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Politica di coesione, grandi cambiamenti in agenda / Europa / aree / Home #finsubito prestito immediato


© Minakryn Ruslancember/Shutterstock


Si sta iniziando a delineare il nuovo bilancio dell’UE. Come accade con il PNRR, anche i fondi di coesione potrebbero confluire in un unico Piano nazionale, e l’erogazione dei finanziamenti potrebbe essere vincolata alla realizzazione di specifiche riforme

La politica di coesione dell’Unione europea potrebbe presto subire un cambio di paradigma, destinato a modificare la sua struttura e la programmazione e distribuzione dei suoi finanziamenti. Secondo quanto emerge dalle prime indiscrezioni sul prossimo Quadro finanziario pluriennale – cioè il bilancio dell’UE per il settennio 2028-2034 –, la Commissione europea sarebbe infatti sempre più intenzionata a gestire i fondi di coesione, che attualmente rappresentano circa un terzo del bilancio complessivo dell’Unione, in base a uno schema ispirato al Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery e Resilience Facility) che governa i vari PNRR. Un singolo piano nazionale per ciascun Paese membro, finanziamenti UE collegati alla realizzazione di precise riforme, pagamenti a fronte del raggiungimento degli obiettivi concordati, e maggiore centralizzazione dell’intera struttura finanziaria.

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Nel settennio attuale di bilancio la politica di coesione mobilita 392 miliardi di euro, spartiti tra 398 diversi programmi su scala nazionale, regionale o transnazionale. I finanziamenti sono erogati attraverso quattro fondi: il Fondo europeo di sviluppo regionale (ERDF), il Fondo di coesione, il Fondo sociale europeo Plus (EFS+) e il Fondo per la transizione giusta (JTF). Giunti a metà del settennio del Quadro finanziario pluriennale in vigore, le istituzioni dell’Ue sono chiamate a definire il quadro e l’allocazione di massima delle risorse comuni nel periodo di finanziamento successivo, ovvero del settennio 2028-2034. È qui che si inseriscono le ipotesi sulle possibili riforme della politica di coesione.

Meno programmi e più vincoli

Secondo una bozza dei documenti di lavoro della Commissione europea visionata da OBCT, il primo pilastro del futuro bilancio che la Commissione dovrà delineare entro la prima metà del 2025 si focalizza proprio sulla definizione di un piano unico per ogni Stato membro. Se attualmente i 398 programmi della politica di coesione sono gestiti da una varietà di attori statali e regionali, in futuro i fondi di coesione potrebbero convergere in soli ventisette piani nazionali, ciascuno articolato in diversi capitoli nazionali o regionali: tra i possibili capitoli tematici il documento riporta, per esempio, “trasporti”, “sociale”, “energia”, “agricoltura”, “sicurezza e migrazione”. Ogni capitolo dovrebbe prevedere una serie di investimenti sostenuti da fondi UE, ma anche le riforme che dovrebbero necessariamente accompagnarli (come l’accelerazione delle autorizzazioni per l’installazione di nuovi impianti per le energie rinnovabili).

Si tratta in sostanza di replicare il modello elaborato per i Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) istituiti in risposta alla crisi scatenata dalla pandemia da Covid-19. Secondo la Commissione, elaborare un documento unico per tutte le politiche di coesione relative a ciascuno Stato comporterebbe “un quadro giuridico più semplice, negoziati più snelli, meno burocrazia”.

Analogamente, la nuova Commissione von der Leyen vorrebbe proseguire secondo il modello dei PNRR anche per quanto riguarda il meccanismo di erogazione dei finanziamenti basato su prestazioni e risultati: i pagamenti verrebbero cioè via via sbloccati a fronte del raggiungimento degli obiettivi di politica concordati, a differenza di quanto avviene con la politica di coesione attualmente in vigore. L’auspicato inserimento di “forti condizionalità” per la “protezione degli interessi finanziari e i valori dell’UE e lo Stato di diritto” farebbe sì che, in caso di mancato rispetto delle riforme e degli standard dell’UE, al Paese in questione potrebbero essere congelati i fondi di coesione.

Il rischio della centralizzazione 

Questi cambiamenti permetterebbero alla Commissione europea di ridurre drasticamente il numero dei suoi interlocutori, e di tenere sotto più stretto controllo i Paesi membri nella fase di attuazione dei diversi progetti. All’interno dei singoli Stati, la riforma comporterebbe però anche una decisa centralizzazione: la progettazione dei programmi nazionali unici sarebbe essenzialmente in mano alle capitali, a scapito del coinvolgimento degli attori locali e regionali. Si abbandonerebbe così una peculiarità storica della politica di coesione, ovvero il suo carattere decentrato e attento ai singoli territori. 

Contro questa ipotesi stanno arrivando le critiche da parte dei rappresentanti a Bruxelles degli enti territoriali, dal Comitato delle regioni al Comitato economico e sociale europeo. Non è un caso se il nuovo commissario europeo al bilancio, il polacco Piotr Serafin, parlando del futuro della politica di coesione durante la sua audizione di conferma al Parlamento europeo ha messo le mani avanti e osservato che “non dobbiamo riprodurre il Dispositivo per la ripresa e la resilienza nella sua forma attuale”.

I prossimi passi

Il tema sta diventando sempre più caldo, dal momento che si sta intensificando il lavoro interno alla Commissione europea per portare alla presentazione della sua proposta definitiva sul nuovo Quadro finanziario pluriennale e i singoli strumenti finanziari a esso legati. Quella proposta dovrà poi essere negoziata dai co-legislatori del Parlamento europeo e del Consiglio dell’UE attraverso una procedura speciale – serviranno cioè il consenso della maggioranza degli eurodeputati e l’approvazione all’unanimità da parte dei ventisette governi.

La ricerca dell’unanimità in Consiglio sarà uno dei passaggi più complessi di tutti i negoziati. Mentre i cosiddetti Paesi frugali (in particolare i Paesi Bassi) spingono da tempo per un maggiore controllo preventivo sul modo in cui vengono spesi i fondi comuni – tra cui quelli della politica di coesione –, altri Stati membri (l’Ungheria su tutti) potrebbero opporsi all’introduzione di un modello che vincoli l’erogazione dei finanziamenti UE all’adozione di precise riforme e al rispetto dello Stato di diritto.





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