L’erede del fondatore Rota: «Da qui sono passati tutti». Walter Chiari, Gaber, Melato, Borboni e Falck tra i protagonisti del prestigioso palco
La sera di sabato 20 dicembre 1924 a Milano si inaugurava il teatro Nazionale con La cena delle beffe di Sem Benelli, (1908), dramma che Sarah Bernhardt aveva recitato a Parigi e i Barrymore a New York, poltrona lire 6,70, palco 20. Ma pioveva e Piazza Piemonte era quasi campagna, nei campi: il giorno dopo comunque altre due recite, Zazà e Il padrone delle ferriere ingresso lire 2,20. Ad accogliere le signore in lungo della prima che dovevano scendere dalla carrozza in equilibrio su assi di legno c’era il coro delle rane e dava il benvenuto Mauro Rota che aveva chiesto all’architetto Mario Borgatto questo teatro un po’ off rispetto alla Scala, al Lirico, al Carcano (i più «vecchi» monumenti teatrali), usando tra i primi il cemento armato. Lesse nel futuro della città con 100 anni di anticipo. «Se ci pensa bene» — dice Paolo Dameno Rota, nipote di Mauro e poi di Giordano Rota, il cui busto è nel foyer — «il bisnonno era un visionario, aveva calcolato la zona strategica vicina alla Fiera, nei pressi dei nodi stradali ed eravamo allora tutti in fase pioneristica, anche l’Inter di Meazza giocava all’Arena».
Il cinema, Totò e Rascel
Poi viene la rinascita della Milano anni 80, stile frizzantino, e il Nazionale, iniziò un lungo intervallo di cinema (aprivi la tenda e trovavi Gary Cooper o Via col vento) e di rivista: nei decenni precedenti sedevi in poltrona ed ecco Totò, Rascel, Fanfulla e Dapporto e Campanini che imitano Stanlio e Ollio. Poi il teatro di prosa, che accoglie il finale di partita di Paola Borboni, si internazionalizza, arrivano i musical americani come Applause con la Falk. Nel 2009 ecco che giungono gli olandesi di Stage con contratto ventennale e debuttano con La bella e la bestia: 290mila spettatori. L’idea era della lunga tenitura tipo Broadway, scommessa forse prematura che ora vede ancora in scena La febbre del sabato sera. E intanto la città muta ancora lo skyline dei grattacieli, arrivano il Bosco verticale e piazza Gae Aulenti, cambia il business e aumenta il turismo. Il Nazionale, con le varie ristrutturazioni tecnologiche (la torre scenica che permette rapidi cambi), continua ad essere l’unica sala milanese di famiglia, la cui proprietà non è mai cambiata: «E non cambierà. Non chiuderemo mai il nostro teatro, ne siamo da sempre troppo orgogliosi, anche se in 100 anni non abbiamo mai avuto una sola sovvenzione» — aggiunge Rota. Ma il Nazionale invece è mutato tante volte, ha visto la prosa con Musco, Zacconi, Govi e poi ,dalla riapertura del ’78, Falk, Melato, Gassman, Guarnieri. Lirica nel ’42, il circo, il balletto (Rudolf Nureyev dopo l’esilio venne al Nazionale, poi la Fracci e Lindsay Kemp), concerti, operette e veglioni, i successi di Garinei e Giovannini, da tutto Bramieri fino al Rugantino e Aggiungi un posto a tavola; poi Legnanesi con la famiglia Colombo e dall’84 una decina di edizioni dei Telegatti con Stallone, Joan Collins, Benigni, Grillo, Gemma e la Lollo in sala. Ricordi vintage? La tv che nel 1956 trasmetteva Lascia o raddoppia? in sala ritardando il film, per stanare la gente da casa i fan del quiz di Mike Bongiorno.
La boxe con Carnera
E la boxe (fino a Duilio Loi, ’57), ma ci fu nel 1945 uno storico ring con Primo Carnera. «C’era un mare di folla» — racconta Rota jr — «e poiché alla fine Carnera fu battuto, i suoi fan, pensando a un incontro truccato, fecero a pezzi furiosi le poltrone e tirarono i braccioli sul ring». Cent’anni di storia per un repertorio vastissimo, sentimenti per tutti i gusti, titoli vari ma anche popolari: Shakespeare ma anche le ballerine, Ronconi ma anche Macario, Gaber ma anche Dapporto. Altro tempo perduto? La passerella, una passione per il pubblico di allora che voleva vedere i propri beniamini: c’era un particolare legame tra Giordano Rota e Walter Chiari, re della passerella, che anche in chiesa, al funerale dell’amico, arrivò in ritardo.
Quindici anni di show
Da 15 anni ora Stage allestisce con artisti italiani produzioni internazionali e non è raro che a scegliere i casting venga Alan Menkel, compositore da otto Oscar. Tra i successi Mary Poppins, Mamma mia!, Sister act, cult giovanili come Flashdance, Footlose e Dirty dancing e ad inizio 2025, sempre in forma di musical, Rocky e I 3 moschettieri. Oggi il cinema è in crisi, il teatro invece è vivo e si trasforma a vista. Cent’anni fa il Nazionale fu il primo e unico teatro off, oggi più della metà delle sale è fuori dalla cerchia dei Navigli e oltre le colonne d’Ercole milanesi. «Mi auguro» — conclude Rota jr. — «che questa vocazione internazionale che interessa la città ed anche il calcio, oggi Inter e Milan hanno ormai in campo solo qualche italiano, possa continuare anche a teatro con spettacoli da far concorrenza alle piattaforme kolossal e a un cinema che ormai come produttori giganti e multinazionali, ha Amazon e Netflix».
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