Se non è l’ultima chiamata per il futuro, poco ci manca. Il patto tra governo e regione Puglia sui Fondi di sviluppo e coesione – 470 interventi per oltre sei miliardi di euro, ripartiti tra le varie province in base a priorità ed esigenze, ritardi e carenze – è occasione irripetibile, unita alle opere finanziate dal Pnrr e ai fondi europei del nuovo ciclo 2021-27. C’è da agganciare il Nord Italia e l’Europa in una strategia di sviluppo e progresso: non solo economico, ma anche culturale e sociale. Questo, almeno, a scorrere i sette ambiti di azione proposti dall’accordo di coesione sottoscritto a Bari dalla premier Giorgia Meloni e dal governatore Michele Emiliano, presente il ministro Raffaele Fitto al suo ultimo atto di governo prima di volare in Europa come vicepresidente esecutivo nella squadra di Ursula von der Leyen.
Ultima chiamata. Forse. Chissà. Anche l’altro giorno è ritornata, nelle parole di Meloni ed Emiliano, l’immagine di una Puglia ammirata dal mondo in occasione del G7 e lusingata dai dati econometrici, che la vedono al primo posto nei report degli analisti sul balzo compiuto nella fase post Covid. Un’impennata del Pil, dell’export e dell’occupazione tale da far impallidire realtà ben più solide e strutturate. In Italia come in Europa e nel mondo. Una specie di “miracolo economico” che affonda le radici, senza alcun dubbio, su percorsi avviati da tempo e su un evidente dinamismo imprenditoriale. Ma su cui, certo, incidono molto anche i riflessi diretti e indiretti di un ciclo precedente di interventi pubblici e di misure straordinarie attuate per contrastare gli effetti congiunturali negativi della pandemia, dal ricorso massiccio a bonus e superbonus fino alla progettualità avviata proprio con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Tuttavia la “locomotiva Puglia” ha bisogno di ulteriori test perché ne siano certificate qualità ed efficienza: se la mole enorme di investimenti non si tradurrà in dinamiche di sviluppo strutturali e consolidate, limitando gli effetti benefici solo sul fronte della semplice spesa, saranno stati soldi impiegati male per l’effimera gloria di una stagione. Tant’è che il rapporto Svimez presentato in settimana ha già messo l’accento, per non abbandonarsi a facili entusiasmi, sulle tendenze in atto: un rallentamento della marcia del Sud, che nell’arco di due anni tornerà a progredire a velocità meno sostenuta del Settentrione. Mentre inquieta il dato enorme di giovani laureati – duecentomila! – che nell’ultimo decennio hanno lasciato il Mezzogiorno diretti altrove per il proprio avvenire. È vero che si registrano incidenze diverse tra le differenti aree: la Puglia presenta percentuali meno drammatiche e tuttavia ugualmente significative. Ma resta quella cifra mostruosa che – unita all’ormai cronica tendenza al calo demografico – lascia intuire quale sarà il divario tra Nord e Sud, al di là di piagnistei e trionfalismi esibiti da differenti scuole di pensiero.
L’ultima chiamata è nelle cifre, dunque. E legittima l’invito alla responsabilità, mai come ora straordinariamente necessaria. A ragion veduta: gran parte del flusso di denaro costituisce comunque un debito pubblico che andrà onorato. Lo Stato ha due modi per sostenere le casse: risparmiare, tagliando sui servizi, o incrementare le entrate, ricorrendo a nuove tasse. Difficilmente potrà ripetersi una pioggia di denaro come questa, superiore al piano Marshall del secondo dopoguerra. Già per l’immediato futuro – i prossimi tre anni – si preconizza infatti un taglio di trasferimenti per il Sud pari a oltre cinque miliardi di euro. Circostanza cui va sommata l’incertezza legata al mancato rinnovo della Decontribuzione Sud a favore delle imprese, in scadenza a fine anno, con effetti quantificati in 25mila posti di lavoro persi e in una riduzione di due decimi di punto sul Pil.
Per questo l’occasione storica e irripetibile data dalla convergenza di Pnrr, Accordo di coesione e nuovo ciclo di fondi europei richiede il massimo dell’impegno e della vigilanza. Soprattutto perché ci troviamo comunque in un periodo di scandali, corruttele e collusioni varie, che vedono nel capoluogo pugliese i casi più clamorosi e preoccupanti; come pure in una stagione politica regionale segnata da particolare disinvoltura negli accordi e nelle alleanze. I flussi di denaro scatenano sempre appetiti di ogni tipo, spesso molto poco commendevoli. Ma tocca proprio alla politica per prima fare filtro, senza aspettare l’intervento disinfettante e dirimente della magistratura (anche se talvolta ne ha preannunciato le mosse in modo assai discutibile e opaco, vedi il caso Pisicchio). In questo, la scelta dei percorsi da seguire e degli obiettivi da perseguire, così come delle persone chiamate a sovrintendere agli uni e agli altri, è di straordinaria importanza, al di là dei giochi di potere e degli interessi di bottega, legittimi ma fino a un certo punto. Per il Sud, per la Puglia, è l’ora di invertire la rotta. Definitivamente. Adesso o mai più. Ultima chiamata per il futuro.
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