1. Il perfezionamento del contratto
La sentenza di cui alla presente nota, offre l’occasione di riflettere sulla natura del contratto di mutuo ed, in particolare, la conservazione della sua efficacia di titolo esecutivo ex art. 474, C.p.c., a fronte dell’inadempimento del mutuatario.
Il contratto di mutuo è un contratto tipico disciplinato dall’art. 1813, s.s., C.c., a mente del quale “… una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.”.
Il mutuo è un contratto di natura reale che si perfeziona, in deroga al principio consensualistico che presiede i contratti ai sensi dell’art. 1376, C.c., con la consegna del bene promesso.
Si tratta di un contratto che, parimenti agli contratti reali, quali il comodato, il deposito ed il pegno, si perfeziona con la traditio rei.
Nell’ambito dei traffici giuridici, sovente colui che vuol acquistare un immobile si rivolge ad una banca al fine d’ottenere da quest’ultima l’erogazione d’un finanziamento per l’acquisto del detto cespite.
La banca ed il mutuatario concluderanno un contratto di mutuo, per atto pubblico ovvero tramite scrittura privata, avanti un notaio, con il quale le medesime parti concorderanno, rispettivamente, d’aver messo a disposizione e di restituire la somma ricevuta in rate semestrali per un certo numero di anni.
Nel contratto de qua, le parti possano condizionare lo “svincolo” della somma erogata dalla banca all’adempimento d’obbligazioni accessorie, come, ad esempio, l’iscrizione di una garanzia reale sul cespite, quale l’ipoteca, per un importo pari al doppio
Per meglio comprendere i concetti di disponibilità materiale e giuridica della somma, potremmo dire che la banca consegna la somma al mutuatario e questi dà atto d’averla ricevuta con una quietanza, espressa anche nel contratto di mutuo. In pari tempo, il mutuatario deposita la somma su d’un conto bancario infruttifero.
Cosicché, la banca acquista la proprietà della somma de qua, ex art. 1834, C.c., la cui proprietà sarà acquistata, di nuovo, dal mutuatario nel momento in cui quest’ultimo chiederà alla prima di prelevarla.
La norma da ultimo citata, stabilisce, infatti, che “…Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà, ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante…”.
La somma così depositata verrà svincolata dalla banca allorquando il mutuatario avrà adempiuto alle obbligazioni accessorie concordate tra le parti in sede di stipulazione del contratto di mutuo.
Sicché soltanto laddove il mutuatario domandi, una volta che abbia documentalmente dimostrato d’aver provveduto all’iscrizione di un’ipoteca sull’immobile, la consegna del denaro, la banca procederà a svincolare la somma depositata sul conto corrente infruttifero.
Questi passaggi che abbiamo evidenziato consentono di comprendere come il passaggio della somma mutuata, ed, indi, il trasferimento della proprietà della medesima, in capo al mutuatario, avvenga anche laddove questi ne abbia soltanto la disponibilità giuridica.
In tal senso, per la Suprema Corte “… Ai fini del perfezionamento del contratto di mutuo, avente natura reale ed efficacia obbligatoria, l’uscita del denaro dal patrimonio dell’istituto di credito mutuante, e l’acquisizione dello stesso al patrimonio del mutuatario, costituisce effettiva erogazione dei fondi, anche se parte delle somme sia versata dalla banca su un deposito cauzionale infruttifero, destinato ad essere svincolato in conseguenza dell’adempimento degli obblighi e delle condizioni contrattuali…”. (Cass. civ., Sez. III, Ord. n. 9229 del 22 marzo 2022).
Ed, ancora, “…il momento perfezionativo del negozio di mutuo (…) coincide (…) con la consegna, cioè, del denaro, o di altra cosa fungibile, al mutuatario che ne acquista la proprietà -, ovvero con il conseguimento della disponibilità giuridica della “res” da parte di quest’ultimo, per effetto della creazione, da parte del mutuante, di un autonomo titolo di disponibilità, tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio della controparte, a prescindere da ogni successiva manifestazione di volontà del mutuante…”. (Cass. civ., Sez. I, Ord. n. 25632 del 25 ottobre 2017; Idem, Sez.6, Ord. n. 38884 del 7 dicembre 2021).
