L’anno 2024, in cui era atteso il decreto legislativo per la riforma sistematica dell’IVA, ha visto invece una pluralità di microinterventi, spesso occultati in provvedimenti di altro genere. Un caso significativo è stato quello della normativa sulle sanzioni, che nasconde una importante presa di posizione sul diritto di detrazione nel caso dell’imposta applicata in misura superiore. Altre norme hanno avuto ad oggetto lo “scambio” tra soggettività ed esenzione per le società sportive dilettantistiche o l’aliquota super-ridotta per le lezioni di sci (e perché non le altre?).
I prestiti e i distacchi di personale
Ora la L. 166/2024, inserisce in sede di conversione del DL 131/2024, un articolo 16-ter, avente ad oggetto il trattamento IVA del prestito o distacco di personale, con esplicito riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea dell’11 marzo 2020, nella causa C-94/19, che aveva dichiarato l’incompatibilità con la direttiva europea (2006/112/CE) del comma 35 dell’art. 8 L. 67/88.
Questa norma stabiliva che i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo non erano da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. L’esclusione da IVA non competeva pertanto (con la conseguente applicazione dell’imposta sull’intero importo dell’addebito) nel caso in cui la somma richiesta dall’impresa distaccante alla distaccataria fosse stata superiore o inferiore al costo dei dipendenti trasferiti, comprensivo della quota di oneri previdenziali e contrattuali (Cass. SS.UU. n. 23021/2011). Così come questa qualificazione era estranea all’addebito del costo dei dipendenti retribuiti dall’impresa incaricata di gestire un impianto (Ris. AE 1° luglio 1983 n. 354622), al pari della contestuale fornitura di risorse umane, materiali ed immateriali, che dà luogo ad una prestazione complessa, da considerare unitariamente (Ris. AE 5 novembre 2002 n. 346/E).
Ci sembra significativo confrontare questa disposizione con la norma sulla somministrazione di personale, secondo cui i rimborsi degli oneri retributivi e previdenziali (cioè il costo), effettivamente sostenuti dall’impresa “fornitrice” del lavoro temporaneo, sono esclusi dalla base imponibile IVA, che si applica solo sul corrispettivo spettante all’impresa (art. 26-bis L. 196/97). La diversità tra le due fattispecie può essere trovata nell’art. 2751-bis c.c., n. 5-ter) che concede ai crediti delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo per gli oneri retributivi e previdenziali addebitati alle imprese utilizzatrici lo stesso privilegio previsto per le retribuzioni.
Dopo la sentenza della Corte europea l’Agenzia delle entrate (principio di diritto 19 giugno 2020 n. 7) aveva richiamato le disposizioni sul mandato di servizi senza rappresentanza (art. 3 c. 3 ultimo periodo DPR 633/72), per sostenere che il mantenimento della qualificazione contrattuale tra le parti fa considerare il rapporto di lavoro dipendente, fuori campo IVA, anche nella rifatturazione del corrispettivo.
La Corte premette l’irrilevanza della misura dell’importo addebitato, pari, superiore o inferiore al costo, concludendo che il rimborso del puro costo non può essere escluso da IVA “a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente”. Ovvero l’importo di questo contratto atipico ha natura di corrispettivo tassato.
La nuova norma si limita ad abrogare la legge di esclusione da IVA, con effetto dai prestiti o distacchi di personale stipulati o rinnovati a decorrere dal 1° gennaio 2025. Per il periodo precedente sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti, in entrambi i sensi imponibilità piuttosto che addebito fuori campo, a condizione che non siano intervenuti accertamenti definitivi.
Chi perde, chi guadagna o chi è indifferente a questa innovazione?
La norma di origine, ora soppressa, era stata palesemente sollecitata dagli operatori del settore finanziario – banche e assicurazioni – che avrebbero sostenuto il “costo IVA”, ad aliquota ordinaria, sull’addebito delle prestazioni del dipendente, in considerazione dell’indetraibilità del tributo per questi soggetti prestatori di servizi esenti.
E’ il caso di ricordare che da alcune decine di anni la Commissione europea si pone il tema VAT on financial services . Una delle ipotesi era quella di prevedere l’imponibilità con un’aliquota specifica, corrispondente all’onere medio dell’IVA non detratta dal sistema, finalizzata a non alterare i costi in funzione della diversa organizzazione di queste imprese.
Un rimedio già operativo dal 1° gennaio 2018 è quello di adottare la disciplina del “gruppo IVA” (art. 70-bis e ss. DPR 633/72), che consente di non applicare il tributo nelle operazioni che intervengono tra imprese giuridicamente distinte, ma associate nel medesimo gruppo.
Sostanzialmente indifferenti sono le imprese, di regola quelle industriali e di servizi, che godono del pieno diritto alla detrazione del tributo. Molte applicano il (diverso) regime dell’IVA di gruppo (art. 73 c. 3 DPR 633/72), in cui le liquidazioni sono eseguite in somma algebrica, e quindi nulla cambia nel saldo delle somme da versare o a credito.
E, non ultima, la certezza del regime applicabile, evitando il rischio di verifiche in cui la conclusione è spesso l’esatto contrario di quanto fatto dal contribuente. La sentenza della Corte europea aveva “salvato” un’impresa italiana che aveva applicato l’imposta su quanto addebitato alla consociata per il prestito o distacco di personale, mentre l’Agenzia delle entrate era per il fuori campo.
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