Il 51% delle piccole e medie imprese italiane dichiara che la formazione è parte della strategia aziendale e il 61% la ritiene prioritaria per sviluppare competenze necessarie sia alla trasformazione digitale che green: capacità di relazione, di lavoro in gruppo, attitudine all’imprenditorialità, creatività e capacità innovativa. A fronte di questo dato, ce n’è un altro parimenti forte: il 18% delle PMI appare invece scettica sul ruolo della formazione e afferma che o non è prioritaria o è usata solamente perché obbligatoria.
Sono alcuni dei risultati emersi dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI condotta su un campione di oltre 500 piccole e medie imprese, statisticamente rappresentativo della popolazione di PMI italiane.
La formazione importante spesso solo a parole
Ripartiamo dai dati. Oltre la metà delle piccole e medie imprese italiane (51%) dichiara che la formazione è parte della strategia; per il 31% è ritenuta importante ma non rientra tra le attività strategiche; il restante 18% afferma che la formazione non è prioritaria oppure che è usata solamente per la parte obbligatoria.
E qui arriva un altro dato sorprendente: fanno attività sistematica di valutazione delle competenze solo il 15% delle PMI, mentre a spingersi in attività di individuazione delle necessità formative a livello previsionale sono appena l’11% delle PMI.
Dal confronto tra la strategicità attribuita alla formazione e la valutazione delle competenze presenti e future per definire i piani formativi nasce il sospetto che nelle PMI esista una differenza tra il pensiero e l’azione, tra teoria e pratica. E ciò è avvalorato anche dal fatto che il 37% del campione non dispone di una programmazione delle attività formative e che il 19% le programmi solo ogni due o tre anni.
Quale formazione
Per migliorare le competenze interne il 30% delle PMI non si avvale di formazione formale (corsi interni o esterni o altre attività strutturate come job rotation, partecipazione a webinar, fiere, eventi), ma si appoggia esclusivamente a formazione “informale”, favorendo l’affiancamento a figure più esperte e la condivisione di esperienze tra il personale aziendale (14%), oppure ricorrono solamente a formazione obbligatoria (16%).
Il restante 70% utilizza un mix tra formazione formale e informale.
Il 40% delle PMI che ricorrono solamente alla formazione obbligatoria o a quella informale ritiene problematico svolgere l’attività formativa durante l’orario di lavoro, mentre il 32% lamenta la mancanza di una struttura interna dedicata alla formazione.
Poca formazione per dirigenti e manager
Il 64% delle PMI che svolgono attività formative formali ritiene che la formazione migliori la competitività dell’impresa o aiuti a trattenere i talenti (42%).
Negli ultimi due anni – si legge nell’osservatorio – si è osservata la prevalenza di attività incentrate su:
- hard e soft skills (73%), concentrate su capacità relazionale e di gruppo, normative, tecnologie digitali, attività manuali)
- digitalizzazione (61%), concentrate sull’addestramento all’uso di tecnologie, conoscenza delle nuove tecnologie, implicazioni normative sull’uso delle tecnologie
- transizione green (39%), concentrate sulle pratiche di riciclo/economia circolare, sensibilizzazione alla sostenibilità, uso di tecnologie per il risparmio energetico
Gli impiegati e gli operai sono le figure più coinvolte in attività formative (69%). Oltre la metà delle PMI che svolgono attività formali non coinvolge dirigenti o quadri in attività formative (53%).
Stupisce la scarsa attività verso i quadri, figura cruciale nelle imprese perché cerniera tra leadership strategica e gestione operativa. Alla stessa stregua, anche i neoassunti nel 64% dei casi non usufruiscono di formazione formale, limitando gli interventi soprattutto agli affiancamenti.
Il ruolo degli strumenti agevolativi
La maggior parte delle PMI che ha svolto attività formative formali ha fatto ricorso a formazione finanziata (78%) attraverso crediti di imposta (39%), fondi paritetici interprofessionali (33%) e bandi camerali (22%).
I tassi di utilizzo inferiori al 50% segnalano che le fonti di finanziamento per la formazione sono ancora poco conosciute e che gli enti che le promuovono – dicono i ricercatori – dovrebbero migliorare in questa direzione.
Ma perché si sfruttano poco le opportunità offerte dagli incentivi? La complessità per il monitoraggio e la rendicontazione sono la principale criticità per l’accesso alla formazione finanziata (27%), seguite dall’esiguità dei fondi messi a disposizione (23%) e dalla complessità nelle fasi iniziali di preparazione della documentazione e candidatura (23%).
Sono gli impiegati (90%) i principali fruitori della formazione finanziata, seguiti dagli operai (57%), dai quadri (48%), dai neoassunti (33%) e dai dirigenti (24%). Solo il 17% delle PMI monitora regolarmente le competenze per valutare l’efficacia della formazione finanziata.
Tutto questo, unito alla mancanza di una chiara indicazione sugli impatti della formazione finanziata, denota una consapevolezza sul tema ancora scarsa e una generale difficoltà a considerare la formazione come un elemento strategico.
“Dai risultati della ricerca due sono i temi su cui l’ecosistema deve lavorare per aumentare la sensibilità delle imprese. Il primo riguarda la messa a punto di nuovi paradigmi per rendere centrale la formazione nei processi di up-skilling e di re-skilling, per migliorare la competitività delle imprese e per evitare problemi di natura sociale”, spiega Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI.
“Il secondo, anch’esso di natura culturale, deve avere come obiettivo di aumentare la formazione dedicata alle figure apicali e ai quadri, cruciali nel processo di trasmissione degli orientamenti strategici verso l’innovazione. Oggi, la formazione obbedisce più a esigenze legate alla quotidianità, rendendola più simile all’addestramento”, aggiunge.
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