Il Comune vince anche in Cassazione: l’esenzione è applicabile alle attività che non siano esclusivamente commerciali o con un versamento simbolico. Cassata la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado
L’esenzione Imu è applicabile alle attività che «non siano esclusivamente di natura commerciale», quindi svolte a titolo gratuito, o «dietro il versamento di un importo simbolico». Tradotto: la scuola paritaria non ha diritto all’esenzione dell’imposta se non dimostra che le rette versate dagli studenti siano davvero simboliche.
Il diktat della Corte di Cassazione aveva lasciato pochi spazi interpretativi e con l’ordinanza del giugno del 2023 aveva indicato un confine ben definito nella battaglia per il pagamento dell’Imu tra la Congregazione delle Suore di Carità delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa e Palazzo Thun. Ora le suore vengono sconfitte una seconda volta.
I giudici supremi con un’ordinanza pubblicata hanno infatti cassato la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado (ora Corte di giustizia tributaria) che avevano dato ragione all’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, una delle realtà più importati nel panorama delle scuole paritarie del Trentino. Si torna quindi davanti ai giudici tributari, ma con un nuovo collegio.
L’istituto religioso aveva impugnato l’avviso di accertamento del Comune di Trento per l’omesso versamento dell’Imu relativa all’anno 2013. Il ricorso era stato accolto in primo grado dai giudici tributari che avevano riconosciuto l’esenzione dell’imposta sulla base del costo simbolico della retta per l’attività didattica. Ed è questo il nodo. L’istituto si era appellato alla Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea. Anche in secondo grado i magistrati avevano dato ragione al Sacro Cuore riconoscendo l’esenzione, ma «sulla base di criteri giuridici errati», osserva la Corte Suprema.
La Commissione tributaria d’appello in sentenza aveva evidenziato il fatto che il costo del servizio offerto dal Sacro Cuore è inferiore a quello medio determinato dal ministero dell’Istruzione e quindi la retta di 1.400 euro «costituisce una frazione del costo medio, che si ritiene, da parte del ministero, necessario per lo svolgimento dell’attività didattica».
Ma il Comune, attraverso l’Avvocatura dello Stato, nel ricorso aveva osservato che la retta era stata ritenuta simbolica nonostante non c’era stata «una verifica rigorosa». E, come osserva la Cassazione, «il carattere simbolico del corrispettivo non può essere presunto, ma deve essere dimostrato» e non può essere usato come termine di confronto «il dato disomogeneo — scrive il collegio, presieduto dal giudice Giacomo Maria Stalla — e scarsamente significativo del costo medio nazionale per sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio».
In sintesi i giudici tributari avrebbero ritenuto «l’attività didattica esercitata con modalità non commerciali in base a una verifica del tutto astratta», senza prendere in considerazione dati concreti come «i costi effettivi sostenuti dall’istituto scolastico e i finanziamenti pubblici». Secondo la Corte l’attività è svolta «con metodo economico» quando «la retta, anche se inferiore al costo di servizio, unitamente ai finanziamenti pubblici o privati consente di raggiungere il pareggio di bilancio».
Gli atti tornano quindi sul tavolo della Corte di giustizia tributaria di secondo grado che dovrà stabilire criteri corretti. Sul tavolo ci sono parecchi soldi, basta pensare che solo per il 2011 l’ufficio tributi del Comune aveva inviato una cartella esattoriale di 38mila euro al Sacro Cuore. Sono cinque gli istituti interessati. Nel 2023 oltre alla Congregazione delle Suore di Carità, avevano fatto ricorso la scuola delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, il collegio Arcivescovile e l’Istituto piccole suore della Sacra famiglia.
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