Ferrara, Marco Daniele Cavazzini (44 anni) è uno dei pochi «esodati volontari»: «Sul futuro della multinazionale non ho buone sensazioni, altrimenti non mi sarei licenziato. Ma i soldi per la buonuscita sono pochi»
«Quando sono entrato in Berco, venti anni fa, pensavo di essere tranquillo per tutta la vita. Avere un contratto a tempo indeterminato in quella fabbrica voleva dire oro per chiunque. Era quasi, in un certo senso, un posto statale. Poi, però, il tempo ha cambiato tutto». Marco Daniele Cavazzini, 44enne di Tresigallo, in provincia di Ferrara, è uno dei pochi «esodati volontari» della crisi Berco. Il tetto fissato dalla multinazionale è di 400 uscite volontarie entro il 16 gennaio ma, al momento, gli operai in «fuga volontaria» che percepiranno i 57mila euro (netti 43mila, ndr) come buonuscita sono circa una cinquantina.
Quanto è stato difficile fare questa scelta?
«Non è stata una scelta facile, ma ponderata. Per quanto sofferta, però, penso sia una scelta giusta. Sono sempre stato uno che si è dato da fare nella vita, dove credo sia necessario sapersi adattare se non si vuole poi correre il rischio di rimanere risucchiati. Rimanere legati a quel contesto, oggi, era una scelta inutile perché non nutro grandi speranze per il futuro di Berco».
Anche altri colleghi hanno preso la stessa decisione.
«Sì, un mio collega e amico ha fatto come me, sempre per le mie stesse ragioni. Altri invece, che hanno famiglie, sono molto più restii. Lo stesso vale per chi ha più di 50 anni e troverebbe molte difficoltà nel cercare un ricollocamento nel mercato del lavoro».
Difficile quindi riuscire a raggiungere i 400 esodati volontari richiesti entro il 16 gennaio?
«Al momento, per me, sì. A quasi un mese dalla scadenza, siamo a metà dicembre e siamo ancora sotto ai 100. Ho dei seri dubbi che si raggiungano i 400. Poi mai dire mai, magari qualcuno trova coraggio e consapevolezza e accetta. Reputo comunque che siano pochi i soldi che ci spettano come buonuscita dopo una vita di lavoro in questa fabbrica».
A cosa è dovuta, secondo lei, la crisi di Berco e, più a livello generale, della metalmeccanica?
«Durante questi ultimi anni, Berco ha pagato a carissimo prezzo la crisi geopolitica in Europa. Penso soprattutto alla guerra in Ucraina, che ha portato a un aumento dei prezzi delle materie prime, ma anche difficoltà sul mercato delle esportazioni verso la Russia, non più possibili».
Quale clima si respirava negli ultimi mesi in fabbrica?
«La gente era nervosa e demotivata. Nervosa per via dei soldi che mancavano a causa degli scioperi che, giustamente, andavano fatti e che non arrivavano nemmeno dalla cassa integrazione. A ciò si aggiungevano le brutte notizie sul futuro. Inutile dire che tutto poi finiva per ripercuotersi sul lavoro e sulla vita di tutti i giorni».
Qualcosa che le mancherà di questi anni?
«Ovviamente ho stretto forti legami coi colleghi e non posso che essere grato al mondo Berco, che mi ha permesso di aprire un mutuo e di comprarmi una casa, ma anche di avere una ottima sicurezza economica. Mi piange il cuore dover lasciare tutto, dover mollare. Però è pur sempre un posto di lavoro e spero di trovare qualcosa di meglio».
Ora il futuro. Continuerà in questo settore o sceglierà altro?
«Considerata la professionalità acquisita in questi anni, puntavo a rimanere nello stesso settore. Mi sono già attivato, però ovviamente se ne riparlerà da gennaio in poi».
E il futuro di Berco?
«Se le dicessi che lo vedo bene, non mi sarei licenziato. Purtroppo non ho delle buone sensazioni».
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