Quanto vale l’ecosistema italiano delle startup? I dati sugli investimenti ma anche i posti di lavoro minacciati dalla web tax. Intervista a Cristina Angelillo, presidente di InnovUp. «Ce l’ha ricordato anche Draghi nel suo rapporto»
Oltre 63mila posti di lavoro in dieci anni. Sono tanti? Sono pochi? Rappresentano comunque il contributo dell’ecosistema innovazione all’occupazione nazionale, con profili spesso di alto livello in termini di competenze. «L’Italia ha ingranato la marcia – ci ha spiegato Cristina Angelillo, presidente uscente di InnovUp (nelle scorse ore il consiglio ha nominato Chiara Petrioli presidente dell’associazione per il mandato 2025-27). Questo è dovuto a tanti fattori, come l’avvento di CDP Venture Catpial che ha innescato un cambiamento investendo tanti capitali. InnovUp ha sempre sposato la causa delle startup che creano nuovi posti di lavoro. Perché certo c’è innovazione, ma bisogna anche capire che prima quei posti di lavoro non c’erano».
L’ecosistema oggi però è in allarme, vista la minaccia contenuta in manovra: ci riferiamo alla proposta di imporre la web tax al 3% sul fatturato a tutte le imprese, dalle Big tech giù fino a startup e PMI. Nei mesi scorsi avevamo interpellato Angelillo proprio a questo proposito. Nella speranza che si corregga la norma, concentriamoci sui dati del comparto.
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InnovUp insieme ad altre associazioni ha presentato i dati sull’ecosistema. Complessivamente 150mila persone occupate. Tante o poche?
Insieme ad Assolombarda abbiamo provato a quantificare, tenendo conto che c’è un registro delle startup innovative. Ci siamo chiesti quanto valore portano queste aziende. Sono 63mila i posti di lavoro creati dalle startup in termini di dipendenti. Ma è una sottostima. Ai 63mila bisogna aggiungere gli 87mila soci fondatori. A livello di percentuale i 63mila rappresentano il 7,3% di tutta la nuova occupazione creata dal 2012 in Italia. Il numero è significativo visto da questo punto di vista.
Dai dati che presentate emerge che solo lo 0,06% del PIL viene investito in Venture Capital. Dal 2012 sono 7,4 miliardi di euro.
Questo dipende da quanto una nazione punta sulle startup. Si parla per questo di startup nation, quella per cui ci battiamo. È una conferma del fatto che l’Italia non mira ancora a quello, anche se la situazione è cambiata tanto negli ultimi anni. Bisogna dare a questo ecosistema il giusto rilievo.
Ci sono dei punti di contatto tra i dati e il recente rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa?
Se vogliamo esser un Paese competitivo dobbiamo investire di più in startup e innovazione. Ce l’ha ricordato Draghi nel suo rapporto. Ha individuato l’innovazione come uno degli assi su cui Europa e Italia devono investire per rimanere competitiva. Nonostante i pochi soldi in rapporto al PIL investiti in capitale di rischio si sono ottenuti buoni risultati. Se si investisse di più si potrebbe creare molto di più. Gli oltre 5mila miliardi di risparmio privato devono finire nell’economia reale.
Che anno è stato il 2024 per il comparto?
A settembre ci sono stati importanti round. Potremmo superare il miliardo di euro di raccolta. Non stiamo crescendo però perché ci sono stati passi indietro. Il 2021 e il 2022 sono stati anni di grande entusiasmo, con un calo nel 2023.
Conosciamo la vostra posizione sulla web tax, così come gli appelli per aggiornare il quadro normativo
Lo Startup Act è stato realizzato nel 2012 quando il mondo era diverso. Ha senso modificarlo e regolamentare nuove cose, facendo ordine. In questo contesto, ribadiamo l’importanza di mantenere un dialogo costruttivo con il Governo, a partire dal miglioramento, in fase di conversione, delle misure dedicate alle startup contenute nel cosiddetto DDL Concorrenza. Dobbiamo assicurare al settore innovativo un ruolo sempre più centrale all’interno dell’economia italiana.
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