Il 14 novembre 1951, dopo piogge intensissime, il Po esondò. I morti furono 101, 7 i dispersi e 180 mila gli sfollati. Argini, deviazioni e allargamenti del fiume: «Le difese costruite hanno evitato altri disastri»
Il grafico dell’andamento della popolazione della provincia di Rovigo, a 73 anni di distanza, dà l’idea più sintetica degli effetti dell’alluvione del 14 novembre 1951 sulla sottile striscia di terra fra l’argine destro del tratto finale dell’Adige e quello sinistro del tratto finale del Po, che sfocia a delta nell’Adriatico. Si chiama Polesine quel territorio ed è quasi completamente occupato dalla provincia di Rovigo, più il Comune di Cavarzere (Venezia).
Nel 1951 vi abitavano 360 mila persone. Dieci anni dopo erano 280 mila. Da lì in poi la discesa è stata meno pendente, si è acuita leggermente negli ultimi dieci anni ma per la denatalità che colpisce tutto il Paese. Oggi i polesani sono meno di 230 mila. I migranti che hanno lasciato le loro case allagate nel ’51 sono stati 180 mila, di questi 80 mila non sono più tornati indietro.
Con l’evento del ’51 oggi effetti limitati
Ora invece il Polesine resta asciutto mentre in tutto il mondo gli allagamenti improvvisi causano evacuazioni, basti pensare all’Emilia Romagna e a Valencia. È stato speso almeno l’equivalente di 600 milioni di euro di denaro pubblico per il ripristino delle opere e gli interventi urgenti. E poi, in trent’anni, almeno 50 volte tanto per la messa in sicurezza della lunga asta del Po. Gianpaolo Milan, ingegnere idraulico, consulente per 10 anni dell’Autorità d’ambito del servizio idrico integrato in provincia di Rovigo, progettista di dighe e collaboratore nella progettazione di importante opere sul fiume Po, aiuta a ricostruire i fatti.
«Quello del 1951 è stato un evento particolare con un’intensità di pioggia estesa su tutto il bacino idrico del Po, sia quello appenninico sia quello alpino — fa presente —, succedesse ancora con maggiore intensità non è detto che non andremmo in crisi ma nel frattempo sono stati realizzati lavori importanti sia sulla sponda sinistra sia sulla sponda destra del Po, dovesse ripetersi una portata identica, cioè di circa 11 mila metri cubi al secondo, in teoria avremmo un franco di un metro ancora».
Ieri e oggi: la pioggia è diversa
Nei primi giorni di novembre del 1951 al Nord piovve molto, mediamente anche 14 volte la media mensile dei cinque anni precedenti, inoltre i terreni erano già pieni d’acqua per via delle piogge dei mesi di ottobre. Il Po si riempì, così come i suoi affluenti mentre il vento di Scirocco ostacolava il deflusso nel mare Adriatico. In Polesine i canali erano mal ridotti per le scarse manutenzioni. Il 14 novembre il Po ruppe tra Canaro e Occhiobello in tre punti, Paviole, Bosco e Malcantone. Adria fu completamente inondata. Il canale Adigetto salvò il centro storico di Rovigo ma la Commenda si riempì, così come i quartieri più bassi.Le fotografie di quei giorni raccontano di gente che attende i soccorsi circondata da un lago torbido. Quelle che sono diventate familiari anche negli ultimi tempi, in altre zone del mondo. Le ragioni però sono diverse. «Oggi invece di piovere in ampie zone piove in maniera più intensa ma molto localizzata quindi soffrono i piccoli bacini — spiega l’ingegner Milan —. Il mare si è surriscaldato ed è il motivo principale di queste perturbazioni improvvise. Fenomeni che però si stanno ancora studiando, siamo nella fase di raccolta dati».
Le opere a difesa
Le opere idrauliche per la messa in sicurezza dei bacini idrici, comunque, richiedono investimenti pubblici mastodontici. «Dopo il 1951 sono stati alzati gli argini, sono stati irrobustiti, è stato allargato il Po dove era possibile farlo — spiega Milan —, sono state tolte le curve dove si poteva, per esempio la doppia ansa di Corbola e di volta Vaccari, è stato allargato il letto del fiume a “Bar Americano” (una località di Porto Tolle dove c’era un bar gestito da un americano, ndr)». Senza dimenticare l’Adige, che grazie allo sfogo nel Garda, con il canale tra Mori e Torbole, come ricorda Milan, in caso di piena riversa l’acqua nel Garda e il peggior danno che può provocare è rendere l’acqua del lago un po’ più torbida.
