“Le sfide che riguardano l’agricoltura sono sfide di tutto il Paese. L’Assemblea di Cia è occasione propizia di elaborazione e confronto per un’agricoltura che, oltre a essere risorsa essenziale, qualifichi la stessa identità italiana, rappresentando una sfida decisiva per il nostro vivere e per la sostenibilità economica, sociale, ambientale. La storia delle produzioni agricole, degli allevamenti, delle imprese nate dal lavoro della terra ha plasmato la storia e la cultura dell’Italia e dell’Europa. La consapevolezza di queste radici deve guidarci oggi nell’affrontare i problemi aperti dalle grandi trasformazioni globali e dai pericolosi mutamenti climatici. La società intera deve essere consapevole e accompagnare l’impegno dei produttori agricoli. La salubrità dei cibi che mangiamo, la qualità dei prodotti destinati al mercato, l’integrità e la cura di territori che costituiscono la nostra bellezza e ricchezza passano dal quotidiano lavoro e dalle capacità progettuali del mondo dell’agricoltura. Lo spopolamento delle aree interne e montane può essere contrastato da rigenerazioni agricole. Produzioni innovative possono dare occasioni di impiego ai giovani. Va assicurato al lavoro il giusto compenso, contrastando con forza le forme di sfruttamento che raggiungono nel caporalato un apice di inaccettabile illegalità”. È il messaggio che il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha inviato al presidente Cia-Agricoltori Italiani Cristiano Fini, riunita, oggi in Assemblea annuale, a Roma, all’Auditorium Antonianum, con lo slogan “Agricoltura al bivio: più valore a chi produce”.
“Guidare l’agricoltura oltre lo stallo, senza le misure penalizzanti degli ultimi anni, ma con risposte efficaci e durature di fronte alle sfide del clima, dei mercati e della transizione. Avendo ben chiaro che non basta solo promuovere il cibo made in Italy, ma prima di tutto va difeso chi lo produce, a partire dalle aree interne dove si trova il 56% della superficie coltivabile”, è, invece, il messaggio che la stessa Cia ha lanciato, presentando un documento con le 9 priorità di intervento (acqua, aree interne, valore lungo la filiera, ricerca e innovazione, fauna selvatica, lavoro agricolo, bilancio Ue, Pac del futuro e politiche commerciali) per permettere all’agricoltura di uscire dal bivio e riprendere la strada dello sviluppo. “Ridare centralità al settore – ha dichiarato il presidente Fini – vuol dire smetterla con proclami e chiusure ideologiche, ma agire concretamente su priorità ed emergenze. A livello europeo e nazionale si è aperta una fase in cui le regole di bilancio segnano un cambio di paradigma, con l’esigenza non più rinviabile degli Stati, in primis dell’Italia, di intraprendere decise politiche di riduzione dei deficit. Ma proprio perché ci attende un lungo percorso di aggiustamento delle finanze pubbliche, con meno soldi come dimostra la manovra, Cia chiede alle istituzioni un utilizzo più mirato, efficace ed efficiente dei fondi, immaginando anche una razionalizzazione dell’attuale platea di beneficiari della Pac per favorire una più equa e giusta redistribuzione delle risorse a disposizione. Se non si mette in sicurezza il settore con misure adeguate, si va verso l’abbandono delle aree interne, la perdita del presidio sul territorio, la scomparsa di biodiversità e paesaggio, la fine del made in Italy agroalimentare. Un rischio che il Paese non può correre”.
D’altronde le sfide che sta affrontando l’agricoltura derivano da uno scenario denso di complessità, che ha pochi precedenti nel settore. Per ridare fiato all’economia, continua la nota della Cia, “si auspicano tagli nei tassi delle Banche Centrali, alla luce di un’inflazione che sembra rientrata. Ma restano ancora i conflitti bellici, i rigurgiti di protezionismo (raddoppiati nell’ultimo quinquennio gli interventi contro la liberalizzazione degli scambi) e i disastri naturali legati ai cambiamenti climatici (93 nel 2023 in Europa). La volatilità dei prezzi delle commodity agricole è, infatti, diventata “la norma” e si è triplicata rispetto all’ultimo decennio del Novecento. Questo non gioca né a favore dei produttori, né dei consumatori”. Un primo impatto raccontato dallo studio Nomisma per Cia “Le competitività dell’agricoltura di fronte alle complessità di contesto: scenari evolutivi e prospettive future” presentato all’Assemblea. Negli ultimi vent’anni, metà delle aziende agricole sono uscite dal settore (-53%), quelle rimaste si sono rafforzate. Un settore che ha tenuto sul lato della superficie coltivata (-5%), portando così le dimensioni medie delle aziende agricole italiane un po’ più vicine a quelle europee (11 ettari rispetto ai 17 di media Ue). Tra il 2000 e il 2020, delle 1,3 milioni di aziende che hanno chiuso i battenti, 3 su 4 erano situate in aree collinari e montane (circa 936.000). La chiusura ha comportato la riduzione di 850.000 ettari di superficie agricola coltivata. Le aziende agricole per sopravvivere devono maturare redditività.
