Olbia Cannonau e vermentino di Sardegna Doc e vermentino di Gallura Docg ma solo sull’etichetta. Perché per la Procura di Tempio, quello che veniva venduto ai consumatori come prodotto sardo certificato, era in realtà vino comune.
È questa l’accusa che viene mossa alla cantina Zanatta di Olbia, dell’omonima famiglia, che opera in località Spiritu Santu, alle porte della città, finita sotto inchiesta insieme a numerose altre persone che, a vario titolo, sono ritenute responsabili di una serie di reati: dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, frode in commercio aggravata, contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, falso ideologico nella redazione di documenti di trasporto e attestazioni vitivinicole.
L’inchiesta avviata nel 2022 e coordinata dalla Procura di Tempio si è conclusa. I carabinieri della compagnia di Bonorva hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari a 29 persone, coinvolte, come detto, a vario titolo nella vicenda. Tra loro figurano produttori e commercianti di vino sardo, siciliano e pugliese, titolari di aziende di trasporti in Sardegna e nella penisola, proprietari di distillerie e tecnici dell’Organismo di controllo dei vini Doc in Sardegna. Nell’agosto 2023, i militari avevano sequestrato conti correnti per un valore complessivo di 2 milioni e mezzo di euro e 5mila ettolitri di vino miscelato ancora in giacenza nell’impianto di Olbia per un valore commerciale stimato in oltre 1 milione e mezzo di euro.
L’indagine è stata condotta dai carabinieri di Bonorva e dai funzionari dell’area di Sassari del dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari della Sardegna, insieme alla guardia di finanza di Sassari. Al centro delle indagini, la vendita di vino comune etichettato come Cannonau di Sardegna Doc, Vermentino di Sardegna Doc e Vermentino di Gallura Docg da parte della cantina Zanatta di Olbia, realtà che opera nel nord Sardegna e nella penisola. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’azienda sarda attestava giacenze di vino superiori a quelle reali, gonfiando le rese di uve prodotte per ettaro dei propri vigneti e simulando di acquistare da operatori sardi compiacenti uve o vino Doc e Docg.
Successivamente acquistavano vini di scarsa qualità dalla Sicilia e dalla Puglia che arrivavano nell’isola attraverso un’azienda specializzata nel trasporto di prodotti vitivinicoli, in cisterne sprovviste di documenti oppure accompagnate da dichiarazioni fittizie di parziale carico. Il vino comune proveniente dalla penisola, acquistato a basso prezzo, non veniva contabilizzato e veniva rivenduto miscelato, come prodotto sardo Doc Docg sfuso all’ingrosso o imbottigliato, ad un prezzo decisamente superiore.
Gli accertamenti svolti nelle aziende vitivinicole in Sardegna, Emilia Romagna, Toscana e Sicilia, insieme a verifiche di natura fiscale, hanno permesso di accertare l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per circa 600mila euro e l’indebita percezione di circa 441mila euro derivante da elementi passivi fittizi indicati nella dichiarazione dei redditi.
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