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Venezia, 3 dic. (Adnkronos) – Filippo Turetta merita la condanna all’ergastolo per aver premeditato l’omicidio di Giulia Cecchettin, ma non l’ha uccisa con crudeltà e il delitto non è la conseguenza di un clima di paura vissuto dalla vittima. E’ questo il senso della condanna inflitta all’imputato, dopo circa sei ore di camera di consiglio, dai giudici della corte d’Assise di Venezia. Un verdetto che Turetta, 22 anni, ha ascoltato impassibile, a testa bassa, a pochi passi di distanza da Gino, padre dell’ex fidanzata, visibilmente commosso.

“Abbiamo perso tutti come società. Nessuno mi ridarà indietro Giulia, non sono né più sollevato, né più triste rispetto a ieri. È chiaro che è stata fatta giustizia, ma dovremmo fare di più come esseri umani. Penso che la violenza di genere non si combatta con le pene, ma con la prevenzione” le prime parole ai microfoni di chi ha fatto del suo dolore una battaglia contro il patriarcato. Il femminicidio della ventiduenne laureanda in Ingegneria biomedica, che un anno fa ha scosso coscienze e portato decine di migliaia di persone, dentro e fuori dal Palazzo di giustizia sembra non fare rumore: niente folla o striscioni per ricordare l’omicidio dell’11 novembre 2023.

La giuria presieduta dal togato Stefano Manduzio – affiancato dalla giudice a latere Francesca Zancan e da sei popolari – non ha riconosciuto le attenuanti generiche (la giovane età e l’assenza di precedenti), ha stabilito una provvisionale complessiva di 760 mila euro per le parti civili – 500mila per il padre Gino, 100mila ciascuno per i fratelli Elena e Davide, 30mila euro a testa per lo zio paterno Alessio e la nonna Carla Gatto – e stabilito la pubblicazione della sentenza anche nel Comune di Vigonovo, dove viveva la vittima.

In un’aula senza gabbia, con quaranta accessi riservati a giornalisti e pubblico, è andato in scena un processo immediato in cui il fair play della difesa ha evitato l’udienza preliminare, testimoni e lungaggini permettendo di chiudere in poco più di due mesi, e solo cinque udienze, un omicidio dalle responsabilità chiare. Eppure la sentenza cancella due delle tre aggravanti contestate dal pm Andrea Petroni e dà ragione a una difesa che, alla vigilia, aveva poche armi e spuntate. Bisognerà attendere le motivazioni, tra 90 giorni, per stabilire le ragioni dei giudici ma l’arringa offre spunti interessanti per capire il verdetto.

Filippo Turetta, per sua stessa ammissione, ha ucciso la compagna di studio ed ex fidanzata che a fine luglio 2023 aveva deciso di troncare una relazione di oltre un anno. La rabbia per quella distanza diventano una “lista” – coltelli, nastro per legarla e impedirle di urlare, cartine stradali per la fuga, contanti per evitare di essere rintracciato, sacchi neri – di un progetto da cui non torna indietro. Di fronte al nuovo rifiuto, dopo una serata trascorsa insieme, il ‘bravo ragazzo’ ossessionato entra in azione e mette in atto un’aggressione, in tre atti, di venti minuti.

In un parcheggio a Vigonovo (Padova), a 150 metri da casa Cecchettin, afferra un coltello e inizia a colpire. Poi carica in auto l’ex fidanzata e nel tragitto fino all’area industriale di Fossò (Venezia) prosegue a colpire, e quando scappa dall’auto, la insegue, la spinge sull’asfalto e la finisce. L’autopsia restituisce 75 colpi, 25 lesioni sono da difesa, ma questi numeri non sono indici di sevizie, né di crudeltà, ha sancito la corte d’Assise. “Colpisce alla cieca”, con mano inesperta, aveva detto nella sua arringa il difensore Giovanni Caruso, irritando la famiglia della vittima (oggi c’è stata la stretta di mano in aula), ma quei colpi – difficili anche solo da contare o immaginare – solo lesioni inflitte allo scopo di uccidere (obiettivo dell’imputato) non di aggiungere sofferenze o patimenti gratuiti alla vittima. Un discrimine essenziale per chi scrive sentenze.

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E l’aggravante dello stalking cade di fronte ai fatti. Il timido e asfissiante imputato, “lo sfigato” che insinua sensi di colpa nella vittima, che usa il suicidio come forma di ricatto, che manda decine e decine di messaggi al giorno all’ex fidanzata, non fa paura a Giulia Cecchettin. E’ lei il giorno del delitto a chiamarlo, a invitarlo a fare un giro al centro commerciale ‘Nave de Vero’ di Marghera. Lei, insofferente e stanca per l’atteggiamento di Turetta, non cambia le sue abitudini e non prova ansia o paura, condizioni necessarie per stabilire la presenza di atti persecutori.

Salva la massima che “le aggravanti non si contano ma si pesano”, l’esclusione delle due aggravanti non cambia la sostanza: ergastolo per l’imputato che si è arreso dopo una settimana di fuga. Ma in vista di un possibile appello, dopo le motivazioni, il verdetto segna un punto per la difesa.

“Filippo Turetta mi ha ringraziato, ha compreso la sentenza ed è un po’ stordito. Non è una partita, non è una competizione, la soddisfazione è di aver portato la mia goccia di contributo alla celebrazione di un processo faticoso da ogni punto di vista. Come ha ricordato il presidente della corte d’Appello di Venezia in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario ‘Una sentenza penale sarà tanto più autorevole, quanto più segua a una difesa adeguata’” le parole del difensore Giovanni Caruso.



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