Le consegne sono avvenute domenica 8 dicembre, giorno dell’Immacolata, prima dell’alba, in Galleria. «Vengo da una famiglia povera e so come ci si sente. L’anno prossimo ne porterò di più»
«Non voglio essere frainteso, che chi mi conosce possa pensare al mio gesto come a un modo per farmi pubblicità». A parlare, ribadendo la volontà di restare anonimo, è il benefattore che ha donato un panettone a ciascuno dei senzatetto che «alloggiano» in piazza Duomo. Le consegne sono avvenute domenica 8 dicembre, giorno dell’Immacolata, prima dell’alba, alle 5.30 del mattino, come dimostra uno scatto in galleria Vittorio Emanuele in cui si vede un orologio e uno dei senzatetto con ai piedi la scatola del dolce natalizio. Possiamo solo dire che l’anonimo benefattore è un signore sessantenne che proviene da un paese della Bergamasca. Non è benestante e si definisce «una persona normale, che vive del suo lavoro».
Come nasce questo gesto?
«Da tanti anni trascorro l’8 dicembre in Duomo perché mi piace ammirare l’albero. Faccio una lunga passeggiata: ho sempre parcheggiato a Loreto, arrivando alle 9 del mattino. Ogni volta che andavo, sul tragitto da corso Buenos al Duomo, il mio sguardo si soffermava sui clochard che trovavo su quasi tutto il percorso. Mi limitavo a fare l’elemosina… Loro erano svegli, nelle loro “postazioni” sui marciapiedi. Nel 2019 sono andato a servire un pranzo per gli ospiti della Comunità Sant’Egidio, in una chiesa in via Solferino. L’anno successivo ho dato una mano in un altro centro e poi è subentrata la pandemia. Finché ho deciso di fare qualcosa di mio per quei clochard che avevo visto per anni».
Come si è organizzato?
«Mi sono svegliato alle 4.15 e sono partito in auto dal mio paese nell’isola bergamasca. Ho posteggiato a Loreto, carico di panettoni. E ho fatto i miei chilometri a piedi con questo carico di dolcezza. Per fortuna che non ha piovuto. Però ho un rammarico».
Quale?
«Non mi do pace per non essere riuscito ad accontentare tutti».
L’anno prossimo si organizzerà meglio.
«Sicuramente, e chiederò un aiuto per poter portare più panettoni possibile».
Ha figli?
«Sì, un ragazzo di vent’anni, che è orgoglioso della mia iniziativa. Probabilmente mi aiuterebbe, ma non vorrei che diventasse una cosa familiare. L’importante è che lui abbia capito il valore del donare».
I senzatetto sono avvolti nei sacchi a pelo e nelle coperte, sdraiati sopra i cartoni che rendono il marmo meno gelido. I più fortunati sono dentro piccole tende. A pochi passi da loro, ci sono il lussuoso albero di Dior in Galleria e le insegne dei grandi brand sotto i portici. Che effetto fa?
«Ti rendi conto che ci sono due mondi, quello del giorno, dove dominano la frenesia, il consumismo, con i senzatetto che sono invisibili. E quello della notte, dove vedi ciò che è reale. Alle 7 devono sbaraccare perché la loro presenza toglie decoro alla zona. Se entri nelle viette, al buio, ne trovi altri. Erano tutti copertissimi, non ho visto i loro volti. C’erano tre tende. Colpisce sapere che, nel periodo più festoso dell’anno, sono soli».
Sono più degli anni passati?
«No, sono sempre gli stessi».
Quanti panettoni ha consegnato?
«Non voglio dare numeri per non dare un valore economico al gesto».
Perché questa sensibilità verso i senza fissa dimora?
«Provengo da una famiglia povera, papà operaio, mamma casalinga e quattro figli da sfamare e crescere, dei quali io sono il più grande. Nel 1977 desideravo fare una vacanza. Ma non c’erano soldi in casa. E allora sono partito insieme a un amico facendo l’autostop. Per dieci giorni abbiamo dormito all’aperto, sulle panchine. Una volta addirittura, a Siena, sul palco dove avveniva la premiazione della contrada vincitrice del palio. La mattina presto ci cacciarono con i bastoni. Eravamo gli sfigati. Per avere i soldi per mangiare facevamo i braccialettini intrecciando fili di rame. Facendo quell’esperienza, ho capito cosa significa vivere per strada. E ho sempre avuto rispetto per chi è debole perché pure io sono stato molto debole».
A Natale, da bambino, cosa trovava sotto l’albero?
«Mandarini e noci… Non certo i giocattoli. I miei amici, a 14 anni, avevano tutti il motorino. Io me lo potevo sognare».
Come si sente dopo la sua «missione»?
«Sabato sera mi sentivo come un bambino che freme perché aspetta Santa Lucia. Donare ti arricchisce. E poi non ho fatto niente di esagerato».
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