio del governo degli Stati Uniti responsabile della gestione delle politiche commerciali internazionali del Paese, presenta delle note rilevanti che coinvolgono Piracy Shield.
All’interno del documento, i player lamentano la noncuranza verso le debolezze della piattaforma, che in almeno due occasioni ha portato ad un down di alcuni servizi, come Google Drive e di Cloudflare. Viene citato anche il sistema di blocco, che avviene «Senza revisione giudiziaria e entro 30 minuti dalla segnalazione, senza un meccanismo di ricorso». Una situazione che ha portato a lamentarsi non solo gli utenti, ma anche ad «un impatto negativo anche sui fornitori di rete e sulle imprese statunitensi i cui siti web sono stati bloccati in modo inappropriato a causa delle insufficienti tutele del sistema italiano».
Un danno anche economico
Il quadro sottolinea la difficoltà anche economica che ciò potrebbe causare, qualora nuovamente dovessero essere segnalate e dunque bloccate strutture con contenuti legittimi, con tutte le difficoltà commerciali che ciò potrebbe portare. Ma non è tutto. Sebbene le continue richieste di revisione o addirittura sospensione cadano nel vuoto, non vi sono segnali circa provvedimenti simili. O almeno, non nell’immediato, anche se non è escluso che qualcosa possa essere modificato, anche per non provocare di nuovo disagi come con il down di Google Drive. Ma la parte burocratica non è la sola ad essere criticata: anche la parte economica non è del tutto chiara.
L’onerosa manutenzione
Se la commissaria Elisa Giomi sosteneva che sebbene in principio la piattaforma fosse stata dichiarata a costo zero, le spese di manutenzione sono lievitate in breve e hanno superato quota 100.000 euro ogni anno. Una delibera del 23 ottobre (pochi giorni dopo il blocco di Google Drive, cui segue una diffida a Dazn) sancisce inoltre che è necessaria una seconda variazione del bilancio del 2024, dopo una prima avvenuta in estate.
Come segnalato da Wired, e come si legge nel documento qui, l’Autorità ha infatti approvato una variazione di 256 mila euro (pari al 35% del totale) per poter far fronte alle spese dei «servizi cloud infrastrutturali» i quali includono il Registro degli operatori di comunicazioni (Roc), la piattaforma di conciliazione Conciliaweb e Piracy Shield. Un aumento di costi riconducibile al listino dei servizi Microsoft: «Nel corso degli ultimi mesi si è manifestato un aumento nell’utilizzo dei servizi Azure, derivante dal crescente e non prevedibile fabbisogno dovuto a garantire il funzionamento in sicurezza della piattaforma del Piracy shield», si legge. Secondo quanto rivelato dal magazine, i servizi acquistati da Agcom per il corretto funzionamento sono «a consumo» e non un forfait. Un costo dunque che potrebbe aumentare a seconda delle attività. L’obiettivo di Agcom è quello di migrare tutto su un Polo strategico nazionale, anche perché attualmente l’accordo è con Telecom e a incidere sulla spesa è «L’aumento fisiologico dei file di backup». La piattaforma ha un controvalore di 25mila euro. Solo nel 2023 per la sua manutenzione erano stati allocati 250mila euro circa.
Ancora Dazn
Dazn, additata da Agcom come «colpevole» del down di Google, ha portato la scorsa estate anche al down di due piattaforme Iptv per un totale di 37 giorni, salvo poi essere sbloccate dalla stessa Agcom. L’ingegnere informatico Matteo Contrini ha segnalato su X il blocco di SmartOne, una Iptv (Internet Protocol Television), ovvero una tecnologia che consente agli utenti di accedere a canali tv e contenuti on demand online. Il blocco è avvenuto il 18 agosto 2024, dopo che la piattaforma di streaming ha caricato su Piracy Shield i domini di SmartOne, ritenuta responsabile della divulgazione di trasmissioni illegali.
Pochi giorni dopo la stessa SmartOne ha presentato un reclamo formale. Agcom ha in seguito “scagionato” Smart One, perché ritenuta estranea alla vicenda, secondo le analisi dell’Autorità. Questo perché l’indirizzo Ip della Iptv non sarebbe la fonte della trasmissione illecita che ha rilevato Dazn. Avrebbe invece funzionato come un intermediario per giungere ai contenuti protetti. Nonostante le continue richieste di Dazn di mantenere il blocco, Agcom lo rimuove verso la fine di settembre. Questo perché «Considerato che la società SmartOne IPTV, pur avendo, tramite i segnalati FQDN, abilitato l’accesso a contenuti illeciti presenti su server terzi, non origina tali contenuti tramite i propri server». Una sorta di contraddizione in termini. Dunque niente «multa automatica», come inizialmente segnalato. Ma ha senso colpevolizzare Dazn, se per la mancata segnalazione, come dicono due emendamenti recentemente approvati, si rischia addirittura un anno di carcere?
Sebbene Agcom abbia di fatto dato ragione ad entrambi i litiganti, e cioè che le trasmissioni sono sì avvenute, ma SmartOne ha agito come intermediario e non come fonte originale, come invece ritenuto da Dazn, l’Iptv non potrà più trasmettere contenuti della piattaforma streaming, dovendo dunque preoccuparsi di creare un filtro a soluzione di ciò. Questo significa che il blocco non coinvolge solo gli utenti italiani che caricano le proprie playlist sulla Iptv, ma anche quelli stranieri, creando di fatto un danno agli utenti e alla piattaforma Iptv. Una vittoria di Pirro quella di SmartOne e che comunque accontenta Dazn.
Il parere dell’avvocato Andrea Puccio
Raggiunto dal Corriere, l’avvocato Andrea Puccio, esperto di copyright, innovazione e impatto delle tecnologie, ha affermato che «Il problema principale risiede nella gestione automatizzata delle segnalazioni, che avviene senza alcun controllo preliminare sulla loro fondatezza. Inoltre, le misure di oscuramento vengono adottate senza alcun contraddittorio preventivo, elemento essenziale quando si trattano interessi e diritti fondamentali». E prosegue: «L’assenza di un filtro in grado di distinguere tra le segnalazioni valide e quelle con intenti esclusivamente strumentali, i cosiddetti falsi positivi, suscita grande preoccupazione e giustificato allarme». Questo perché «La gestione automatizzata delle segnalazioni attraverso la piattaforma Piracy Shield solleva profonde preoccupazioni, a fronte del pericolo di errori e di rimozioni ingiustificate di contenuti legittimi, che possono portare a forme di censura ingiustificata». «Ciò che preoccupa non è tanto il suo utilizzo, quanto il rischio di abuso, inteso come uso strumentale delle segnalazioni, per danneggiare i destinatari dei provvedimenti di oscuramento». «Le conseguenze potrebbero essere drammatiche, con potenziali risvolti penali legati all’interruzione di servizi pubblici o di pubblica necessità». E conclude: «Pur promettendo rapidità e prontezza, l’automazione rischia di compromettere la qualità e l’accuratezza nella gestione delle segnalazioni. È quindi fondamentale trovare un equilibrio tra innovazione tecnologica e tutela dei diritti fondamentali, che sia realmente efficace e possa resistere alla prova del tempo».
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