L’Italia, ha spiegato Cia, pur rappresentando la seconda “potenza agricola” dell’Unione Europea per valore aggiunto generato, ha visto negli ultimi cinque anni una crescita di tale valore (a prezzi correnti, comprensivi dell’inflazione) al di sotto della media: +24% contro una media Ue del 41% e di altri competitor come Spagna e Germania al di sopra del +45%. Anche in confronto agli altri settori dell’economia italiana l’agricoltura è rimasta indietro: tra il 2015 e il 2023, al netto dell’inflazione, il valore aggiunto nel settore primario è diminuito di quasi 9 punti percentuali, mentre nell’industria alimentare – dopo il calo legato alla pandemia – è arrivato a +12%, nel commercio a +19%, contro una media dell’intera economia italiana che ha registrato una variazione del +11%. La riduzione del valore aggiunto e della produzione agricola (a valori costanti depurati dall’inflazione) ha riguardato principalmente le regioni del Centro (-10% il valore della produzione rispetto al 2015) e del Sud (-7%). Quasi tutte le principali produzioni agricole hanno subito importanti riduzioni. Considerando le medie biennali 2022/2023 rispetto a quelle 2015/2016, la produzione di grano duro è scesa del 30% nel Sud del Paese, lo stesso è accaduto per l’uva da vino. Al Nord la stessa diminuzione è toccata al mais, mentre per pesche e pere si è andati oltre il -50%. Solamente il latte sembra aver tenuto, registrando una crescita nel valore della produzione. Questi crolli produttivi sono in larga parte determinati dagli effetti nefasti dei cambiamenti climatici: deficit idrico al Sud (specie Sicilia) e alluvioni al Nord. La riduzione della produzione agricola nazionale danneggia in primis gli agricoltori, ma non fa certo bene all’industria alimentare, né tanto meno alla bilancia commerciale del Paese.
Per quanto l’export agroalimentare sia cresciuto nell’ultimo decennio (+87%), anche le importazioni hanno seguito un trend analogo (+52%), generando sette volte un deficit commerciale, sui dieci anni considerati. Ciò in ragione di un grado di autoapprovvigionamento che per molti prodotti e filiere risulta notevolmente al di sotto dell’autosufficienza: dal grano duro all’olio d’oliva, dalla carne bovina al mais, da quella suina al frumento tenero. I danni provocati dai cambiamenti climatici hanno peggiorato la situazione: nel caso del grano duro e del mais, il grado di autoapprovvigionamento è diminuito nel corso degli ultimi 5 anni, rendendo la nostra filiera della pasta (e quella mangimistica) ancora più dipendente dall’estero.
Per quanto riguarda i consumi alimentari sul mercato nazionale si registra un livello ancora al di sotto di quello pre pandemico (242,3 miliardi di euro nel 2023 contro i 252,2 del 2019, al netto dell’inflazione). Anche la componente dei consumi fuori-casa ha subito lo stesso taglio (da 87,5 miliardi di euro del 2019 a 81,5 miliardi del 2023). Le vendite al dettaglio di prodotti alimentari per i primi 9 mesi 2024 evidenziano lo stesso trend dei due anni precedenti, vale a dire una crescita nella spesa a valore (+1,3%) non supportata da un analogo aumento nei volumi di acquisto (-1%) rispetto allo stesso periodo 2023. Il dato sul clima di fiducia dei consumatori italiani continua a mostrare un gap tra clima economico e clima futuro, entrambi in peggioramento a ottobre.
Per quanto riguarda i mercati esteri, oltre alla paura di possibili dazi aggiuntivi sui prodotti agroalimentari italiani (come accadde nel 2020), resta alta l’attenzione agli effetti indiretti derivanti dai dazi applicati ai paesi che per l’Italia ricoprono un ruolo importante come mercato di sbocco.
