L’ufficiale giudiziario, ieri, ha dribblato gli sguardi degli oltre trecento in presidio. Rinvio dello sfratto che sa di già visto: con ieri fanno 130 in 19 anni
In strada militanti e simpatizzanti del Leoncavallo incassano un rinvio dello sfratto che sa di già visto. Con ieri fanno 130 in 19 anni. E se l’aula del Tribunale civile s’è già espressa il mese scorso, riconoscendo alla società «L’Orologio srl» del gruppo Cabassi un risarcimento da 3 milioni di euro che il Viminale dovrà versare per il mancato sgombero, è il piano istituzionale che sta provando, di nuovo, in queste settimane, a percorrere dietro le quinte strade (quasi) nuove per risolvere una vicenda le cui origini affondano al 1994.
L’ufficiale giudiziario, ieri, ha dribblato gli sguardi degli oltre trecento in presidio. È entrato da un ingresso secondario, ha consegnato per l’ennesima volta l’atto, e se ne è andato. Nuovo appuntamento il 24 gennaio prossimo. Fuori, nel frattempo, è stato Daniele Farina, storico portavoce del centro sociale più famoso d’Italia, a chiamare in causa Palazzo Marino. «Su questa storia decide Milano. L’attore principale è il Comune, che ha dato disponibilità a lavorare per trovare una soluzione». Di certo, alla luce del«nuovo scenario», i tempi dovranno essere rapidi: entro l’estate.
I contatti sono già stati avviati. Palazzo Marino, militanti, prefettura stanno immaginando una via d’uscita. Che per i Cabassi è unica: riavere l’area di via Watteau. Per questo dal tavolo è stata esclusa l’ipotesi di riannodare i fili di quella bozza d’accordo che ai tempi della giunta Pisapia, su spinta dell’assessorato all’Urbanistica, percorreva la via di uno scambio d’aree. Era tutto pronto, ma una parte della maggioranza si oppose e la permuta finì nel nulla.
Per sopravvivere, le «anime» del Leonka dovranno accettare un trasloco. L’esperienza antagonista potrà sopravvivere, ma in una nuova «casa». Il delicato compito di individuare un luogo adatto per il trasloco è stato affidato all’assessore alla Rigenerazione urbana, Giancarlo Tancredi. Sono già stati fatti sopralluoghi che però a oggi non hanno dato i frutti sperati per l’ovvia difficoltà che una ricerca del genere comporta. Quindi, è corsa contro il tempo. Sia perché la cifra che dovrà essere sborsata alla famiglia Cabassi è destinata ad aumentare se gli occupanti non troveranno una sede, sia perché l’alternativa, ossia lo sgombero, è vista come la peste nera dalle varie istituzioni per il timore di disordini.
La roadmap prevede una serie di passaggi. Al primo posto l’individuazione di uno spazio alternativo, poi la «regolarizzazione» del Leonka, infine la partecipazione a un bando, lo stesso iter usato per trovare uno spazio al centro sociale Lambretta. Ci si muove in questo spazio stretto. Con il centrodestra che è già all’attacco. «Il mancato sgombero non è un bel segnale nei confronti dei milanesi onesti», tuona l’assessore regionale Romano La Russa. Sul versante opposto, Camera del lavoro e Verdi, che chiedono all’amministrazione comunale di «attivarsi concretamente per impedire questo sfratto».
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