In un questionario alcune giovani avevano riferito di «palpeggiamenti» durante le ore di didattica, altre di «richieste di posizioni fisiche innaturali», altre ancora di «confidenze inappropriate»
Era accusato di aver molestato undici specializzande del suo reparto. Francesco Mojoli, primario del policlinico San Matteo di Pavia, ha patteggiato una pena a 2 anni di reclusione, con sospensione condizionale della pena. Si è concluso lunedì il procedimento per il reato di violenza sessuale ai danni di Mojoli, primario di Rianimazione e prima anche direttore della scuola di specialità.
Sette specializzande su 11 si sono costituite parte civile, e hanno rifiutato la proposta di risarcimento dei danni offerta dalla difesa del medico. A termini di legge, dovrà seguire un percorso psicologico mirato lungo un anno.
Il suo legale, Maria Teresa Zampogna, spiega come «pur negando ogni condotta di natura sessuale, ha scelto di patteggiare nel procedimento penale a suo carico, con la riqualificazione dei fatti nella fattispecie di minore gravità, con l’intento di favorire, anche e soprattutto nell’interesse dei pazienti, la prosecuzione di uno svolgimento sereno e proficuo delle attività».
L’indagine è partita in seguito alle segnalazioni che le giovani hanno fatto rispondendo a questionari anonimi sul corso che stavano seguendo, ai quali avevano risposto nel 2021, relativi all’anno scolastico precedente. Qualcuna ha riferito di «palpeggiamenti» durante le ore di didattica, altre di «richieste di posizioni fisiche innaturali», altre ancora di «confidenze inappropriate» soprattutto durante la spiegazione di esami diagnostici, senza comunque avances esplicite. Le ragazze coinvolte sono rappresentate dagli avvocati Francesca Romana Garisto, Francesca Vaccina e Francesco Castelli, che a loro volta avevano citato l’Ateneo e l’ospedale come responsabili civili.
«Il processo – è il commento dell’avvocato Francesca Vaccina – trae origine dai questionari anonimi compilati da studenti e studentesse della scuola di specializzazione che segnalavano gli abusi sessuali, subiti da giovani dottoresse da parte dell’allora direttore della scuola di Anestesia, Rianimazione, Terapia intensiva e del Dolore, Mojoli. Le indagini confermavano un vero e proprio modus operandi del professore, consistito in ripetuti contatti senza consenso, strusciamenti, approcci con le parti intime, allusioni alle colleghe. Le vittime delle indesiderate attenzioni del professore erano in particolare le più giovani specializzande al primo anno ed i fatti si sono svolti tutti all’interno del reparto di Anestesia Rianimazione del Policlinico. La consuetudine e serialità di tali comportamenti era nota a molti, tanto da sembrare quasi una “normalità” a cui era impossibile sottrarsi. Viste le dichiarazioni delle dottoresse, la Procura della Repubblica di Pavia apriva un fascicolo evidenziando ben 11 persone offese in un arco temporale compreso fra il 2016 e il 2021».
«Nel procedimento avanti il Giudice per le indagini preliminari, Maria Cristina Lapi, 7 di queste si costituivano parte civile – prosegue l’avvocato -. Chiamate inizialmente dalle parti civili, intervenivano anche l’Università di Pavia e il Policlinico San Matteo chiedendo, a loro volta, di costituirsi quali parti civili. I due enti lamentavano anche di aver avuto un grave danno all’immagine e una riduzione di iscrizioni al corso di rianimazione, proprio a seguito della nomea del professore sulle chat per gli specializzandi. L’imputato decideva di patteggiare, ottenendo la pena sospesa di anni due di reclusione, ed offrendo un risarcimento che le parti civili rifiutavano». «Tale rifiuto – prosegue il legale di alcune delle ragazze – derivava dal fatto che tale “offerta” era umiliante, essendo finalizzata solo ad ottenere il riconoscimento delle attenuanti generiche senza un comportamento che denotasse la reale comprensione di quanto commesso ed un conseguente pentimento».
«L’intervenuta sentenza, che obbliga il primario anche a svolgere un corso per uomini che commettono reati di genere, è comunque il segnale che non vi siano comportamenti “tollerabili” laddove non vi è consenso – commenta l’avvocato Vaccina -. Le parti civili auspicano che il Policlinico e l’Università prendano ora provvedimenti disciplinari nei confronti del dottor Mojoli, al fine di evitare che continui un’attività professionale che lo mette continuamente a contatto con le persone che hanno subito violenza sessuale da parte sua».
Per l’avvocato Francesco Castelli, che ha assistito alcune delle parti civili, la pur legittima scelta difensiva dell’imputato ha, di fatto, «consentito al primario di sottrarsi al confronto dibattimentale, quasi come se i gravi fatti contestati possano essere sminuiti ad un affare privato da “aggiustare” rapidamente, cercando di far passare i fatti e le accuse come frutto di una malinteso senza considerazione per le vittime, ulteriormente mortificate nella loro individualità, umana e professionale, con una misera offerta standard di denaro. Per le avvocate Francesca Romana Garisto e Alessia Turci, che ha sostituito quest’ultima in udienza, «la vera ferita che rimane alle donne è la scarsa considerazione da parte delle istituzioni della gravità di questi fatti, tanto da derubricarla un’ipotesi di lieve entità».
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