Grande attenzione è stata posta sul rilancio delle aree interne. Dall’acquisto e la ristrutturazione di case a tassi agevolati alle trattenute minime su pensioni e buste paga, dalle tariffe agevolate sui servizi, tipo luce e gas, alle mense scolastiche e alcune visite specialistiche a carico dello Stato. E, soprattutto, creare le condizioni per aprire aziende a costo zero: così le aree interne e svantaggiate d’Italia potrebbero diventare “zone franche” con fiscalità agevolata soprattutto per le attività economiche e produttive. Questa la ricetta di Cia-Agricoltori Italiani per rilanciare i territori marginali e fermarne il progressivo abbandono e, ad accompagnarla, sarà una proposta che verrà formulata al Governo prossimamente. Lo ha annunciato il presidente Fini, davanti al Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida e al viceministro dell’Economia, Maurizio Leo.
Il vicepremier e Ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani, nel suo messaggio agli agricoltori riuniti in Assemblea ha evidenziato che “il nostro è un impegno a 360 gradi per portare sempre più Italia nel mondo. Ho lanciato una strategia mirata di diplomazia della crescita, per favorire l’export e favorire l’internazionalizzazione delle nostre imprese. Ho dato chiare direttive per trasformare le nostre Ambasciate in trampolino di lancio per le nostre eccellenze e nelle case delle nostre imprese. Ne discuteremo il 18 dicembre agli Stati Generali dell’Export che ho scelto di tenere a Milano, come momento chiave della riunione dei nostri Ambasciatori. È un lavoro che sta dando i suoi frutti. Mentre gli scambi mondiali rallentano, l’Italia ha tenuto la barra dritta. Con 626 miliardi di euro di export lo scorso anno, siamo una vera superpotenza dell’export. Il contributo del settore agroalimentare a questo successo è centrale. L’export del settore lo scorso anno ha superato i 62 miliardi di euro, una cifra record. È un successo che coinvolge tutta la filiera: dai macchinari agricoli all’industria alimentare. Un successo fatto anche di sostenibilità e innovazione. Valorizzare il nostro agroalimentare significa raccontare i nostri territori, specie i nostri piccoli borghi. Penso in particolare al turismo. Un ruolo chiave è quello del “turismo delle radici”, un’iniziativa che ho lanciato per favorire la riscoperta dei nostri territori da parte degli oltre 80 milioni di italiani e italo-discendenti nel mondo, per portarli a conoscere i borghi da cui sono partiti i nonni o i bisnonni, e a conoscere la cucina delle radici”.
Focus- Le 9 priorità di intervento per l’agricoltura secondo Cia-Agricoltori Italiani
Acqua. Per fronteggiare lo squilibrio climatico, tra alluvioni e siccità, tutelando al contempo risorse idriche, agricoltura e territori, in un Paese che ha già subito oltre 90 miliardi di euro di danni in 40 anni a causa degli eventi estremi, per Cia ci sono almeno cinque azioni da adottare: dare priorità negli interventi di messa in sicurezza alle zone a più alto rischio naturale; definire e avviare subito un nuovo Piano nazionale per la crescita dei grandi invasi da considerarsi integrati, e non alternativi, ai piccoli invasi; accelerare sul riutilizzo delle acque reflue e depurate, favorendo gli investimenti e le infrastrutture necessarie al riuso agricolo; approvare finalmente una legge contro il consumo di suolo agricolo, visto che si continua a cementificare 2,4 metri quadrati di suolo al secondo; incentivare le funzioni di manutenzione del territorio svolte dagli agricoltori attraverso un quadro normativo chiaro e definito.
Aree interne. Investire sulle zone rurali è un’urgenza economica e sociale, che necessita di una strategia unica nazionale che arresti lo spopolamento in queste aree, che soffrono la rarefazione dei servizi, lo smantellamento delle infrastrutture e una generale marginalizzazione che mette in pericolo il 60% del territorio italiano, incidendo negativamente sui diritti di cittadinanza di 13 milioni di persone, molti dei quali agricoltori. Per poter sopravvivere e tornare appetibili, le aree interne hanno bisogno in primis del rafforzamento e ammodernamento del sistema infrastrutturale materiale e immateriale (strade, scuole, presidi sanitari, digitalizzazione, luoghi di cultura) con politiche di sostegno all’abitabilità. Quindi misure di fiscalità agevolata sul modello delle ZES; riconoscimento dell’agricoltura familiare con norme specifiche; più facile accesso al credito per innescare il ricambio generazionale; valorizzazione delle produzioni locali e consolidamento dei legami con il turismo.
