Il contribuente che si rendesse conto che l’avviso di accertamento è affetto da un vizio così evidente che lo stesso Ufficio, nel riesaminare la posizione fiscale, possa rettificare il proprio operato, può presentare istanza di autotutela all’Agenzia delle Entrate.
E’ possibile distingue due tipologie di autotutela: obbligatoria e facoltativa.
Leggi anche: Fiscalità internazionale: errori da evitare per tutelarsi.
L’autotutela è obbligatoria quando sussistono i presupposti affinché l’Amministrazione finanziaria procedera in tutto o in parte all’annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi. Tale istituto è disciplinato dall’art. 10-quater (Esercizio del potere di autotutela obbligatoria) della Legge n. 212/2000 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).
Tale tipologia di autotutela può operare nei seguenti casi di illegittimità dell’atto o dell’imposizione:
- errore di persona;
- errore di calcolo;
- errore sull’individuazione del tributo;
- errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria;
- errore sul presupposto d’imposta;
- mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti;
- mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.
L’obbligo di autotutela, invece, non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria, nonche’ decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione.
Con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall’Amministrazione finanziaria ai fini dell’autotutela obbligatoria la responsabilità dei funzionari è limitata alle sole ipotesi di dolo.
Fuori dei casi in cui è prevista l’autotutela obbligaotria, l’Amministrazione finanziaria può procedere all’annullamento (in tutto o in parte) di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione (senza necessità di istanza di parte), anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione.
L’Autotutela facoltativa è regolata dall’art. 10-quinquies (Esercizio del potere di autotutela facoltativa) della Legge n. 212/2000 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).
Anche in questo caso le responsabilità dei funzionario per le valutazioni di fatto operate dall’Amministrazione finanziaria è limitata alle ipotesi di dolo.
3. Modalità di presentazione dell’istanza
Stando alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 7 novembre 2024, n. 21/E, la richiesta di autotutela va indirizzata all’Ufficio che ha emesso l’atto di cui si chiede l’annullamento.
La competenza a esercitare il potere di autotutela sussiste in capo alle strutture territoriali mentre quelle centrali non sono coinvolte nei relativi procedimenti, ad eccezione delle ipotesi di richieste di autotutela aventi a oggetto atti a rilevanza esterna emessi da queste ultime.
Quindi, gli Uffici centrali non hanno alcun potere di intervento rispetto agli atti rientranti nell’esclusiva competenza delle strutture territoriali, provinciali o regionali, che abbiano provveduto alla loro adozione.
Qualora il contribuente presenti, per errore, la richiesta a una struttura non competente (come, ad esempio, a una Direzione regionale per un atto emesso da un Ufficio di una Direzione provinciale), la struttura ricevente deve trasmettere tempestivamente detta richiesta all’Ufficio competente, informandone contestualmente il contribuente all’indirizzo indicato nella richiesta stessa o, in assenza, a quello risultante come domicilio fiscale in anagrafe tributaria.
Ne deriva che, in ipotesi di autotutela obbligatoria, l’istanza anche se presentata ad un Ufficio incompetente deve, comunque, considerarsi idonea ad impedire la decadenza, prevista dall’articolo 10-quater, comma 2, del termine annuale dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione.
Tuttavia, il Fisco osserva che, al fine di garantire il rispetto del principio del buon andamento dell’azione amministrativa ed assicurare l’economicità, l’efficienza e l’efficacia della stessa, il giorno di decorrenza del termine di novanta giorni a partire dal quale il contribuente può impugnare l’eventuale rifiuto tacito, deve essere individuato nel giorno in cui l’istanza è pervenuta all’Ufficio competente, il quale ne darà tempestiva comunicazione al contribuente.
La presentazione delle richieste di autotutela non sospende né interrompe la decorrenza di alcun termine previsto dal legislatore, in primis quello per la proposizione del ricorso giurisdizionale.