Pertanto, la consegna di denaro idonea a perfezionare il contratto di mutuo deve intendersi non soltanto nel senso materiale, bensì anche come disponibilità giuridica della somma da parte del mutuatario pur mediante l’allocazione della medesima in un deposito infruttifero. Per approfondire, consigliamo il volume Manuale pratico dell’esecuzione mobiliare e immobiliare
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2. Il caso oggetto della pronuncia in rassegna. L’inadempimento del contratto di mutuo
Una volta tentato di comprendere il perfezionamento del contratto reale di mutuo, possiamo domandarci cosa accadrebbe se il mutuatario si rendesse inadempiente al pagamento delle rate semestrali.
Vien in rilievo l’art. 15 del D.P.R. n. 7 del 1976, che, in tema di credito fondiario, abilitava la banca, a fronte di un solo inadempimento del mutuatario, a risolvere il contratto di mutuo.
Abrogata la predetta norma, ex lege n. 175/1991, l’art. 40, comma 2, del D.lgs. n. 385/1993, consente alla banca d’invocare la risoluzione ove vi sia un inadempimento del mutuatario reiterato, anche per sette volte non consecutive, specificando, altresì, che il pagamento potrà considerarsi ritardato ove esso avvenga tra il trentesimo ed il centottantesimo giorno.
L’inadempimento incide sul contratto, sicché la banca matura la volontà di risolverlo. Le norme de quibus, sembrerebbero contemplare forme di clausole risolutorie, i cui effetti sono assimilabili all’art. 1453, s.s., C.c.
Con la risoluzione ex art. 1453, C.c., il creditore può, per l’appunto, alternativamente all’adempimento, chiedere la risoluzione del contratto, salvo il risarcimento del danno, a fronte della quale il debitore non è più obbligato a versare alcunché.
Ora, nel caso oggetto della pronuncia in esame, la banca, in data 14.07.2009, risolveva il contratto di mutuo fondiario, stipulato il 04.07.2006, essendosi reso il mutuatario inadempiente al pagamento delle rate concordate.
Di, poi, la banca ed il mutuatario, stipulavano, il 04.09.2011, un successivo accordo, concordando, tra l’altro, sull’entità di restituzione delle rate inadempiute, a sua volta risolto per l’ulteriore inadempimento di quest’ultimo.
La banca decideva d’azionare il credito portato dal contratto di mutuo, pari alle rate inadempiute e la residua quota del capitale, portandolo ad esecuzione tramite notifica del precetto.
Con opposizione, ex art. 615, comma 1, C.p.c., insorgeva il mutuatario, deducendo l’improcedibilità dell’esecuzione per carenza del titolo esecutivo, in quanto oggetto di novazione per via del successivo succitato accordo. Il tribunale di Bologna respingeva l’opposizione che, viceversa, veniva accolta dalla Corte di Appello “…dichiarando l’insussistenza del diritto di agire in executivis della banca in forza del mutuo azionato…”. (Cass. civ., Sez. III, n. 24942 del 27 settembre 2024).
La banca, indi, esperiva ricorso per cassazione deducendo, tra l’altro, ex 360, comma 1, n. 4, C.p.c., in relazione agli artt. 132, comma 2, n.4, 111, comma 6, cost., la nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione. La Suprema Corte, rigettati i primi tre motivi, assorbito il quinto, accoglieva il quarto rimettendo le parta avanti alla citata corte in diversa composizione.
L’impugnazione in parola verteva sulla considerazione che per la corte d’appello la risoluzione del contratto di mutuo comportava la caducazione di titolo esecutivo, sicché l’improcedibilità dell’esecuzione.
3. L’obbligazione di restituzione delle rate semestrale scadute del contratto di mutuo e l’obbligazione restitutoria conseguente alla risoluzione ex 1453 C.c.