Valore lungo la filiera. Il riconoscimento del giusto valore a ogni prodotto agricolo è un ambito strategico per Cia, tanto più che ancora oggi su 100 euro spesi dal consumatore, solo 7 restano in tasca al produttore, contro i circa 19 euro di commercio e trasporto. Per questo, è tempo di agire sulla filiera agroalimentare, attivando politiche per il riequilibrio e la trasparenza nei rapporti commerciali e nel processo di formazione dei prezzi; sostenendo realmente l’aggregazione, con incentivi anche fiscali; costruendo un Osservatorio Ue su costi, prezzi e marginalità, accanto alla riforma della Direttiva sulle pratiche sleali.
Ricerca e innovazione. Prioritaria è la definizione di un Piano nazionale per l’impianto di specie più resistenti alle malattie e più tolleranti ai cambiamenti climatici. Servono anche incentivi a ricerca e innovazione sostenibile per introdurre alternative economicamente valide indispensabili a adempiere agli impegni ambientali; introduzione di un Fondo unico per la gestione delle fitopatie di rapida attuazione, con obiettivi definiti e strutturato in termini temporali; adozione di una programmazione strutturata a supporto dell’agricoltura di precisione. In tutto questo processo, resta fondamentale la partita delle Tea in Europa.
Fauna selvatica. È una battaglia che Cia porta avanti da anni, resa ancora più pressante dall’emergenza peste suina, che mette a rischio il comparto suinicolo tricolore, 26.000 aziende e un valore alla produzione di 4,5 miliardi. Ora è improcrastinabile creare un sistema uniforme di Censimento delle specie invasive a livello nazionale, mappando le aree più colpite, e sviluppare piani di controllo numerico per ridurre la densità degli animali selvatici dove necessario. Inoltre, bisogna passare dagli indennizzi ai risarcimenti per le aziende agricole, includendo sia i danni diretti che indiretti, e superare il regime de minimis. Occorre anche rafforzare l’autodifesa degli agricoltori, oltre a sensibilizzare la comunità sul tema e a costruire un tavolo di coordinamento tra Ministeri dell’Agricoltura e dell’Ambiente, enti regionali, associazioni di categoria.
Lavoro agricolo. La carenza di manodopera ormai è strutturale all’interno del comparto. Una prima risposta per Cia è arrivata dal nuovo Decreto Flussi 2025. Sul fronte degli strumenti, invece, quello che rispecchiava la massima flessibilità era sicuramente il voucher, sostituito oggi dal LoAgri che, numeri alla mano, ha già fallito i suoi obiettivi. La proposta confederale è quella di mettere a disposizione delle aziende virtuose un ticket, dal valore contenuto, da poter usare in qualsiasi momento dell’anno. Occorre fare meglio e più velocemente anche per attrarre i giovani: al riguardo, si chiede la reintroduzione dello sgravio contributivo per gli under 40 e si sollecita l’emanazione dei decreti attuativi della legge per la promozione e lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile nel settore agricolo.
Bilancio Ue. Il bilancio europeo non può essere rivisto al ribasso, ma va valorizzato ed efficientato, rendendolo adeguato a rispondere alle sfide future. Per la sostenibilità dell’agricoltura, è auspicabile l’istituzione di un fondo per la transizione verde, separato dal budget Pac.
Pac del futuro. Bisogna disegnare una Politica agricola comunitaria più flessibile per intervenire subito nelle situazioni di crisi e più attenta a tutelare andamento produttivo e reddito agricolo, includendo interventi per la gestione del rischio, favorendo gli investimenti, facilitando l’implementazione delle innovazioni. Va pure riformata l’attuale riserva agricola affinché possa meglio affrontare i rischi eccezionali e catastrofici.
Politiche commerciali. Servono regole comuni sul commercio. La parola chiave negli accordi deve essere reciprocità, per tutelare il prodotto italiano ed europeo ed evitare sia la concorrenza sleale di Paesi terzi sia nuovi rischi sui mercati, a partire da quelli fitosanitari. In tal senso, la volontà della Commissione di spingere per chiudere l’accordo Mercosur va attentamente rivalutata, immaginando l’impatto negativo e penalizzante che potrà avere sul settore primario.
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