La crisi Northvolt, la promessa europea delle batterie, rischia di colpire pesantemente i conti di Goldman Sachs e di una serie di fonti pensione principalemnte canadesi e del Nord Europa. Secondo un’anticipazione del financial Times la banca d’affari americana, che detiene una quota del 19% della società alle spalle di Volkswagen che ha il 21%, potrebbe rimetterci circa 900 milioni di dollari.
L’azienda svedese fondata nel 2016 e considerata una delle principali speranze per l’industria delle batterie in Europa per fare concorrenza ai big asiatici, ha infatti presentato settimana scorsa un’istanza di protezione fallimentare negli Stati Uniti sotto la procedura Chapter 11. Questa mossa è avvenuta dopo mesi di difficoltà finanziarie e l’impossibilità di raccogliere ulteriori capitali per continuare le operazioni. Northvolt, che rappresentava un simbolo della transizione energetica europea e aveva attratto enormi investimenti pubblici e privati, è ora a un bivio: capire se riuscirà a ristrutturare i debiti e ottenere nuovi capitali per tornare a giocare un ruolo chiave nel settore delle batterie elettriche, oppure se le perdite accumulate, la dipendenza da fornitori esterni e la forte esposizione dei suoi principali azionisti non renderanno possibile la sua sopravvivenza.Il giorno dopo la presentazione dell’istanza, l’ad e co-fondatore Peter Carlsson ha annunciato le dimissioni.
I motivi della crisi di Northvolt
Nell’ultimo anno, l’azienda svedese ha avuto difficoltà produttive e perdite di ordini importanti: non è riuscita a rispettare i propri obiettivi di produzione, il che ha danneggiato i rapporti con clienti chiave.
A giugno 2023, BMW ha annullato un ordine del valore di un miliardo di dollari, mettendo in crisi le prospettive di crescita dell’azienda. Per affrontare la situazione, Northvolt ha provato a tagliare i costi, ridotto il personale e concentrato le attività sulla fabbrica principale di Northvolt Ett, nel nord della Svezia. Tuttavia, nonostante questi sforzi, la società non è riuscita a garantire la liquidità necessaria per sopravvivere.
L’azienda ha accumulato circa 5,8 miliardi di dollari di debiti con una lista di creditori ampia e diversificata, tra cui aziende europee e cinesi, nonché banche pubbliche tedesche. Tra i maggiori creditori, secondo quanto riportato da Sifted (FT), figurano Volta Vision (3,8 miliardi di dollari), KfW Bank, una banca pubblica tedesca (695 milioni di dollari) e Volkswagen, che oltre a essere il maggiore azionista ha concesso un prestito convertibile di 355 milioni di dollari.
Inoltre, nonostante l’obiettivo di costruire una filiera europea delle batterie proprio per battere i competitor asiatici, Northvolt dipende ancora fortemente da fornitori cinesi per materiali chiave e attrezzature. Per esempio Wuxi Lead che fornisce macchinari per le gigafactory e Easpring Technology che vende materiali catodici per batterie al litio.
Implicazioni per investitori e creditori
Volkswagen possiede il 20% delle azioni di Northvolt, avendo investito circa 1,4 miliardi di euro. Se l’azienda non riuscirà a completare la propria ristrutturazione, VW potrebbe perdere gran parte del suo investimento. Goldman Sachs, con una quota del 19%, è il secondo azionista maggiore, e, secondo quanto riporta il Financial Times la perdita potrebbe arrivare a quasi 900 milioni di dollari, circa 860 milioni di euro. I fondi di private equity di Goldman, secondo secondo le lettere agli investitori visionate dal Financial Times, hanno almeno 896 milioni di dollari di esposizione a Northvolt e ridurranno l’esposizione a zero alla fine dell’anno.
Le perdite, spiega il quotidiano, segnano un netto contrasto con una previsione rialzista di appena sette mesi fa da parte di uno dei fondi Goldman, che ha detto agli investitori che il suo investimento in Northvolt valeva 4,29 volte quanto aveva pagato e che questo sarebbe aumentato a sei volte entro l’anno prossimo.
Tra gli azionisti, sempre secondo l’analisi del quotidiano britannico, ci sono poi anche fondi pensione come la danese ATP per 308 milioni di euro, i fondi pensione svedesi AP1-AP4 per 513 milioni di euro e alcuni altri canadesi con circa 1,1 miliardi di dollari investiti complessivamente.
Mentre, l’Unione Europea, il governo tedesco e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) che avevano promesso finanziamenti significativi (circa 2,7 miliardi di euro), non avevano ancora erogato tali risorse.
Cosa accade con la procedura Chapter 11
Il Chapter 11 negli Stati Uniti permette a Northvolt di ristrutturare i debiti e negoziare con i creditori, mantenere il controllo dell’azienda, evitando che un curatore esterno prenda il comando come avverrebbe in altre forme di bancarotta, continuare a operare grazie a un finanziamento ponte di 245 milioni di dollari di cui 145 milioni di dollari in contanti e 100 milioni di dollari dal cliente e partner Scania.
Il Chapter 11 richiede che l’azienda presenti un piano di ristrutturazione entro quattro mesi, con la possibilità di estendere il periodo fino a 18 mesi. Se Northvolt non riuscisse a proporre un piano accettabile, potrebbe essere costretta a passare al Chapter 7, che prevede la liquidazione totale.
In particolare la ristrutturazione potrebbe portare all’ingresso di nuovi finanziatori, che diventerebbero i nuovi proprietari di Northvolt, diluendo o azzerando le partecipazioni degli azionisti attuali. L’azienda potrebbe cedere alcune attività, come il riciclo e la produzione di catodi, a partner esterni.
Se il Chapter 11 fallisce, l’azienda potrebbe essere smantellata, con la vendita degli asset per ripagare i debiti. Questo scenario rappresenterebbe una perdita per gli investitori europei e un colpo all’autonomia dell’Europa nel settore delle batterie.
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