Cassazione Penale, Sez. VI, 29 novembre 2024 (ud. 23 ottobre 2024), n. 43866
Presidente Rocchi, Relatore Toriello
Segnaliamo ai lettori, in merito agli artt. 11 (Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati) e 11-bis c.p.p. (Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati della Direzione nazionale antimafia), la sentenza con cui la sesta sezione penale ha affermato il seguente principio di diritto: «in tema di competenza, la disciplina dettata dall’art. 11 bis cod. proc. pen. si applica solo ove il magistrato addetto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, che assuma la qualità di indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato, sia stato applicato ad una direzione distrettuale antimafia ai sensi dell’art. 105 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, quando il fatto oggetto del procedimento penale rientri, ordinariamente, nella competenza dell’ufficio giudiziario presso il quale è stata disposta l’applicazione».
La Corte prende le mosse ricordando come l’art. 11 cod. proc. pen. «attribuisca la competenza per i procedimenti che vedono un magistrato quale indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato (in questi ultimi due casi, indipendentemente dalla circostanza che egli si sia – o meno – costituito parte civile: cfr. Sez. 5, n. 46098 del 12/11/2008, Giusti, Rv. 241996 – 01) al giudice competente per materia che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge, indicato nella tabella A allegata all’art. 1 disp. att. cod. proc. pen. (una tabella “circolare”, che opera in forza di un criterio obiettivo ed immediato attraverso un meccanismo a catena), così eliminando qualsiasi sospetto di parzialità che deriverebbe dal rapporto di colleganza e dalla normale frequentazione tra magistrati operanti in uffici giudiziari del medesimo distretto di corte d’appello».
Come si è osservato in dottrina, «attraverso l’introduzione dell’art. 11 cod. proc. pen. il legislatore ha inteso evitare l’appannamento, almeno a livello di immagine, della neutralità del giudice e la correlata flessione dell’indice di affidabilità del suo decisum a motivo di possibili influenze ambientali, prevedendo una sedes processuale derogatoria rispetto alle ordinarie regole determinative della competenza per territorio».
Al tempo stesso, l’art. 11 bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2 legge 2 dicembre 1998, n. 420, «stabilisce che la competenza per i procedimenti che vedono quale indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato un magistrato addetto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo appartiene al giudice determinato ai sensi dell’articolo 11».
Ai sensi dell’art. 103 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (e, prima dell’entrata in vigore del codice antimafia, ai sensi dell’art. 76-bis R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) – si legge nella sentenza – «la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo è istituita “nell’ambito della Procura generale della Corte di cassazione”: la sua competenza, estesa all’intero territorio nazionale, sottrae i magistrati ad essa addetti dalla generale applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen, al pari di quanto avviene per i magistrati di questa Corte di cassazione».
Ed invero, se la ratio dell’istituto risiede nell’esigenza di «evitare che il rapporto di colleganza e normale frequentazione nascente dal comune espletamento delle funzioni nello stesso plesso territoriale possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’imparzialità del giudizio» (così, in motivazione, Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, Scabbia, Rv. 229633 – 01), «è conseguenziale ritenere che esso non può trovare applicazione in relazione a magistrati – quali quelli addetti alla Direzione nazionale antimafia e terrorismo – che non svolgono funzioni territoriali ma hanno una dimensione operativa di carattere nazionale».
Residua, tuttavia, «un ben delineato ambito di operatività all’art. 11 bis cod. proc. pen., norma che, se ci si fermasse all’affermazione appena fatta, sarebbe sostanzialmente priva di senso, e che, se si volesse invece prescindere dall’affermazione appena fatta, comporterebbe che i procedimenti relativi ai magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo dovrebbero essere trattati, sempre e comunque, dagli uffici giudiziari di Perugia: soluzioni, come è evidente, entrambi insoddisfacenti».
Ed invero, «come espressamente previsto dall’art. 105 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, i magistrati addetti alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo possono essere applicati temporaneamente alle direzioni distrettuali, per la trattazione dei procedimenti relativi ai delitti indicati nei commi 3-bis e 3-quater dell’art. 51 cod. proc. pen., quando gli stessi siano “di particolare complessità” o “richiedono specifiche esperienze e competenze professionali”».
Quando una tale evenienza si verifica, «l’applicazione incardina il magistrato presso l’ufficio di destinazione, sia pure solo temporaneamente: in tali casi, limitatamente alla durata dell’applicazione, trova applicazione la speciale competenza derogatoria prevista dall’art. 11 bis cod. proc. pen., quando il fatto oggetto del procedimento penale rientri, ordinariamente, nella competenza dell’ufficio giudiziario presso il quale è stata disposta l’applicazione, sicché il procedimento che sarebbe stato di competenza dell’ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di applicazione diviene di competenza dell’ufficio giudiziario individuato ai sensi degli artt. 11, comma 1, cod. proc. pen., e 1 disp. att. cod. proc. pen.».
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