Se c’è una cosa che non ama è la luce intensa dei riflettori. Quell’essere al centro del campo sempre e comunque, per giocare una partita prevalentemente di immagine con colpi di tacco, più belli da vedere che utili al risultato, a cui ormai i politici hanno abituato lo stanco elettorato che risponde disertando gli spalti. No, Nicoletta Fabio, sindaco di Siena, è l’opposto. Fa parte di quella sparuta schiera di amministratori che giocano con l’obiettivo dei punti per la squadra e non del sette personale elargito in pagella dai critici. Le scarpette chiodate le infila raramente e non si sofferma ai bordi del campo ad allacciarle platealmente perché piace tanto a tifosi e sponsor. Basterebbe già questo per rendere interessante una partita di 90 minuti nel suo ufficio, un botta e risposta giocato senza preparare schemi né tattiche. Senza colpi di rabona, ma con quelle geometrie efficaci e necessarie per gestire il centrocampo, cercare di proteggere la difesa e innescare gli attaccanti. Sembra facile… Magari i primi minuti sono più di studio che di sostanza, ma quando Fabio entra nel vivo della partita, i colpi non li risparmia. Non tira mai indietro la gamba davanti al tackle e di certo non si spaventa per una spallata. Ne esce fuori un incontro intenso, giocato senza risparmiare energie e bello perché totalmente privo di simulazioni e proteste davanti all’arbitro. Certo, un paio di volte occorre fermarsi e guardare la moviola (scusate, Var proprio non mi viene), ma fa parte dei 90 più recupero. Così come il classico “questo magari non lo scriva”. E ci mancherebbe. Saremmo rimasti sorpresi del contrario. Palla al centro, si comincia.
Una fase dell’intervista nell’ufficio del sindaco, Nicoletta Fabio (Foto Alessia Bruchi)
– Sindaco, un anno e mezzo dopo il suo insediamento possiamo dire che si è ritrovata davanti a una città un po’ malata?
Per fortuna non terminale (sorride, ndr). Forse nemmeno malata, diciamo che sicuramente la città è assopita e alle prese con qualche virus ancora in circolazione. La terapia richiede tempo, grande attenzione, aggiustamenti in corso d’opera. Io non amo le rivoluzioni e non credo che quando si ha la responsabilità di una comunità, di qualunque dimensione sia, in questo caso una comunità cittadina, per il desiderio di fare tutto e subito si possano commettere errori dettati da fretta e mania di grandezza.
– Quindi che tipo di cura sarà?
Un’azione continua, paziente. Sicuramente faticosa per chi la compie e per tutti coloro che aiutano in questo percorso di cui si potranno vedere gli effetti nel tempo, a lungo termine. Anche perché Siena è una città gelosa di se stessa, complessa, non molto disponibile al cambiamento.
Fabio sul Museo del Palio: “Attenzione al rischio di mercificazione”
– Parole intense pronunciate da un sindaco di Siena. E’ già una presa di coscienza non indifferente…
L’ho detto anche in altre occasioni. Forse non sempre noi senesi abbiamo tutti la percezione e la piena consapevolezza che il mondo è cambiato. Non solo intorno a noi ma anche all’interno della città stessa.
– Va anche detto, però, che quando è arrivata alcuni virus erano già in circolazione.
In un anno e mezzo raramente, credo forse un paio di volte, ho accennato al pregresso. E l’ho fatto molto pacatamente, senza alcuna volontà di scaricare le responsabilità che ho, che mi sono assunta e che quindi devo portare avanti. Però è indubbio che non si può risolvere un problema se non si cambia la mentalità che lo ha generato. Risalire all’origine dei problemi, in qualunque ambito, di qualunque settore si parli, non significa recriminare, ma guardare al futuro. Ci teniamo tanto a insegnare ai nostri giovani che se non si conosce il passato non si costruisce il futuro o lo si fa in maniera un po’ raffazzonata. E quindi sui problemi concreti della città se non c’è questo cambio di mentalità, non c’è cambio di passo. E’ un’operazione culturale lenta, complicata, delicata.
La prima pagina del Corriere di Siena di domenica 15 dicembre
– Il peggiore dei virus in questo momento quale è? Il lavoro con Beko punta dell’iceberg?
Nel contesto occupazionale quello che serve alla città è passare da una mentalità per certi versi assistenzialista a una più imprenditoriale. Non significa costruire grandi fabbriche e stabilimenti, per carità, ma rimboccarsi le maniche: correre e assumersi rischi, metterci un po’ di creatività. Detto che non mi piace chiamare Siena città turistica, ma preferisco d’arte, non possiamo pensare che il turismo sia la panacea di tutti i mali. Certo, va curato, migliorato, ma non può essere l’unico asset sul quale investire. Noi dobbiamo avere la capacità di attrarre investimenti, a cominciare proprio dal sito industriale Beko. E in tanti altri ambiti. E’ uno dei compiti che l’amministrazione si deve porre.
– A proposito del caso Beko. Roma in questa vicenda sta facendo la sua parte o potrebbe fare di più?
