di Vincenzo FRANCESCHELLI – Locazioni brevi, Keybox e l’interesse del consumatore
La filosofia delle locazioni brevi
Nell’offerta turistica la novità dei nostri tempi sono le “locazioni brevi”.
Si può pensare che le “locazioni brevi” siano una versione moderna delle affittacamere. Ma non è così. Si tratta (così sembra) di veri e propri (piccoli) appartamenti dove il viaggiatore (e non solo il turista) trova alloggio. Manca, soprattutto, la (vecchia) padrona di casa, che accoglie gli ospiti.
La più famosa affittacamere della letteratura è, probabilmente, la signora Hudson, con il suo appartamento in 221B Baker Street, dove alloggiarono (con poca spesa) Sherlock Holmes e il dott. John H. Watson.
Holmes e Watson scelgono Baker Street perché costa meno sia di un appartamento in locazione che di un albergo. Questo spiega perché gli alberghi in generale (e in generale le associazioni degli albergatori) non amino le affittacamere (e oggi non amino i bed and breakfast, o più semplicemente B&B).
Le “numerose” tipologie italiane
Insomma, il quadro complessivo delle opportunità di alloggio per il consumatore appare oggi articolato e complesso.
Locazioni brevi, locazioni turistiche di breve durata, B&B (che tanto per complicare le cose sono soggetti a 19 leggi regionali diverse e due leggi provinciali, Bolzano e Trento), locazioni con finalità turistica, agriturismo si affiancano ai contratti di ospitalità tradizionali: l’albergo nelle sue multiformi articolazioni. E così oggi le strutture ricettive alberghiere (con classificazione spesso regionale) si distinguono in:
- a) alberghi o hotel;
- b) villaggi-albergo;
- c) residenze turistico-alberghiere;
- d) alberghi diffusi;
- e) condhotel.
Vi sono poi le strutture ricettive non alberghiere: sono le case per ferie e gli ostelli della gioventù. E poi vi sono i rifugi alpinistici e i rifugi escursionistici. E, per finire, quello che sopravvive delle antiche camere mobiliate date in locazione.
Il complesso caso normativo italiano
Se questa realtà complessa, composta da una ampia gamma di offerte abitative, costituisce senza dubbio un vantaggio per il turista e per il viaggiatore, non tutti condividono un giudizio positivo.
Oggetto di proteste sono soprattutto le locazioni brevi (si dice quasi 600.000 in Italia).
Ora, occorre, in realtà, quanto alle locazioni brevi, distinguere tra chi le fa: un privato, che le gestisce da solo, e le organizzazioni che le gestiscono professionalmente (o industrialmente, come dice qualcuno). È infatti successo che singoli proprietari (o anche grandi investitori) affidino ad organizzazioni di gestione il tutto (i c.d. intermediari nello short term rental, per dirla all’inglese). Sono loro che, gestendo piattaforme informatiche, seguono l’intero processo: l’offerta sui siti web, la contrattazione, la stipulazione dei necessari contratti, la consegna delle chiavi e la gestione stessa dell’appartamento e quindi i servizi connessi. Tra l’altro questi intermediari hanno rilevanti compiti fiscali: che infatti gli intermediari che intervengono nel pagamento o incassano i canoni/corrispettivi relativi ai contratti di locazione breve devono operare su quelle somme, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21% a titolo d’acconto, da versare tramite modello F24, con il codice tributo “1919” (così il sito della Agenzia delle Entrate).
La guerra alle Keybox
Questa – possiamo chiamarla così – “spersonalizzazione” del servizio “turistico” (frutto del successo degli affitti brevi e dei B&B), non ha mancato, come s’è detto, di sollevare malumori e problemi (soprattutto nelle città d’arte).
Ci si lamenta, soprattutto, delle (ormai famose) c.d. keybox (le cassette con le chiavi) che si sono diffuse in tutta Italia e sono il simbolo visibile di abitazioni convertite in “affitti brevi”. Sono montate all’esterno, sulla pubblica via e, apribili con un codice, contengono le chiavi dell’appartamento.
Insomma, le keybox sono diventate il simbolo dell’overtourism (detto anche, non si sa perché, overturismo). Contro di esse sono sorti movimenti, tant’è che qualche comune pensa di vietarle (e le vieta).
Sull’onda della protesta, è intervenuto il Viminale (e cioè il Ministero dell’Interno) che ne ha fatto una questione di identificazione dell’“inquilino” e le ha vietate. A chi scrive, questa giustificazione appare un pretesto. Se si fosse detto che le keybox rovinano il paesaggio e le strade delle città (come probabilmente è vero, soprattutto in ragione della loro crescita esponenziale) personalmente non avrei avuto nulla da ridire. Ma la (mancata) “identificazione” fisica del conduttore è, più che altro, un utile scusa, o, se si vuole, una giustificazione fittizia. Nel mondo ormai sempre connesso l’identificazione “facciale” diretta, basata sulla corrispondenza del volto che abbiamo di fronte con la foto riportata sulla carta di identità, è sulla via del tramonto. Lo Stato stesso ci fornisce SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), CIE (Carta di Identità Elettronica) e passaporti elettronici, marchingegni e programmi idonei a identificarci digitalmente.
Ancorché brutte (anzi, bruttissime), le keybox (diciamolo) sono comode. Piacciono al turista consumatore, che può giungere all’alloggio a qualsiasi ora. E piacciono anche ai padroni di casa (incluse le affittacamere), che non si devono svegliare di notte per accogliere i turisti ritardatari. E dovrebbero piacere anche al fisco (e quindi allo Stato), perché, parafrasando un vecchio slogan “dove c’è un keybox c’è un possibile contribuente”.
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