Nell’ipotesi in cui la richiesta di autotutela dovesse produrre effetti anche su atti emessi da uffici diversi dell’Agenzia (come, ad esempio, in ipotesi di accertamento di utili extracontabili, nei rapporti tra società e soci) e la stessa non dovesse essere stata indirizzata a tutte le strutture competenti, l’Ufficio (che riceve l’istanza) dovrà attivare ogni opportuno coordinamento con le altre strutture interessate.
4. Il contenuto dell’istanza di autotutela
Sempre attraverso la Circolare 7 novembre 2024, n. 21/E, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’istanza di autotutela deve rappresentare in modo esaustivo tutti gli elementi (di fatto e di diritto) su cui si fonda la richiesta di autotutela e va corredata di tutta la documentazione in possesso del richiedente idonea a dimostrare la sussistenza dei vizi che giustificano la revisione dell’atto.
L’istanza deve essere presentata avvalendosi di strumenti atti a certificarne ’invio da parte del soggetto legittimato a presentarla, tramite, ad esempio, l’utilizzo dei servizi telematici (accesso tramite SPID, CIE o CNS), tramite posta elettronica certificata o in alternativa tramite consegna a mano con accesso fisico allo sportello.
Nel quadro dei principi enunciati dall’articolo 10 dello Statuto del contribuente, al fine di garantire l’efficienza dell’azione amministrativa, è opportuno che le richieste di autotutela riportino:
- i dati identificativi del contribuente o del suo eventuale rappresentante a cui è stato notificato l’atto di cui si chiede l’annullamento;
- i dati di contatto a cui inviare comunicazioni e notificare l’eventuale provvedimento di accoglimento o diniego della richiesta indicando l’indirizzo di posta elettronica certificata;
- in mancanza di uno dei predetti domicili digitali, la notifica del provvedimento deve essere eseguita al domicilio fiscale del contribuente istante risultante dall’anagrafe tributaria;
- gli estremi dell’atto di cui si chiede l’annullamento;
- una dettagliata descrizione della fattispecie e ogni documentazione utile allo svolgimento della fase istruttoria da parte degli Uffici;
- i vizi dell’atto e le ragioni di fatto e di diritto, in modo chiaro ed esaustivo, per le quali si chiede l’annullamento;
- la sottoscrizione del richiedente o del suo legale rappresentante ovvero del procuratore generale o speciale incaricato, previa procura, in calce o a margine dell’atto, ovvero allegata all’istanza.
5. Il potere di autotutela dell’Agenzia delle Entrate a sfavore del contribuente (in “malam partem”)
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con Sentenza 21 novembre 2024, n. 30051, ha ritenuto che l’autotutela tributaria in malam partem, ossia l’annullamento di un atto impositivo con la successiva emissione di un nuovo provvedimento più sfavorevole per il contribuente, è legittima purché rispetti il principio di legalità.
Questo potere, esercitabile dall’Amministrazione finanziaria, trova il suo fondamento nell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, garantendo che ogni imposizione sia conforme al principio costituzionale di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione.
A differenza dell’accertamento integrativo, l’autotutela sostitutiva non richiede la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, ma può essere esercitata sulla base degli stessi fatti già noti al momento dell’emissione del primo atto, purché quest’ultimo risulti viziato, sia per errori formali che sostanziali.
Tuttavia, il principio di tutela dell’affidamento del contribuente impone alcuni limiti. Non è sufficiente l’esistenza di un atto errato per tutelare il contribuente rispetto alla pretesa di un’imposizione corretta: il solo errore dell’Amministrazione non genera automaticamente una posizione giuridicamente protetta.
L’affidamento può essere considerato meritevole di tutela solo in presenza di specifiche circostanze, come l’esistenza di indicazioni contraddittorie fornite dall’Amministrazione o situazioni di incertezza indotte dalle sue azioni.