Io sono da tempo attiva su tutti i tavoli, dal governo all’azienda, dai lavoratori alla proprietà immobiliare. E ci sono anche le altre situazioni territoriali di Beko. Ma ognuno deve fare la sua parte. Il comune di Siena da solo non può certo interfacciarsi quotidianamente con tutte queste realtà complesse. E chi è impegnato sui tavoli deve capire che il caso Siena è diverso dagli altri, visto che qui c’è il problema della non proprietà immobiliare della fabbrica. Non è una cosa da poco, in termini di attrattività per potenziali investitori. Anche Siena, inoltre, ha un indotto del quale si dovrà tenere conto. Nel tempo il sito andrà reindustrializzato e in questa fase occorre tenere ben presente che sono in ballo 300 famiglie per le quali bisogna trovare soluzioni credibili. Il tempo è fondamentale e può giocare dalla nostra parte. Intanto anche l’azienda si deve muovere alla ricerca di un advisor.
– In definitiva occorrerebbe un gruppo imprenditoriale illuminato, disposto a investire e magari anche a cambiare destinazione del sito. Impegnandosi in produzioni più moderne, forse anche più sostenibili…
Diciamo che l’amministrazione comunale da questo punto di vista è ben disposta ad ascoltare tutte le eventuali esigenze e, ovviamente nelle sue possibilità, muoversi per andare incontro a possibili soluzioni.
Il sindaco all’opposizione: “Verifichi prima di criticare”
– Molto diverso, ovviamente, è il caso Gsk.
Qualcuno ha confuso le pere con le mele. La proprietà, con la quale abbiamo avuto diversi confronti, ha confermato la volontà di investire sul nostro territorio. Si parla di una mobilità volontaria e incentivata. In ogni caso è bene attivarsi subito e l’abbiamo fatto.
– C’è anche il caso dei lavoratori di Pay Care.
Vivono una situazione complessa da anni. Anche su questo tavolo ci siamo seduti, abbiamo parlato, incontrato, ragionato. Il Comune fa sempre quello che può sul fronte lavoro. Ad esempio ci siamo attivati per cercare di monitorare, insieme ai sindacati, quello che è il mercato del lavoro su Siena, cercare di far incontrare domanda e offerta. Perché da una parte ci sono imprenditori che lamentano la difficoltà oggettiva a individuare personale, dall’altra chi del lavoro ha bisogno. L’Amministrazione può fare da facilitatore? Sì, in questa azione di indagine, monitoraggio e sondaggio può mediare. Non molto di più, ma questo lo stiamo facendo. Poi ci sono i piccoli segnali come il bando per le famiglie, quello per le imprese per i danni dell’alluvione. Quello che possiamo, lo facciamo.
– Purtroppo non è più come il passato. Non c’è più Babbo Monte che può intervenire e risolvere.
Lo dicevamo: non è cambiato solo il mondo intorno, ma anche la nostra città. Ma sia chiaro, quello del lavoro è un problema gigantesco che investirà le future generazioni. Questa è una città che invecchia, i giovani se ne vanno e è una piaga su cui non può intervenire solo il Comune. Ci vogliono gli imprenditori, il mondo della formazione, le associazioni di categoria, l’Università. Occorre agire a tutti i livelli, formare una rete per cercare di fronteggiare o attutire il colpo.
– Una cosa è certa: non si è trovata davanti un inizio di consiliatura semplice. Lei non ne parlerà volentieri, come ha spiegato, ma i virus di cui dicevamo non sono certo riferiti agli ultimi 5 anni. Ad esempio Siena Jazz o il Siena Calcio, questioni non decisive per il destino della città, ma da affrontare…
Situazioni su cui abbiamo messo le mani dai primi giorni e mesi. Non voglio dire che tutto è stato risolto, perché il rischio è sempre dietro l’angolo, ma fortunatamente sia nell’uno che nell’altro caso sono state raddrizzate e stabilizzate situazioni che erano estremamente precarie e incerte.
Tra gli obiettivi dell’Amministrazione attirare sul territorio nuovi investitori
– L’opposizione semi fantasma che chiacchiera e nemmeno troppo, forse potrebbe iniziare a fare ammenda degli errori del passato? Magari aiutare con proposte più concrete e critiche costruttive? Oppure chi vota il centrosinistra deve rassegnarsi agli interminabili personaggi politici del tempo che fu che pontificano sui social?
Onestamente al di là di quelle che sono le interrogazioni in consiglio comunale piuttosto che i post su Facebook che francamente mi interessano poco, voglio credere che da parte di molti, almeno di una certa opposizione, ci sia la volontà di aiutare. Aiutare forse è una parola grossa, diciamo proporre, suggerire, magari scambiarsi opinioni. E’ quello che mi piacerebbe, a parte le polemiche più vistose e gli attacchi più clamorosi a volte causati da pregiudizi. Sarebbe bello se l’opposizione valutasse non per partito preso, ma verificando. Magari in temi in cui non si parla della pelle dei lavoratori, tipo in ambito culturale.
