La Corte di Cassazione, Seconda sezione penale, con la sentenza 44240 del 3 dicembre 2024, ha stabilito che, in caso di sequestro penale per l’insussistenza del credito per il bonus di efficientamento energetico, il giudice preliminare può congelare nel cassetto fiscale della società le annualità già “godute” e non invece tutto l’ammontare decennale del credito fiscale.
Il Giudice per le indagini preliminari (Gip) aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del credito di imposta nella disponibilità di una Società di Servizi Energetici in quanto ritenuto profitto dell’illecito amministrativo ex d.lgs. n. 231/2001, derivante dal reato di truffa in danno dello Stato per aver fatto fittiziamente risultare l’esecuzione di interventi di efficientamento energetico e sismico su di un immobile. L’Agenzia delle Entrate sottoponeva a sequestro crediti del portafoglio parzialmente diversi da quelli ritenuti profitto di reato fino all’ammontare della somma indicata.
I crediti nel Cassetto Fiscale
Dopo il rigetto, da parte del pubblico ministero e del Gip, dell’istanza con cui la Società chiedeva che il sequestro preventivo venisse eseguito sugli effettivi crediti oggetto di sequestro e non vincolando crediti diversi da quelli indicati nel provvedimento cautelare, la causa arrivava in Cassazione, dove la ricorrente sosteneva che i crediti di imposta, conservati nella piattaforma elettronica denominata Cassetto Fiscale, solo quando visibili in detto Cassetto producono i loro effetti giuridici e risultano opponibili all’Erario. Detti crediti sono poi contrassegnati da un codice identificativo relativo alla categoria di appartenenza che individua il regime giuridico degli stessi come previsto per legge e, qualora “spalmabili” nel tempo, risultano essere indicate per essi le quote annuali di detraibilità.
Anche in caso di cessione, detti crediti mantengono lo stesso regime giuridico di detraibilità legato all’annualità nei quali gli stessi possono essere goduti, con la conseguenza che più è lontano il momento della loro detraibilità, inferiore è il loro valore in caso di cessione. Nel caso in esame, i crediti pertinenti ai fatti in contestazione risultano contraddistinti all’interno del Cassetto Fiscale della società con il codice tributo 6922 (riguardante il cosiddetto bonus per gli interventi di riqualificazione energetica), situazione che consente la detraibilità delle spese sostenute dai committenti condomini nella misura dell’85% e la ripartizione del credito in dieci quote annuali fra loro autonome e distinte.
Sequestro penale bonus energetico: gli errori commessi
L’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto elidere per ogni annualità la quota riconducibile al credito contestato mentre, invece, ha eseguito il sequestro in modo del tutto arbitrario, sottoponendo a vincolo crediti relativi alle annualità 2021, 2023 e 2024, lasciando invece nella disponibilità della società le quote del credito illecito che rimangono presenti nel Cassetto Fiscale fino al 2030. Quindi, erano stati sottoposti a sequestro – e quindi “neutralizzati” – crediti del tutto estranei al reato contestato in quanto acquisiti dalla società in relazione a diversi ed ulteriori interventi di riqualificazione energetica dei quali non è contestata l’esistenza e la liceità.
Anche il Tribunale del riesame aveva sbagliato, rilevando che la confisca “per equivalente” si è resa necessaria in quanto era impossibile sottoporre a sequestro la quota parte del credito per le annualità 2021, 2023 e 2024. Tale asserita impossibilità al momento dell’esecuzione del sequestro poteva, al più, riguardare i crediti di imposta degli anni 2021 e 2022 in quanto non più presenti nel Cassetto Fiscale della Società perché già goduti dalla stessa, ma non certo i crediti presenti nelle sezioni dal 2023 al 2030 regolarmente presenti nelle rispettive sezioni del Cassetto Fiscale.
Sequestro “diretto” e sequestro “per equivalente”
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, argomentando che, in base al comma 2 dell’art. 19 del d.lgs. 231/2001, il sequestro “per equivalente” (cioè di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato) può essere disposto solo se non è possibile eseguire la confisca diretta.
L’Agenzia delle Entrate per l’esecuzione del sequestro avrebbe dovuto seguire in seguente iter:
- accertamento della presenza nel cassetto fiscale dell’odierna ricorrente dei crediti di imposta ricollegabili all’azione delittuosa come ripartiti nelle dieci annualità ed individuabili in base allo specifico codice tributo;
- sequestro “diretto” di detti crediti di imposta pro-quota nelle relative annualità;
- sequestro “per equivalente” di altri crediti di imposta o di altre utilità della società solo per l’importo attualmente non più sequestrabile in via diretta trattandosi di crediti già “goduti” e relativi alle annualità trascorse il cui ammontare è determinabile attraverso il semplice calcolo matematico concernente la differenza tra la somma complessiva e l’ammontare dei crediti di imposta legati al reato ancora presenti nel Cassetto Fiscale fino al 2030.
La Corte quindi ha ravvisato una violazione di legge nelle modalità esecutive del sequestro che ha attinto crediti presenti nel Cassetto Fiscale della ricorrente, maturati per attività per le quali non è emersa la illiceità per un ammontare superiore alla differenza tra il profitto del reato ancora presente nel Cassetto Fiscale della società e ripartito pro quota fino al 2030 e l’ammontare complessivo dell’importo sequestrabile.
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