In assenza di tali elementi, prevale l’interesse pubblico a correggere l’illegittimità e a garantire una corretta imposizione fiscale.
L’autotutela in malam partem, quindi, si configura come uno strumento essenziale per assicurare il rispetto delle regole fiscali, bilanciando il dovere dell’Amministrazione di garantire legalità e giustizia con l’esigenza di rispettare eventuali situazioni di legittimo affidamento del contribuente.
In definitiva, la Corte di legittimità ha ritenuto che, in caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall’errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Costituzione.
Può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l’esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell’agenzia fiscale anteriormente all’adozione dell’atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità.
6. Errori da evitare e l’importanza di un difensore esperto
Sempre più spesso, nella pratica professionale, si assiste al perdurare di alcune convinzioni da parte dei contribuenti che, quando infondate, possono seriamente danneggiarne gli interessi economici, in modalità dagli stessi non immaginate.
Qualora l’istanza di autotutela non dovesse essere accolta e si rendesse necessario attivare un contenzioso tributario con il Fisco è bene tenere in considerazione le seguenti considerazioni.
Di seguito, quindi, si forniscono alcune indicazioni al fine di permettere ai contribuenti di evitare tali errori e di meglio tutelare i propri interessi.
In particolare, con riferimento all’opportunità di presentare ricorso, davanti alla Corte di Giustizia Tributaria competente, avverso gli atti del Fisco, il contribuente, in assenza di competenze tecniche in materia, può essere portato a ritenere che:
1. una pretesa del Fisco ritenuta apparentemente “ingiusta” sia da ritenersi illegittima (ERRORE);
2. la “verità dei fatti” sia sufficiente a giustificare l’illegittimità dell’atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, a vincere il giudizio (ERRORE);
3. l’esistenza di “precedenti favorevoli”, riguardanti situazioni simili alla propria, costituisca una garanzia di buon esito del proprio contenzioso, ovvero l’esistenza di una “causa vinta” (ERRORE).
Tali convinzioni sono ERRATE e possono essere ben disattese con il RIGETTO del ricorso presentato e la CONDANNA del contribuente al pagamento delle spese processuali. In questi casi, l’ULTERIORE DANNO che subisce il contribuente è quello di perdere la possibilità di aderire agli istituti deflattivi del contenzioso (in senso lato, ad es. ravvedimento operoso, acquiescenza, accertamento con adesione, conciliazione) e, quindi, di dover pagare le sanzioni in misura piena, senza alcuna riduzione (invece, possibile incaso di mancata impugnazione dell’atto impositivo e di attivazione dei predetti istituti).
Infatti, per un CORRETTO approccio alla questione, bisogna chiarire che:
1. in una materia tecnica come quella del diritto tributario, la pretesa del Fisco può ritenersi “ingiusta” SOLO sotto il profilo tecnico, vale a dire quando violi specifiche norme di diritto che spetta al giurista-difensore, e non al contribuente, individuare;
2. la “verità dei fatti” non ha valore assoluto nel processo di difesa, dovendosi, piuttosto, concentrarsi sull’articolazione della difesa, data dalla dimostrazione e l’argomentazione di detti fatti, attraverso gli strumenti del processo tributario, in modo da giungere ad una “verità processuale” che consenta di vincere il giudizio;
3. l’esistenza di “precedenti favorevoli”, in primo luogo, deve essere valutata dal difensore (in quanto la comunanza delle questioni sottese non deve mai essere data per scontata) e, in secondo luogo, non esclude mai la precisa articolazione delle proprie difese attraverso un uso esperto degli strumenti processuali, tale da ottenere l’accoglimento del ricorso.
