La sentenza N. 09097/2024 del Consiglio di Stato affronta una controversia legata al diniego di un condono edilizio in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico. Al centro del caso vi sono due domande di sanatoria presentate da una società edilizia, rigettate per presunte violazioni delle normative vigenti, inclusi ritardi procedurali e vincoli ambientali.
La decisione del Consiglio di Stato ha annullato i dinieghi precedenti, riaprendo il dibattito su temi come la corretta applicazione del silenzio-assenso e il rispetto dei vincoli ambientali.
Quali sono le conseguenze di questa sentenza per i futuri contenziosi? Come possono tutelarsi cittadini e imprese in situazioni analoghe?
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Il contesto normativo
La controversia affrontata dal Consiglio di Stato richiama l’attenzione su due aspetti centrali: il regime del condono edilizio e la tutela paesaggistica. Il condono edilizio in Italia è stato introdotto per sanare costruzioni realizzate in difformità alle norme urbanistiche, a patto che venissero rispettate determinate condizioni. Le leggi principali di riferimento sono la Legge 47/1985, nota come “primo condono”, e le successive modifiche introdotte nel 1994 e nel 2003.
Un elemento chiave è il meccanismo del silenzio-assenso, previsto dalla normativa del primo condono: se un parere non viene espresso entro un termine specifico (180 giorni), si considera favorevole. Tuttavia, la presenza di vincoli paesaggistici, regolata dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004), può complicare il procedimento. In questi casi, il parere della Soprintendenza e delle autorità competenti è indispensabile, pena l’invalidità della sanatoria.
Questa cornice normativa pone numerosi interrogativi: quando si può applicare il silenzio-assenso? E in che misura i vincoli ambientali possono influire sull’iter del condono?
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I fatti della controversia
Il caso esaminato dal Consiglio di Stato ha avuto origine da due istanze di condono edilizio presentate da una società negli anni ’80 e ’90, relative a interventi effettuati su un immobile destinato alla produzione di prefabbricati edilizi. Le richieste riguardavano, da un lato, la sanatoria di otto strutture già esistenti, come depositi, laboratori, uffici e tettoie, e dall’altro, la modifica della destinazione urbanistica di un’area scoperta, utilizzata come deposito a cielo aperto.
La zona interessata, situata nei pressi di un corso d’acqua e apparentemente circondata da terreni definiti “boscati”, era sottoposta a vincolo paesaggistico.
La vicenda amministrativa è stata caratterizzata da notevoli ritardi.
Nonostante le istanze fossero state presentate decenni prima, l’amministrazione provinciale aveva emesso un diniego solo nel 2012, basandosi su un parere negativo della Soprintendenza che metteva in evidenza presunte criticità ambientali e paesaggistiche. Secondo la società, tuttavia, il parere era stato emesso oltre i termini di legge, attivando così il silenzio-assenso previsto dall’art. 32 della Legge 47/1985. Questo meccanismo, infatti, stabilisce che in assenza di una risposta entro 180 giorni, il parere si considera favorevole.
Un ulteriore elemento di complicazione era dato dalla decisione, nel 2010, di accorpare le due istanze originarie in un’unica richiesta, presentata in quella data dalla società su sollecitazione dell’amministrazione.
Tale accorpamento aveva sollevato una questione interpretativa: l’unificazione delle domande comportava la rinuncia implicita alle precedenti istanze?
Secondo l’amministrazione, il nuovo procedimento rendeva superati i termini applicabili al silenzio-assenso. La società, invece, sosteneva che questa interpretazione fosse erronea e lesiva dei propri diritti, poiché non aveva mai espresso formalmente una rinuncia alle domande originarie.
La controversia, quindi, si è articolata attorno a tre punti chiave: il mancato rispetto dei termini procedurali, l’erronea attribuzione di vincoli paesaggistici ai terreni coinvolti e la validità del parere negativo della Soprintendenza, ritenuto viziato per carenza di motivazione e per il superamento dei tempi previsti dalla normativa.
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Il giudizio del Consiglio di Stato
La sentenza del Consiglio di Stato ha rappresentato un punto di svolta nella vicenda, accogliendo l’appello presentato dalla società e annullando i dinieghi espressi in precedenza. Il Collegio ha rilevato che i termini previsti dalla normativa sul condono edilizio non erano stati rispettati.
In particolare, il silenzio-assenso previsto dall’art. 32 della Legge 47/1985, nella sua versione applicabile al caso, si era formato poiché le autorità competenti avevano impiegato ben oltre i 180 giorni stabiliti per esprimere un parere sul condono. La decisione del Consiglio di Stato ha chiarito che il rispetto delle tempistiche non può essere disatteso, anche in presenza di vincoli paesaggistici.
Un altro punto cruciale della sentenza è stata l’interpretazione dell’accorpamento delle istanze. Il Consiglio di Stato ha sottolineato che l’unificazione delle richieste, avvenuta nel 2010, non poteva essere considerata come una rinuncia implicita alle precedenti istanze di condono. Questo perché la volontà di rinunciare a un diritto già maturato deve essere inequivocabile, mentre nel caso in questione la società aveva agito solo per esigenze amministrative e non per riaprire ex novo il procedimento.
Infine, il Collegio ha evidenziato che il parere negativo della Soprintendenza era privo di una motivazione adeguata e, per di più, era stato espresso oltre i tempi previsti dalla normativa. Questo vizio ha compromesso l’intero iter amministrativo, rendendo illegittimi i successivi provvedimenti di diniego adottati dall’amministrazione provinciale.
La sentenza ha quindi ristabilito i diritti della società, sottolineando l’importanza del rispetto delle regole procedurali e della corretta applicazione delle normative sui vincoli paesaggistici.
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Conclusione
La sentenza del Consiglio di Stato n° 09097/2024 evidenzia come il rispetto delle norme e delle tempistiche nei procedimenti amministrativi sia fondamentale per garantire la tutela dei diritti di cittadini e imprese.
Il caso esaminato sottolinea l’importanza del silenzio-assenso come strumento di garanzia e la necessità che i pareri delle amministrazioni, soprattutto in materia di vincoli paesaggistici, siano espressi in modo tempestivo e motivato. Questa decisione non solo restituisce giustizia al ricorrente, ma rappresenta anche un invito a migliorare l’efficienza e la trasparenza della macchina amministrativa.
TAGS: condono edilizio, consiglio di stato, diritto urbanistico, normativa edilizia, procedimenti amministrativi, ritardi amministrativi, sentenza edilizia, silenzio assenso, Soprintendenza, vincoli paesaggistici
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