La Suprema Corte confuta le conclusioni della corte d’appello, che aveva ritenuto novato, ex art. 1230, C.c., il contratto di mutuo del 4.07.2006 tramite l’accordo del 4.11.2011, e che, pertanto, anche a fronte della risoluzione di quest’ultimo, per effetto dell’estinzione dell’originario contratto di mutuo, la banca non poteva procedere all’esecuzione. Parimenti, era da escludersi un effetto transattivo, ex art. 1965, C.c., atteso che non vi erano state reciproche concessioni.
La corte d’appello riteneva che l’unica obbligazione restitutoria persistente, ex lege, era quella scaturente dalla risoluzione del successivo accordo.
La Corte dei Diritti giudica contradditoria la motivazione del giudice di secondo grado, avendo quest’ultimo confuso l’obbligazione di restituzione delle rate del mutuo, gravante, ex art. 1813, C.c., in capo al mutuatario, con la generale obbligazione di restituzione derivante, ex lege, dalla risoluzione d’un contratto.
Il giudice a quo si è discostato da un orientamento giurisprudenziale a mente del quale al contratto di mutuo, essendo un contratto di durata, non si estendono retroattivamente gli effetti della risoluzione ex lege, cosicché permane l’obbligazione originaria di restituzione delle rate gemmata dal contratto di mutuo affatto travolto dalla clausola risolutoria.
In tal senso, si afferma che “…Univoca giurisprudenza di legittimità, dunque, ravvisa nella risoluzione del mutuo, contratto di durata, un effetto ex nunc, che non rende totalmente inefficaci le pattuizioni negoziali, né priva l’atto pubblico che le contiene dei requisiti di titolo esecutivo ex art. 474 cod. proc. civ.”. (Cass. civ., Sez. III, n. 24942/2024, cit.).
Posto, quindi, che il contratto di mutuo non vien travolto dalla risoluzione, che non ha effetti ex tunc, ne viene che esso conserva la sua idoneità a valer come titolo esecutivo ex art. 474 C.p.c.
La Corte Suprema ci insegna che la radice dell’obbligo di restituzione, in capo al mutuatario inadempiente, è data dal contratto di mutuo, il quale, pur risolto dalla banca, con decadenza del beneficio del termine ex art. 1186, C.c., dando luogo, indi, all’immediato effetto restitutorio anche del capitale residuo, conserva il suo valore di titolo giuridico pubblico avente efficacia esecutiva.
A fronte del principio dell’irretroattività, ex art. 1458, C.c., con la risoluzione le parti del contratto di durata non sono più obbligate ad eseguire le successive obbligazioni, non travolgendo essa le prestazioni già eseguite.
Eppure, il diritto del mutuante a ricevere le rate di mutuo non corrisposte, poggia sulla considerazione che, nonostante la risoluzione, colui che ha eseguito la propria prestazione, nel caso specifico la banca, mediante la messa a disposizione della somma, conserva il diritto di ricevere la prestazione che la controparte inadempiente doveva eseguire prima dell’effetto risolutorio.
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4. Conclusioni
Rassegnando le conclusioni, sulla scorta delle superiori argomentazioni giuridiche, possiamo giungere alle seguenti affermazioni.
Anzitutto, sotto la classificazione dei contratti, il contratto di mutuo è un contratto reale, ad effetti obbligatori, di durata.
Ed essendo un contratto di durata, la sua risoluzione, non avente efficacia retroattiva, non sterilizza l’obbligazione di restituzione delle rate semestrale impagate, il cui inadempimento è maturato prima dell’effetto risolutorio, unitamente all’obbligazione di restituzione di quella parte del capitale non ancora restituita.
Il contratto di mutuo, stipulato in una forma solenne, come richiamata, d’altronde, dall’art. 474, comma 2, n.3, C.p.c., conserva la sua efficacia di titolo esecutivo, come tale idoneo per azionare coattivamente il credito insoddisfatto della banca mutuante e, quindi, per l’avvio dell’espropriazione forzata, preceduta dalla notifica dell’atto di precetto ex art. 480, C.p.c.
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