– A cosa si riferisce con esattezza?
Ad esempio vedere e valutare, prima di criticare o bocciare preventivamente e pregiudizialmente una stagione teatrale, piuttosto che un festival, come quello positivo di novembre al Santa Maria, o un ciclo di incontri a palazzo pubblico. Ecco, partecipare, vivere, guardare, valutare. L’essere prevenuti non aiuta né gli uni, né gli altri, ma soprattutto non aiuta Siena.
– Concetto che vale anche per il Palio? Sulla vicenda del museo c’è stata una polemica senza fine.
Quando la mia posizione sembrava chiara, a un certo punto ho detto “ci ripenserò” e ho sbagliato. Bisogna ammettere i propri errori perché a volte la coerenza è la peggio cosa e non certo una virtù. C’è una interrogazione e risponderò nel merito in quella sede. Ma dobbiamo anche metterci d’accordo con noi stessi. Noi senesi da una parte diciamo che il Palio è roba nostra e nessuno lo può capire perché fa parte del nostro Dna, perché la Festa ha resistito per secoli, si adatta ai cambiamenti nel tempo nonostante sia rimasta sempre uguale a se stessa. Poi però vogliamo congelarla, mummificarla in un museo, una galleria. Vogliamo fare del Palio un’attrazione turistica? O far capire a chi arriva cos’è questa bella cosa nostra identitaria? E poi chi è questo qualcuno? Il turista colto, intellettuale, intelligente o il turista qualunque attratto proprio dal museo del Palio? E’ la domanda a cui dobbiamo rispondere. E teniamo conto che di musei ce ne sono 17, così come 17 società di contrada, 17 oratori, 17 gruppi piccoli e così via. Questo è il Palio. Se uno è interessato o vogliamo interessarlo, è il nostro elemento più identitario. Ovviamente di questo dobbiamo parlare. Ad esempio i musei ci sono e se si mettessero in rete tutto sarebbe più facile. Sono 12 anni che lo ripeto, lo dicevo già quando ero presidente del Consorzio. Ma sono le contrade che vanno messe insieme e con loro occorre ragionare. Sposa un po’ quello che dicevo prima dell’aprirsi verso l’esterno. Come vale per gli imprenditori, vale per le contrade. Occorre una presa di coscienza, mettersi in una stanza e ragionare, capire dove si vuole arrivare, sposare un progetto più ampio, collegiale, condiviso. Non ingessare il Palio in un museo cartolina.
– Torniamo alle valutazioni politiche. Della giunta è soddisfatta?
Sì, la squadra è coesa, motivata, molto vogliosa di dimostrare il possibile cambiamento, ma anche, come me, consapevole che ci vuole del tempo.
Il ministero della Cultura entrerà nella compagine del Santa Maria della Scala
– Non si è parlato per niente del Natale…
All’inizio del mandato ho insistito tanto nella necessità di vivere di più i quartieri, allestire gli alberi in periferia è stato un gesto piccolo, ma molto significativo e non a caso ha suscitato apprezzamenti. Ripeto è solo un segnale, ma è il mio approccio con tutti i cittadini. In questo anno e mezzo la maggior parte del tempo l’ho dedicata a incontrare le persone, ascoltare richieste e proposte, magari alcune praticabili e altre meno. Sono i miei concittadini e l’attenzione fa sempre piacere, poi magari cerco di invitarli a guardare oltre il loro orticello, la loro specifica esigenza. Purtroppo non sempre siamo tutti disposti ad accettare un disagio per avere un vantaggio futuro. Torniamo sempre al solito concetto del tutto e subito, ma accade in ogni città.
– Parliamo del Santa Maria della Scala?
Nell’opinione comune sembra che il vero problema del Santa Maria della Scala sia che non c’è una grande mostra. Intanto dimentichiamoci le esposizioni stile Duccio: al momento sono impraticabili, perché richiedono non solo tempi ma soprattutto risorse impensabili. Ma il Santa Maria non è un contenitore di mostre. Io spero che sia un luogo vivo dove si va una volta per un convegno o per un’altra iniziativa e all’interno ce ne sono molti altri, di contenitori, che funzionano, che permettono di partecipare, ad esempio, a un festival, che va molto bene e dove non ci sono solo i giovani, ma anche tante signore, tutti entusiasti perché diverso dal solito. Deve essere anche un luogo dove si fa ricerca. Ad esempio ho intenzione di creare un centro della memoria sismica. Insomma un Santa Maria vivo, frequentato da cittadini e turisti e non necessariamente perché c’è una mostra. Finalmente sono ripresi in maniera intensa i contatti con il Ministero della Cultura. A gennaio dovremmo avere un incontro decisivo. L’obiettivo è l’ingresso del Ministero nella compagine del Santa Maria.
– Ultima domanda, pensando alla vicenda dei pachistani. Va bene la carità cristiana, ma ogni tanto non sarebbe più utile una mano che una parola?
Sicuramente sì.
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