L’economia circolare si conferma essere un settore molto importante per l’economia italiana, con un valore aggiunto che si attesta al 2,5% del Pil, percentuale superiore alla media europea. Nel comparto lavorano circa 613mila persone a tempo indeterminato, circa il 2,4% degli occupati con analogo contratto.
Questi sono alcuni dei dati emersi dal rapporto annuale “L’Italia che ricicla”, promosso dalla sezione Unicircular di Assoambiente, l’associazione delle imprese di servizi ambientali ed economia circolare. L’analisi si concentra sui punti di forza e sulle criticità dell’industria del riciclo in Italia, approfondendo inoltre il grado di maturità e di avanzamento dell’economia circolare. “L’industria italiana del riciclo si conferma un’eccellenza del nostro Paese e una risorsa strategica per l’economia circolare e la decarbonizzazione dell’economia nazionale ed europea; un prezioso strumento per ridurre la nostra tradizionale dipendenza energetica”, si legge nel rapporto, che evidenzia l’importanza di misure legislative a sostegno del comparto: “Dal 2020 l’uso circolare di materia in Italia sta vivendo una fase di contrazione. Per rafforzare il ruolo strategico del settore e dare sostanza alla circular economy è oggi necessario seguire un’agenda di riforme che veda impegnate Istituzioni nazionali ed europee e operatori del settore”.
C’è grande potenzialità nel settore del riciclo, tanto che nel 2023 l’Italia è risultata importatrice netta di materie prime seconde per 8 milioni di tonnellate circa. Ma è necessario sostenere il settore anche nel lungo periodo, tenendo presente alcuni segnali negativi che potrebbero portare ad un’inversione di tendenza. Dal 2020, infatti, si è registrata nel nostro Paese una contrazione dei consumi e, contemporaneamente, una riduzione di materie prime ottenute dal riciclo. Per ritornare ai dati pre-pandemia sarebbero importanti investimenti mirati e in linea con gli altri Paesi europei: la quota di Pil investita in economia circolare in Italia è pari allo 0,7%, dato inferiore alla media europea e a quella delle principali economie come Germania (0,9%) e Francia (0,8%).
Un percorso che, secondo il presidente della sezione Unicircular di Assoambiente, Paolo Barberi, deve necessariamente includere “una strategia industriale che consideri la circolarità come un pilastro essenziale per la competitività e la sostenibilità del Paese. In particolare, vanno rimosse le barriere regolatorie che rappresentano il vero freno alla decarbonizzazione del nostro sistema produttivo”, conclude Barberi.
A questo proposito Assoambiente, nell’Agenda 2030 per il Riciclo, ha stilato cinque punti programmatici per delineare il piano di transizione verso un’economia circolare matura: innanzitutto il completamento del mercato unico europeo per i prodotti riciclati, con la rimozione degli ostacoli normativi, burocratici e regolamentare; poi il riconoscimento del contributo del riciclo alla decarbonizzazione, con conseguente rivoluzione fiscale per il settore. Il quarto punto è il rafforzamento delle attività complementari al riciclo, migliorando quantità e qualità delle raccolte differenziate e potenziando il recupero energetico per le frazioni non riciclabili. Infine, è necessario un ripensamento normativo e amministrativo delle regole per il comparto, recependo efficacemente le prescrizioni europee.
Come commentato da Chicco Testa, presidente di Assoambiente, “l’industria del riciclo oggi può rivelarsi strategica anche per ridurre la dipendenza del nostro Paese dall’importazione di materie prime (anche di quelle “critiche”) e di energia da altri Paesi, portando a compimento finalmente l’atteso disaccoppiamento tra andamento delle attività economiche e consumo di materia, già raggiunto da altre economie europee”.
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