Il trattamento riservato ai lavoratori “in evidente stato di bisogno e clandestini, era decisamente inumano e degradante”. È quanto evidenziato dal gip Raffaele De Florio nell’ordinanza che ha permesso ai carabinieri di smantellare una rete che si era specializzata nello sfruttamento dell’immigrazione clandestina, realizzando guadagni importanti (stimati dagli inquirenti in centinaia di migliaia di euro) grazie alla speranza di poter ottenere il permesso di soggiorno.
Il primo passo, stando alla ricostruzione della Procura di Rimini, consisteva nel reclutamento di migranti desiderosi di trasferirsi nel nostro Paese. Persone disperate, in fuga dalla loro nazione d’origine, che erano pronte a tutto, anche a pagare cifre considerevoli, pur di regolarizzare la loro posizione e ritrovarsi tra le mani i tanto sospirati documenti. Per un permesso di soggiorno temporaneo c’era chi era disposto a sborsare dai 3.500 fino ai 4mila euro in contanti.
Il reclutamento avveniva mediante alcuni intermediari provenienti da altre province, quasi sempre dei connazionali delle future vittime. A quel punto le strade da percorrere erano generalmente quattro. Venivano organizzati dei matrimoni fittizi tra italiani e stranieri, specialmente donne. Queste ultime – in particolar modo quelle più giovani, provenienti in gran parte da Marocco e da altre regioni del Nord Africa – stando all’indagine condotta dai militari dell’Arma, in alcuni casi sarebbero addirittura state avviate alla prostituzione, con la speranza che grazie alle prestazioni sessuali sarebbero riuscite in qualche modo a ’pagarsi’ il rilascio del documento di soggiorno.
A ciò si aggiungeva lo sfruttamento di lavori extracomunitari, impiegati in società operanti nel settore turistico/alberghiero, costretti a svolgere i lavori più umili e con turni massacranti, mentre su di loro pendeva la spade di Damocle del mancato rinnovo dei documenti, cosa che di fatto li avrebbe obbligati a lasciare l’Italia e a rientrare nel Paese d’origine.
Ma non finisce qui, perché stando alla ricostruzione compiuta dagli inquirenti, gli indagati avrebbero ulteriormente lucrato sulle spalle dei migranti presentando delle richieste di disoccupazione o di altri ammortizzatori sociali per i clandestini assunti attraverso contratti fittizi. Determinante, in tal senso, sarebbe stata la presenza di un dipendente dell’Inps, che avrebbe fornito ai vertici del gruppo informazioni riservate e curato alcune pratiche, ma anche del commercialista pesarese, che si sarebbe occupato personalmente di presentare domande di nulla osta sfruttando le possibilità legate al “Decreto Flussi” del 2020.
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