La Decontribuzione Sud, una misura per sostenere l’occupazione nelle regioni meridionali attraverso la riduzione dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, terminerà il 31 dicembre 2024. L’annuncio della sua abolizione, incluso nella Legge di Bilancio 2025, ha destato preoccupazioni tra economisti, imprese e associazioni del territorio. Secondo le stime, la cancellazione di questa agevolazione potrebbe portare a conseguenze sull’occupazione e sulla competitività delle aziende del Sud Italia.
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Chi rischia licenziamenti con la cancellazione della Decontribuzione Sud -
Cancellazione Decontribuzione Sud, le altre conseguenze
Chi rischia licenziamenti con la cancellazione della Decontribuzione Sud
La Decontribuzione Sud era stata introdotta per alleggerire il costo del lavoro nelle regioni economicamente più fragili, fornendo un incentivo per le assunzioni e contribuendo a contenere i livelli di disoccupazione, storicamente più elevati nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. La misura prevedeva una riduzione del 30% dei contributi previdenziali per i datori di lavoro, con l’obiettivo di favorire la competitività delle imprese e stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro.
Con la sua cessazione, molte aziende si troveranno ad affrontare un aumento dei costi del personale. Questo rischio è evidente per le imprese di piccole e medie dimensioni che spesso operano con margini di profitto ridotti. L’aumento dei costi potrebbe spingerle a ridurre gli organici, portando a licenziamenti di massa in alcuni settori come il commercio, il turismo, l’agricoltura e l’artigianato.
Secondo un’analisi dell’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno (Svimez), l’abolizione della Decontribuzione Sud potrebbe mettere a rischio almeno 25.000 posti di lavoro nel 2025. Questi licenziamenti colpirebbero soprattutto le regioni con un tessuto economico già fragile, come Calabria, Sicilia, Campania e Puglia, aggravando le disuguaglianze territoriali. Svimez ha evidenziato che nel triennio 2025-2027 le risorse destinate al Sud si ridurranno di 5,3 miliardi di euro, a causa non solo della cancellazione della Decontribuzione Sud, ma anche della riduzione di altri fondi destinati agli investimenti e allo sviluppo economico del Mezzogiorno.
La decisione di eliminare questa misura è stata motivata dalla scadenza dell’autorizzazione concessa dalla Commissione Europea, che aveva approvato la Decontribuzione Sud come aiuto di Stato straordinario per rispondere alla crisi economica e sociale causata dalla pandemia. La scelta del governo italiano di non richiedere una proroga o di non sostituire la misura con interventi equivalenti ha sollevato critiche da parte di associazioni di categoria, sindacati e rappresentanti delle istituzioni locali.
Cancellazione Decontribuzione Sud, le altre conseguenze
Le conseguenze non riguarderanno solo le imprese e i lavoratori, ma avranno un impatto più ampio sull’intero sistema economico e sociale delle regioni meridionali. Un aumento della disoccupazione nel Sud potrebbe infatti ridurre i consumi interni, amplificando il rischio di una recessione locale e il divario economico tra Nord e Sud. Questo scenario potrebbe inoltre portare a un’ulteriore emigrazione giovanile, con i giovani talenti del Sud costretti a cercare opportunità lavorative altrove.
Nonostante l’abolizione della Decontribuzione Sud, la Legge di Bilancio 2025 prevede alcune misure alternative per il Mezzogiorno. Tra queste vi è la proroga del Credito d’imposta per gli investimenti nella Zona Economica Speciale (ZES) Unica, con una dotazione di 1,6 miliardi di euro, e nuovi sgravi contributivi per le assunzioni nelle ZES. Secondo Svimez e altri osservatori economici, queste iniziative potrebbero non essere sufficienti a compensare gli effetti negativi della cancellazione della Decontribuzione Sud.
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