Le grandi idee, come insegna il film di fantascienza Inception, nascono da piccoli embrioni impiantati in profondità che mettono radici, germogliano e diventano alberi. Per il giovane fisico Stefano Buono, alla metà degli anni Novanta, questo piccolo, grande embrione di idea è stato il lavoro sull’energia nucleare realizzato assieme a Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica e oggi senatore a vita. «Ho capito subito che l’innovazione che poteva scaturire da quegli studi era immensa», racconta il fisico, oggi imprenditore a capo di Newcleo, startup che crea piccoli reattori nucleari di ultima generazione, puliti ed efficienti, che possono essere installati dalle imprese per soddisfare il proprio fabbisogno di calore ed elettricità.
Qual è l’idea alla base di Newcleo?
Newcleo nasce dalle intuizioni di Carlo Rubbia di poter costruire centrali nucleari sicure. L’innovazione era enorme, ma era molto difficile che uno Stato potesse finanziarla negli anni Novanta; allora ho pianificato di farlo con capitali privati. All’epoca ero solo un ricercatore, perciò ho comprato un brevetto della nostra ricerca che aveva una applicazione in medicina nucleare e ho fondato una prima azienda biotech, Advanced Accelerated Applications, che poi ho venduto a Novartis nel 2018. Con il denaro della exit volevo dar vita a un’azienda che potesse cambiare il mondo. Ho pianificato la strategia per tre anni e nel 2021 ho trovato la realtà che possedeva i brevetti di cui avevo bisogno per creare Newcleo.
Quali sono stati i primi ostacoli?
Dovevo cercare qualcuno che mi aiutasse a far partire questa idea. Mentre ero in barca a vela, in piena traversata del Pacifico, ho inviato una mail a una serie di amici, che mi hanno risposto entusiasti. In pochi giorni ho fatto il primo fundraising da 100 milioni di euro, coi quali abbiamo acquisito i brevetti che oggi sono alla base di ciò che stiamo costruendo. Con Elisabeth Rizzotti, la nostra coo e co-fondatrice, e Luciano Cinotti, il terzo co-fondatore e nostro chief scientific officer, che porta un bagaglio di oltre 30 anni di ricerca sui sistemi di raffreddamento al piombo e 20 in più su altri tipi di reattori, abbiamo raccolto in pochi mesi altri 300 milioni e firmato il primo accordo con Enea per ristrutturare il centro del Brasimone (nel bolognese, ndr) con l’obiettivo di renderlo il principale polo mondiale per lo sviluppo della tecnologia di raffreddamento al piombo e realizzarvi dal 2026 il nostro prototipo non nucleare.
Qual è la rivoluzione che Newcleo introduce nell’industria nucleare e dell’energia?
Con la nostra tecnologia affrontiamo tre dei principali problemi del nucleare: i tempi e costi di produzione, la gestione delle scorie e la sicurezza. Lo facciamo costruendo reattori piccoli, realizzati in fabbrica e in serie, che alimenteremo con il Mox, un combustibile nucleare derivato dagli scarti delle centrali tradizionali, evitando così di estrarre nuovo uranio. I reattori sono raffreddati al piombo, un materiale che contribuisce a rendere passiva la sicurezza del reattore: è la fisica a rendere impossibile un incidente spegnendo il reattore in caso di malfunzionamenti prima che si danneggi.
Qual è la timeline dei progetti in corso?
Nel 2026 sarà pronto Precursor, prototipo non nucleare, al quale stiamo lavorando con Enea. Questo sarà fondamentale per testare componenti e sistemi del primo reattore dimostrativo da 30 Megawatt elettrici che sarà operativo in Francia nel 2031, seguito nel 2033 dal primo reattore commerciale da 200 Megawatt elettrici. L’obiettivo di lungo periodo è di costruire qualche decina di reattori in Europa entro il 2050.
Come funziona la strategia di crescita di Newcleo?
Newcleo deve arrivare sul mercato con un reattore nucleare e una fabbrica di combustibile. Il business model è simile a quello di una biotech: investire tanto per anni e vedere il ritorno solo parecchio tempo dopo. Abbiamo iniziato a costruire un fatturato tramite acquisizioni di aziende, che dovrebbero portare i nostri ricavi intorno ai 50 milioni di euro nel 2024. Al contempo vogliamo lanciare un’industria al servizio di nuovi reattori e nuovi combustibili. Ecco il perché delle oltre 90 partnership con le aziende che rappresentano il futuro della supply chain e delle applicazioni del nucleare. I piccoli reattori nucleari producono infatti sia elettricità sia calore, e possono essere messi nei siti industriali. È un po’ quello che stanno facendo le big tech con i data center, che vogliono alimentare appunto con piccoli reattori modulari. Noi vogliamo vendere l’elettricità non necessariamente alla rete, ma anche all’industria.
Avete da poco spostato la sede in Francia, il 90% degli azionisti però resta italiano. Qual è il ruolo strategico del nostro Paese?
L’Italia è centrale nel processo di crescita di Newcleo. Vogliamo creare il campione europeo del futuro nucleare puntando sul Paese per realizzare la nostra strategia, anche grazie alle partnership già siglate. Abbiamo già tre alleanze strategiche sulle applicazioni di nostri reattori: con Fincantieri e Rina nel settore navale, con Maire Tecnimont nella chimica verde e nell’idrogeno e con Saipem studiamo la possibilità di mettere i nostri reattori su piattaforme galleggianti. E poi le collaborazioni con Enel e Ansaldo che in futuro potrebbero dare buoni frutti.
E all’estero?
In parallelo è cresciuta anche l’impronta internazionale dell’azienda. Oggi siamo una società europea che conta più di 850 colleghi, di cui quasi 400 in Italia, e poi Francia, Inghilterra, Svizzera e Slovacchia. Abbiamo anche stabilito una presenza a Bruxelles per restare a stretto contatto con le istituzioni europee. Nel frattempo, la raccolta di capitali è arrivata a 537 milioni di euro e i nostri reattori sono stati scelti tra i progetti di punta dell’Alleanza Industriale Europea per i piccoli reattori modulari.
L’Italia può diventare un centro strategico per il nucleare di ultima generazione?
L’Italia può ri-diventarlo. È importante ricordare che negli anni Sessanta eravamo la terza potenza nucleare mondiale, poi qualcosa è andato storto e, complice la cattiva informazione, siamo rimasti esclusi per decenni da questo settore. Oggi però i tempi sono maturi per fare il grande passo, l’industria c’è e vuole essere competitiva. Ma da soli possiamo arrivare solo fino a un certo punto: è tempo che il governo e le istituzioni si prendano la responsabilità di guidare il cambiamento. © riproduzione riservata
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