I partiti provano a raddoppiarsi il finanziamento pubblico ma arriva lo stop del Quirinale. Il Colle avrebbe espresso rilievi su un emendamento al dl fiscale che riforma la ripartizione del 2 per mille ai partiti. Tre sono i profili su cui si sarebbero registrati i suoi rilievi, come scrive Il Sole24 ore: le modifiche alla normativa vigente contenute nell’emendamento sono disomogenee rispetto al testo del decreto che deve avere le caratteristiche di necessità e urgenza, una riforma necessiterebbe di un provvedimento ad hoc più articolato e, infine, l’emendamento ha un impatto sulle finanze pubbliche. Per questo dopo aver studiato la formulazione del testo, il capo dello Stato ha fatto sapere alla presidenza del Senato che in caso di via libera all’emendamento potrebbero esserci difficoltà al momento della firma.
Era il 2013 quando Enrico Letta aveva promesso e attuato l’abolizione del finanziamento ai partiti. Ma dieci anni dopo, con la scusa dell’inchiesta ligure che ha travolto il governatore Giovanni Toti, i partiti ne hanno approfittato per riaprire il dibattito sul finanziamento pubblico ai partiti. Primo fra tutti il Pd che, con Andrea Giorgis, aveva depositato una proposta di legge con cui chiedeva di raddoppiare il fondo del 2Xmille, da 25 a 45 milioni, e di cambiare il meccanismo: ai partiti non andrebbero solo i soldi di chi sceglie una forza politica ma anche il cosiddetto inoptato. Favorevoli Forza Italia e Lega mentre FdI non prendeva posizione. Contrari nel centrosinistra il M5S e anche Matteo Renzi.
Il Pd non ha mai rinunciato a quella proposta. E il governo ha provato a farla sua, evidentemente la cosa fa gola adesso anche a FdI, riformulando due emendamenti di Pd e Avs al decreto fiscale collegato alla Manovra. La riformulazione del governo riduce dal 2 per mille allo 0,2 per mille dell’Irpef il contributo destinato ai partiti politici, ma stabilisce che anche che la quota inoptata, che attualmente resta allo Stato, vada ai partiti. “In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse”, si legge nella proposta di modifica. Il finanziamento della misura inoltre quasi raddoppia a 42,3 milioni, si legge nel testo, dai 25,1 attualmente previsti. La scelta di ripartire anche la quota inoptata, anziché lasciarla allo Stato, è analoga a quella già esistente per l’8 per mille.
Dagli ultimi dati del Mef sul due per mille, ai partiti sono andati poco più di 24 milioni, con il Pd che ha raccolto circa il 30,45% del totale delle scelte e incassato poco più di 8 milioni, seguito da FdI (cui sono andati 4,8 milioni pari al 19,94% delle scelte) e M5s (1,8 milioni con il 10%). Le due proposte di Avs e del Pd prevedevano un contributo di 3 milioni per alzare il tetto e garantire così la copertura integrale delle scelte effettuate dai contribuenti, che quest’anno hanno superato i 28 milioni. Ma il senatore di Avs Tino Magni, fanno sapere dal partito, chiarisce subito di essere pronto a ritirare l’emendamento e che non accetterà la riformulazione.
Ma la proposta del dem Giorgis, firmata peraltro dai big del partito – da Antonio Misiani al tesoriere di Elly Schlein, Michele Fina – era quella che ha ispirato, evidentemente, l’attuale formulazione dell’esecutivo. Ovvio che la posizione del Pd sia differente. “Così si applicherà – osserva il dem Daniele Manca – lo stesso metodo che si applica alla chiesa cattolica per l’otto per mille. Il governo ha deciso di sfruttare l’occasione per mettere a posto la norma e dare seguito alle indicazioni dei cittadini. Ricordo che la legge di bilancio già elimina le detrazioni fiscali sulle erogazioni liberali”. Assolutamente contrario il M5S. “Colpo di mano del governo” sul 2xmille, “dove hanno aperto al non optato”, afferma il capogruppo del M5S Stefano Patuanelli, aggiungendo: “Ci opporremo con tutte le nostre forze”. Ora a stopparlo ci ha pensato Sergio Mattarella.
Rimangono invece le tensioni sul canone Rai. Il partito di Giorgia Meloni, salvo nuove sorprese, sarebbe pronto a votare assieme ai leghisti per confermare il taglio. Una scelta accompagnata dalla consapevolezza che in base ai numeri in commissione con ogni probabilità la proposta verrebbe respinta. Il rischio è una nuova frattura nella maggioranza. Al punto che ieri, in tarda serata, la commissione Bilancio del Senato, chiamata all’esame del decreto fiscale, ha deciso, dopo un tira e molla, di riaggiornare i lavori a questa mattina.
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