In altri e più chiari termini, non esistono “cause vinte” in partenza, ma esistono cause in cui il difensore esperto riesca a vincere:
1. individuando le specifiche norme di diritto violate e, su tali basi, articolare la difesa del contribuente nel ricorso;
2. concentrandosi sulla dimostrazione e sull’argomentazione di detti fatti giungendo, attraverso gli strumenti del processo tributario, a far emergere una “verità processuale” che giustifichi l’accoglimento del ricorso;
3. individuando solo i precisi “precedenti favorevoli” pertinenti alla fattispecie esaminata e, anche a prescindere dagli stessi, svolgere una puntuale articolazione delle difese del contribuente, attraverso un sapiente uso degli strumenti del processo tributario, in modo da spianare la strada all’annullamento dell’atto impugnato.
Sulla base di quanto sopra descritto, emerge con chiarezza che, in presenza di una medesima fattispecie e di uno stesso atto impositivo, la differenza tra l’accoglimento del ricorso a favore del contribuente, da un lato, oppure il rigetto del ricorso del contribuente e la sua condanna al pagamento delle spese a favore del Fisco nonché la perdita della possibilità di aderire agli istituti deflattivi del contenzioso (e, quindi, pagare le sanzioni in misura piena), è data dalla scelta del contribuente di un difensore esperto che, con la sua conoscenza della materia tributaria e degli strumenti del processo tributario, meglio riesca a far emergere l’illegittimità dell’atto impugnato.
7. La difesa tributaria di uno Studio Legale Tributario
Alla luce del fatto che il contenzioso tributario diventa sempre più “aleatorio” e le conseguenze della soccombenza particolarmente gravose per il contribuente, bisogna rivalutare il dialogo e il confronto con il Fisco e, in primo luogo, con l’Agenzia delle Entrate.
Soprattutto nelle questioni di fiscalità internazionali, particolarmente complesse e ricche di apprezzamenti valutativi, stabilire un rapporto dialettico con l’Agenzia delle Entrate – specialmente in sede di contraddittorio preventivo rispetto all’azione di accertamento – può evitare il protrarsi delle contestazioni in sede contenziosa, dove le Corti di Giustizia Tributaria potrebbero non avere la stessa “sensibilità” di un brillante funzionario del Fisco su materie come “transfer pricing”, “Controlled Foreign Companies”, “stabile organizzazione“ e “crediti per imposte estere”.
Ebbene, in questi casi è meglio lasciare il contenzioso tributario come “ultima spiaggia”, ammesso che ve ne siano i presupposti, pena la “scure” della condanna al pagamento delle spese di giudizio.
In queste scelte costituisce un passaggio fondamentale quello di rivolgersi ad uno Studio Legale Tributario, al fine di valutare con la massima cura:
- la strategia più adatta per difendersi dall’avviso di accertamento;
- la presenza di vizi che possano giustificare la presentazione di un ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado;
- le possibilità che il ricorso possa essere accolto in Corte di Giustizia Tributaria di primo grado.
Trattasi, quindi, di una valutazione estremamente tecnica e meticolosa, che non può essere svolta dallo stesso contribuente che non abbia adeguata competenza ed esperienza nel contenzioso tributario.
In assenza delle predette valutazioni, da operarsi con l’assistenza di uno Studio Legale Tributario, il contribuente potrebbe correre il concreto pericolo:
- o di sottovalutare degli strumenti per la definizione in “transazione” dell’avviso di accertamento e di avviare un contenzioso perso in partenza che lo vedrà costretto a pagare, oltre alle imposte e alle sanzioni dovute, anche le spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate (magari anche per diversi gradi di giudizio);
- oppure, di pagare le somme richieste con l’avviso di accertamento, nonostante questo sia affetto da un grave vizio che, se denunciato con ricorso, avrebbe indotto la Corte di Giustizia Tributaria ad annullare l’intero atto impositivo, con nessuna imposta e sanzione dovuta dal contribuente.
Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza in materia di contenzioso tributario, assistendo persone fisiche e società nelle valutazioni degli strumenti più adatti al preciso caso concreto per la migliore difesa degli interessi del contribuente, le quali vengono svolte in 3 fasi:
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