«Oltre le frange estreme del negazionismo e di parte dell’ambientalismo, abbiamo ottenuto un buon compromesso, prevedendo 300 miliardi di aiuti all’anno per le nazioni più fragili». Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, esce moderatamente soddisfatto dalla Cop29, sulla scia di quel modello di transizione green che il governo considera «morbida e sostenibile per lavoratori e imprese, nello spirito del Piano Mattei e del Fondo per il Clima». Nessuno tra gli Stati che ha partecipato alla Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici di Baku, in Azerbaigian, è del tutto soddisfatto dell’accordo finale. Ma l’opinione comune tra le delegazioni dei governi nazionali (almeno tra i Paesi sviluppati) è che la Conferenza non sia stata un flop, come avevano temuto nei giorni scorsi, e che qualcosa sulla cosiddetta “finanza climatica” alla fine si sia ottenuto. Con l’obiettivo, almeno per l’Italia e l’Ue, di portare a casa risultati più importanti sul contenimento dell’innalzamento delle temperature mondiali, entro gli 1,5 gradi strutturali, alla Conferenza del 2025 in Brasile. Anche se, come spiegano gli esperti dell’Onu e sostengono i Paesi più poveri (che erano sul punto di rifiutare l’accordo), nei prossimi anni il mondo supererà sporadicamente la soglia degli 1,5 gradi e serve elevare il fondo a 1,3 trilioni l’anno per adattarsi alle future inondazioni, siccità, innalzamento dei mari, desertificazione e calore estremo. Eventi che saranno sempre più catastrofici.
Il compromesso, per il segretario generale dell’Onu, António Guterres, «poteva essere più ambizioso, ma fa da base» per il futuro. L’accordo prevede di triplicare la dote del fondo per i Paesi vulnerabili previsto dall’Accordo di Parigi, da 100 a 300 miliardi di dollari. Ma a questa cifra si arriverà solo nel 2035, allargando la base degli Stati contributori senza obblighi per i Paesi in via di sviluppo (tra cui la Cina, anche se è prima al mondo per emissioni). Delusi India, Stati africani e molti Paesi asiatici.
I DETTAGLI
I dettagli su come arrivare ai 300 miliardi non sono stati definiti, ma si attingerà a diverse fonti. Non tutti saranno finanziamenti a fondo perduto (come chiedevano le nazioni più vulnerabili). Una buona parte saranno prestiti delle banche di sviluppo e delle banche private, con garanzia statale. L’Italia dovrà versare almeno 4 miliardi l’anno, ma potrà contabilizzare interventi già programmati (come il collegamento elettrico Tunisia-Sicilia), finanziati anche dai privati e dall’Ue. L’obiettivo dell’esecutivo è di mobilitare con ogni euro pubblico dai 2 ai 5 euro dei privati (fino a 10-15 miliardi, considerando i 4,2 miliardi già contenuti nel Fondo Clima). Coprendoci per i prossimi 3-4 anni. Inoltre, nelle dichiarazioni congiunte della presidenza dell’Azerbaijan contenute nel documento finale della Cop29, ci sono i target sui 1500 gigawatt all’anno di stoccaggio dell’energia per aumentare l’efficienza delle rinnovabili, sull’idrogeno e sui corridoi verdi, portati avanti dall’Italia anche nell’ultimo G7 a sua guida. Diverse decine di Paesi hanno aderito volontariamente.
Alla Cop29 è stato anche approvato un meccanismo internazionale di scambio di quote di carbonio (sul modello Ets dell’Ue), che permetterà agli Stati di investire in progetti di decarbonizzazione all’estero. «Servono – per Alessandro Lanza, direttore esecutivo della Fondazione Mattei – più fondi e più vincoli, anche perché senza sforzi aggiuntivi ci saranno sempre più catastrofi come a Valencia. L’Italia, però, rispetto al contesto globale, è da anni tra le nazioni più virtuose. L’Ue nel suo complesso, invece, esce dalla Cop29 indebolita».
LE REAZIONI
È fallito, infatti, il tentativo europeo di inserire nell’accordo una roadmap concreta per triplicare le rinnovabili e il tasso di efficienza energetica entro il 2030. Tuttavia, secondo il commissario europeo per il clima Wopke Hoekstra, «la Cop29 è l’inizio di una nuova era per la finanza climatica, che stimola nuovi investimenti». D’accordo la sua presidente, Ursula von der Leyen. Per il presidente Usa, Joe Biden, è «un accordo storico», ma Davide Chiaroni, esperto in temi ambientali di Energy & Strategy, sottolinea che «l’intesa lascia spazio a una revisione delle politiche climatiche da parte di Donald Trump e senza gli Usa raggiungere i 300 miliardi sarà difficile».
Secondo Lanza, poi, «Cina e Paesi del Medio Oriente non ricevono ulteriore pressione sul fronte dei target climatici». Anche se, va detto, Pechino è il principale produttore al mondo di tecnologie per la transizione. Mentre le tante nazioni povere e vulnerabili, secondo Chiaroni, «escono dal vertice sconfitte, facendo perdere la fiducia nel sistema di governance planetario». Per questo gli attivisti per il clima da giorni protestano a Baku e nelle principali capitali mondiali. A guidarli la svedese Greta Thunberg, che ritiene la Cop 29 «un fallimento» e ha invitato a manifestare in tutto il mondo a difesa del pianeta. In Italia sono abbastanza soddisfatti dell’accordo la maggioranza e Unimpresa. Critici, invece, Legambiente e le opposizioni, dal Pd e il M5s fino ad Avs. Per Angelo Bonelli, leader dei Verdi, «quanto deciso è insufficiente per salvare il pianeta dalla catastrofe: serve ridurre le emissioni globali del 60% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2019. L’Italia, però, negozia con il ministro Pichetto che è un negazionista climatico».
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