L’Europa punta a guidare la transizione ecologica globale, ma il costo di questa rivoluzione verde è alto. Domenico De Rosa, CEO di SMET, ne analizza rischi e opportunità.
Cav. De Rosa, il Green Deal è stato definito “un’opportunità unica” per guidare il mondo verso la sostenibilità.
Non nego che l’obiettivo del Green Deal sia nobile e necessario, ma la questione non è il cosa bensì il come. La transizione ecologica richiede un impegno economico senza precedenti: 1.000 miliardi di euro nei primi dieci anni. Parliamo di cifre che, senza una strategia di finanziamento chiara, rischiano di gravare sui bilanci pubblici e quindi sui cittadini.
Si tratta di una sfida, ma molti sostengono che gli investimenti creino ricadute positive
Le ricadute positive dipendono dalla capacità di gestire bene questi investimenti, cosa tutt’altro che scontata, e non è chiaro come verranno distribuite le risorse tra i vari Stati membri. Cosa accadrà ai paesi dell’Est Europa, dove le economie sono ancora legate ai combustibili fossili? Un’implementazione mal calibrata potrebbe accentuare il divario economico all’interno dell’Unione. È un problema di tempistica: forzare un cambiamento così rapido senza tenere conto delle disparità tra i paesi può portare a effetti destabilizzanti.
A proposito di occupazione, come si bilanciano i posti di lavoro persi e quelli guadagnati durante il processo della transizione ecologica?
Cominciamo col dire che la chiusura di industrie tradizionali, come quelle legate al carbone o all’automotive, avrà un impatto immediato e significativo sull’occupazione, soprattutto in regioni fortemente dipendenti da questi settori. I nuovi posti di lavoro richiedono competenze diverse e spesso non sono localizzati dove le persone perderanno il loro impiego. La transizione rischia di lasciare dietro di sé intere comunità.
Parliamo di competitività globale: l’Europa non rischia di penalizzare le sue imprese con normative troppo restrittive rispetto a Stati Uniti o Cina?
Esattamente. Questo è uno dei punti più critici: il rischio di carbon leakage. Se le aziende europee sono costrette a rispettare regolamentazioni ambientali rigide, potrebbero decidere di delocalizzare la produzione in paesi con norme meno stringenti. Non solo perderemmo posti di lavoro, ma le emissioni globali non diminuirebbero, spostandosi semplicemente altrove. Per evitarlo, servono politiche coordinate a livello internazionale, ma questo è più facile a dirsi che a farsi.
Considerando anche i possibili cambi di rotta a livello europeo, e non solo internazionale…
Certamente. La natura stessa del Green Deal, con orizzonti temporali di decenni, lo espone ai rischi legati alle dinamiche politiche. Cosa accadrà se un futuro governo in uno Stato membro decidesse di mettere in discussione gli obiettivi climatici? E poi c’è il problema della governance: le differenze nelle priorità nazionali possono rallentare l’attuazione delle politiche, rendendole meno efficaci.
Crede che il Green Deal possa davvero raggiungere i suoi obiettivi senza compromettere l’economia europea?
Può farlo, ma solo se verranno affrontate le criticità in modo pragmatico. Questo significa garantire risorse adeguate, supportare le economie più deboli e pianificare una transizione graduale. Altrimenti, rischiamo che un progetto nato per unire finisca per accentuare le divisioni in Europa.
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