In questi giorni migliaia di amministrazioni comunali lungo la penisola stanno quadrando i bilanci consuntivi dell’anno e i preventivi per il 2025. Su entrambi i versanti stanno – salvo rare eccezioni – stringendo la morsa della fiscalità locale.
Nel primo caso lo strumento è non di rado discrezionale e anomalo. Nell’ultimo trimestre dell’anno è ormai prassi (sempre ufficialmente negata) quella di inasprire le contravvenzioni spicciole, si tratti di soste vietate o eccessi di velocità. Tutto legale (forse al netto di qualche autovelox) soprattutto nella cornice di tolleranza zero accentuata dal nuovo codice della strada. Resta il fatto che nei primi dieci mesi dell’anno – secondo un’indagine del Codacons – le sanzioni stradali in Italia hanno cumulato 1,3 miliardi (primato in Lombardia, con 324 milioni, ultimo il Molise con 1,4 milioni). Non sono tutti incassi, anzi: il tasso di morosità resta alto, peraltro compensato da successive campagne più o meno rottamatorie di recupero crediti da parte degli enti.
Un monte-multe di queste dimensioni va comunque a confrontarsi ormai con lo scostamento aggregato (una trentina di miliardi) della Legge di bilancio di un Paese come l’Italia. Con la differenza che il budget italiano è oggetto di mesi di confronto parlamentare fra una maggioranza e un’opposizione e poi della vigilanza Ue. L’installazione di un autovelox (localizzazione, tecnologia, trasparenza e comunicazione della decisione, segnalazione sulla strada, gestione delle contravvenzioni) è stata invece finora lasciata al sostanziale arbitrio di un sindaco, di un assessore, se non di un comandante di polizia locale. Senza distinzione o quasi di colore politico. Quasi sempre con una motivazione in sé formalmente condivisibile (le esigenze della sicurezza della circolazione), ma quasi sempre “risciacquata di verde” al fine di celare meglio l’intento sostanziale di coprire i buchi di bilancio aperti dai costanti tagli dei trasferimenti statali.
Più politicamente trasparente è l’ondata di aggravi in arrivo sul fronte ampio dei tributi comunali. Un comune grande o piccolo, al nord o al sud, vale l’altro. Dall’addizionale Irpef all’Imu, dalle rette per gli asili nido ai pasti scolastici, dal costo dell’assistenza domiciliare: possono variare paniere, incrementi percentuali, “gabbie” Isee, ma il saldo è per larghissima parte negativo per il cittadino-contribuente. Una “super-addizionale” che – in un gioco a somma zero – è corresponsabile della rigidità della pressione fiscale complessiva, nonostante i buoni intenti e gli annunci ennesimi di ogni Governo.
Il rimpallo e ribaltamento più o meno selvaggio delle esigenze di finanziamento della Pubblica amministrazione se mai è stata una soluzione, oggi non lo è certamente più. E la polizia locale adibita alla gestione di un sistema di esazione di tributi impropri per pagare i propri stipendi è esemplare di un sistema insostenibile.
Chi liquida come folklore para-criminale un fenomeno come Fleximan può sbagliarsi di grosso. Scritto una sola volta, all’ultima riga e con tutte le avvertenze del caso: i sindaci potrebbero prima o poi trovarsi esposti agli stessi rischi dei top manager della grandi compagnie assicurative Usa. Con i grandi media progressisti e i senatori liberal costretti poi a inseguire lettori ed elettori che stanno apertamente dalla parte di un assassino.
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