Uomini e storie
I morti, nel 1951, in Polesine furono 101 più 7 dispersi. Quasi tutti però causati da un camion che avrebbe dovuto trasportare gli sfollati ma si impantanò nella notte tra il 14 e il 15 novembre a Frassinelle e venne sommerso, 84 morti. Le storie su quei giorni d’emergenza sono un’infinità. Un uomo di 84 anni, Luciano Rovatti, dopo aver passato la vita nelle piattaforme petrolifere negli Emirati Arabi, in Golfo Persico, in Arabia Saudita, nel 2005 è tornato a vivere proprio dentro la golena del Po, a Santa Maria Maddalena, tra due dei tre punti dove il Po ha rotto nel ’51. «Questo posto per me è l’Eden — raccontava tre anni fa —. La mattina mi alzo e vado a vedermi il Po d’argento. La sera poi me lo torno a vedere rosso e dorato, al tramonto. Mi gusto così la vecchiaia». Vive in case che andrebbero abbattute, dentro la golena non dovrebbero più esserci fabbricati. Ma lui non ha paura. «Qui nemmeno nel 51 siamo andati sotto, un po’ d’acqua solo al piano terra per qualche giorno». Suo padre, morto nel 1954 in un incidente stradale, faceva trasporti con le chiatte e durante l’alluvione aiutò come potè. Famosa è la storia di chi rimase in un isolotto in mezzo al Po in attesa dei soccorsi. «Mio padre con i miei fratelli Giancarlo, Ottavio e Clemente e con Don Aldo, che ha dato la benedizione, ha provato ad andare a prendere i quaranta dell’isolotto con la barca ma si è portato in salvo dalla parte opposta del fiume, sulla sponda ferrarese — racconta Rovatti —. Troppo forte era la corrente. Non sono riusciti ad ormeggiare per caricare le persone. Per fortuna però l’argine ha resistito. Poi è partito un anfibio dei vigili del fuoco ma anche il loro tentativo è fallito. I quaranta dell’isolotto sono stati riportati a riva sani e salvi il giorno dopo».
Il turismo, le volgole, ora il granchio blu
Ora il Polesine è cambiato, passa alla cronaca anche per notizie curiose, sta puntando sul turismo. Oltre a Rosolina Mare, le spiagge di Boccasette e Barricata a Porto Tolle sono diventate l’alternativa «slow» per i bagnanti della domenica. Nella vecchia centrale Enel di Porto Tolle (dismessa nel 2009) c’è un progetto di riqualificazione turistica, dovrebbe diventare un villaggio con bungalow, piscine, campeggi e campi da tennis pensato per le vacanze delle famiglie (un progetto che, per la verità, stenta a decollare).
Tre anni fa i campi di lavanda nel comune di Porto Tolle hanno attirato curiosi da ovunque, un fenomeno amplificato dai sociali network, migliaia di persone hanno voluto farsi fotografare per poi pubblicare sé stessi con lo sfondo viola dei campi profumati. E poi ancora il delta del Po è diventato la patria delle vongole veraci filippine. Negli anni Novanta, grazie all’amicizia di Giacomo Prandini, all’epoca assessore provinciale, con l’ingegner Mario Mazzagardi, fu seminato novellame riprodotto in laboratorio in Scozia nella laguna di Caleri (Rosolina). Fu un’intuizione che avrebbe fatto la fortuna dei poveri pescatori del delta, diventati ricchi. Hanno iniziato a proliferare le cooperative e l’«oro nero» ha risollevato un’economia, poi impreziosita da altre colture d’élite, sempre nel campo del molluschi, come l’ostrica rosa. Un’economia che però è entrata in un tunnel, è stata quasi azzerata dal granchio blu che ha infestato le lagune ed ha divorato tutto. Un tunnel del quale ancora non si vede la fine.
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