Ciò che in un linguaggio più manageriale i vertici di Banco Bpm spiegavano nella nota con cui hanno rimandato al mittente le attenzioni di Unicredit, lo hanno chiarito con più forza in una lettera ai dipendenti. Le sinergie di costo per 900 milioni ipotizzate nel caso andasse in porto l’offerta lanciata dal gruppo guidato da Andrea Orcel vorrebbero dire “tagli al personale per oltre 6.000 colleghi e colleghe”. Firmato Giuseppe Castagna. L’amministratore delegato del Banco Bpm ha deciso di rivolgersi ai dipendenti all’indomani del consiglio d’amministrazione che ha alzato un muro contro la maxi-operazione da 10 miliardi carta su carta, ossia pagando gli azionisti di Banco Bpm con azioni Unicredit di nuova emissione, che porterebbe il terzo gruppo italiano nell’ottica del colosso di Piazza Gae Aulenti. Nel farlo ha toccato le stesse corde già utilizzate a settembre dal sindacato tedesco Ver.di, pronto a parlare di “disastro” per i lavoratori quando sempre Unicredit si è mossa su Commerzbank.
Nella comunicazione ai bancari Castagna ricorda i risultati del terzo trimestre, chiusi con un utile di 1,7 miliardi. E soprattutto ricorda l’offerta da 1,6 miliardi per acquisire Anima, primo gruppo indipendente del risparmio gestito nella penisola, nonché l’acquisto del 5% del Monte dei Paschi di Siena, che una volta completata l’opa su Anima salirà al 9% conteggiando la quota nel portafoglio della sgr. Tutte operazioni che “hanno rafforzato il nostro posizionamento, ponendo le basi per un futuro di ulteriore crescita”, scrive l’ad di Piazza Filippo Meda, “Forse anche per questi motivi, ci troviamo oggi a dover commentare un’operazione non concordata con la banca e a condizioni di prezzo inusuali per questo tipo di operazioni”.
L’istituto milanese continua a trovare nella Lega un alleato in sua difesa. Il Carroccio conta di costruire attorno a Banco Bpm e al Monte dei Paschi un possibile terzo polo bancario a trazione italiana. In più la banca di Piazza Meda è un riferimento per il mondo leghista, perché nata dalla fusione della Popolare di Milano con la veronese Banco popolare, espressione di due territori nei quali le istanze del Carroccio sono da sempre forti. Per queste ragioni Matteo Salvini è stato il primo a schierarsi contro Orcel fino a contestare l’italianità di Unicredit. Anche la prospettiva di dare vita al terzo gruppo bancario europeo dopo la britannica Hsbc e la svizzera Ubs non smuove il leader leghista. Tutto il contrario. “Ogni volta che nascono delle giga-banche per il piccolo risparmiatore può essere un problema perché è più difficile avere un mutuo, avere un fido, un prestito perché decide un algoritmo, Basilea e un cervellone”, ha commentato ancora oggi, mercoledì 27 novembre, Salvini. ”Abbiamo il dovere di difendere il risparmio degli italiani e il lavoro degli italiani, messo a rischio in questo caso da operazioni finanziarie che non rispondono agli interessi degli italiani. Unicredit ormai di italiano ha poco ed è controllata da stranieri, che vada ora a fare acquisti di altre banche per magari chiudere sportelli in Italia e trasferire i risparmi degli italiani all’estero: permettetemi da ministro e da italiano di difendere l’italianità rimasta del sistema bancario”.
Poco importa quindi che, assieme alla partecipazione rilevante del fondo Usa BlackRock, il cui ceo Larry Fink ha instaurato un ottimo rapporto con la premier Giorgia Meloni, nel capitale di Piazza Gae Aulenti ci sia il fior fiore delle fondazioni bancarie italiane: la Crt di Torino, Cariverona, la Fondazione Cassa di risparmio di Modena. È poi socio pensante la finanziaria Delfin della famiglia Del Vecchio, protagonista assieme ad Anima, Banco Bpm e all’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone dell’ultima tranche della privatizzazione del Monte dei Paschi di Siena. Ossia quel nucleo di azionisti italiani il cui 15% assieme all’11,6% ancora in mano al Tesoro dovrebbe permettere in prospettiva la nascita del terzo polo bancario, alternativo a Intesa SanPaolo e Unicredit.
Secondo gli analisti di Equita, in ogni caso, l’offerta presentata da Orcel rappresenta a oggi “solo un primo step nelle interlocuzioni con gli stakeholder del Banco Bpm”. Non a caso gli occhi sono tutti puntati sui francesi di Crédit Agricole, primo azionista di Piazza Meda al 9,2%. Per adesso la banca d’Oltralpe ha smentito di aver chiesto alla Bce di portare la sua partecipazione al 19%. Tuttavia ci si interroga se non sia il possibile destinatario della quota attorno al 5% accreditata a JP Morgan. Secondo un altro scenario è comunque plausibile che i francesi aderiscano all’ops, magari in cambio di contropartite. La moneta di scambio potrebbe essere il rinnovo della partnership in scadenza nel 2027 con Amundi, ossia la branca del risparmio gestito dei francesi, oppure cedere un pacchetto di filiali.
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