Il 13 gennaio arriverà la sentenza di primo grado per Massimo Gentile, l’ex capo ufficio tecnico del Comune di Limbiate in carcere con un’accusa di 416bis perché accusato di essere stato uno dei prestanomi di Matteo Messina Denaro.
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Resta in carcere con l’accusa di 416bis Massimo Gentile, l’ex capo ufficio tecnico del Comune di Limbiate, in provincia di Monza e Brianza, arrestato lo scorso marzo perché la Procura di Palermo lo aveva ritenuto uno dei prestanomi di Matteo Messina Denaro.
Nel dettaglio, l’ex boss di Castelvetrano aveva usato l’identità di Gentile per comprare nel 2014 una Fiat 500 e una moto Bmw nel 2007. Secondo gli accertamenti degli investigatori di Palermo, l’auto era stata comprata utilizzando la carta d’identità con i dati e la firma dell’ex funzionario di Limbiate ma con la foto di Messina Denaro.
Gentile, difeso dall’avvocato Antonio Ingroia, ha scelto il rito abbreviato: le prossime udienze saranno il 10 e il 13 gennaio, parleranno sia l’accusa che la difesa e si potrà già arrivare alla sentenza. Intanto per ora resta in carcere a Voghera, in provincia di Pavia, e ha incontri regolari con la sua famiglia: il Tribunale del Riesame infatti ha rigettato il ricorso del legale di Ingroia che però ha detto che si prepara a farlo in Cassazione.
La versione di Massimo Gentile
Secondo l’avvocato e stando a quanto dichiarato dallo stesso imputato, Matteo Messina Denaro avrebbe rubato l’identità dell’ex capo ufficio tecnico di Limbiate. O meglio, a impossessarsi di una copia dei documenti di Gentile sarebbe stato uno dei fedelissimi del boss: Gentile ha spiegato di essere stato un dipendente dell’azienda che produce olio di Andrea Bonafede classe 1969 (non quell’Andrea Bonafede, classe 1963, che ha prestato l’identità al boss durante le ultime visite alla clinica La Maddalena a Palermo e per cui è stato condannato a 14 anni. Si tratta di due cugini omonimi, accusati di essere fedelissimi di Messina Denaro). Anche per Andrea Bonafede classe ’69 è in corso un procedimento penale per favoreggiamento che è arrivato al secondo grado di giudizio.
Secondo Gentile, i suoi documenti sarebbero stati “rubati” quando li avrebbe consegnati per stipulare i contratti legati al lavoro. Da qui Messina Denaro si sarebbe impossessato delle fotocopie e quindi della sua identità. Gentile dunque ha sempre negato un suo coinvolgimento, dichiarando più volte di essere vittima di un furto di identità.
Cosa ha ammesso Andrea Bonafede nell’interrogatorio davanti ai magistrati
Andrea Bonafede avrebbe ribadito più volte di non sapere nulla ma allo stesso tempo che ha avuto la disponibilità della fotocopia del documento di Gentile: lo avrebbe avuto perché Gentile avrebbe lavorato per tre mesi nella raccolta delle olive.
Lo avrebbe avuto in mano però – secondo Bonafede – in un’epoca successiva ai fatti contestati dalla Procura, ovvero dopo la compravendita dell’auto e della moto: Gentile avrebbe lavorato per Bonafede nel 2017 mentre i fatti contestati sarebbero avvenuti negli anni precedenti, iniziati nel 2014. Bonafede – secondo fonti di Fanpage.it – non avrebbe ammesso durante l’interrogatorio di aver dato questo documento nelle mani di Matteo Messina Denaro. Questa questione sarebbe stata contestata già dal Tribunale del Riesame che ha respinto la richiesta di scarcerazione di Massimo Gentile.
La perizia grafica sui documenti per acquistare l’auto e la moto
La criminalista Katia Sartori – consulente della difesa – ha analizzato le firme poste sui contratti di vendita e rottamazione dei mezzi. Secondo l’accusa appartengono a Massimo Gentile, mentre l’avvocato Ingroia – basandosi sulla consulenza – punta sul fatto che la firma non sia stata fatta dell’ex capo ufficio tecnico del Comune di Limbiate ma da qualcuno che ha firmato al suo posto. Ovvero Matteo Messina Denaro.
La perizia si concentra sul fatto che la firma trovata sui documenti in concessionaria evidenzia segni di tremore nel segmento grafico. Questi tremori – secondo Katia Sartori – possono essere dovuti a malattie degenerative del sistema nervoso (come per esempio il Parkinson o tremori essenziali) dell’autore della calligrafia, ma possono essere anche segni di una persona che nel fare la firma potrebbe aver esitato. Perché? Perché secondo la difesa avrebbe imitato o copiato la firma di un’altra persona.
Questi segni di tremori invece non sono presenti nella firma di Massimo Gentile su cui è stata accertata la sua autenticità: la grafia appare sempre lineare e naturale, senza che si sia mai interrotta bruscamente. Ma soprattutto secondo la difesa non presenta segni di “esitazione grafica”.
La perizia quindi trae così le sue conclusioni: “Per quanto la sottoscrizione posta in verifica possa ritenersi simile alla grafia abituale del Sig. Gentile Massimo, l’analisi della sottoscrizione in verifica ha evidenziato la presenza anomala di tremori e di alcuni elementi grafici differenti alle peculiarità individuali e personali presenti e ricorrenti in tutte le sottoscrizioni autentiche appartenenti al Sig. Gentile Massimo. Pertanto, a parere della scrivente, la sottoscrizione in verifica non è da ritenersi autentica e riferibile alla mano del Sig. Gentile Massimo“. Tutto dovrà essere confermato nelle prossime udienze previste in abbreviato per il 10 e 13 gennaio.
Su cosa si basa l’accusa contro Massimo Gentile
Massimo Gentile resta in carcere con l’accusa di 416bis. Secondo le indagini della Procura di Palermo, avrebbe prestato la sua identità al boss latitante per acquistare una Fiat 500 L, nel 2014 e una moto Bmw F650 nel 2007. La sua firma era anche presente nelle rispettive assicurazioni. L’acquisto di mezzi di trasporto avrebbe permesso a Matteo Messina Denaro – arrestato il 16 gennaio del 2023 e morto il 25 settembre successivo – di muoversi e vivere nel suo territorio come una persona qualunque.
L’auto sarebbe stata ritirata da una concessionaria di Palermo nel novembre del 2014: qui i carabinieri hanno trovato la fotocopia della carta d’identità di Gentile con la foto di Messina Denaro. Oltre ad aver versato mille euro in contanti, il boss avrebbe consegnato al venditore un assegno circolare da 9mila euro emesso da una filiale di Palermo: nella richiesta c’era la firma a nome di Massimo Gentile. Ora se Gentile sia stato o meno a conoscenza dell’utilizzo della sua identità da parte dell’ex boss di Castelvetrano, così come chi è stato a firmare i documenti, dovrà essere accertato durante il processo la cui sentenza di primo grado arriverà a metà gennaio.
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