La tutela del convivente di fatto superstite è stata sancita dall’articolo 1, comma 42, della legge n. 76 del 2016 (nota come legge Cirinnà). L’avvocato Rosaria Vietri, del foro di Avellino, chiarisce i principali diritti e limitazioni relativi alla continuazione dell’uso della casa di comune residenza in caso di decesso del partner.
Secondo la normativa vigente, il convivente superstite ha diritto a restare nella casa di comune residenza, anche se di proprietà esclusiva del defunto, per due anni o per un periodo pari alla durata della convivenza, qualora questa sia superiore ai due anni. In ogni caso, il termine massimo non può superare i cinque anni. “Questo diritto – spiega l’avvocato Vietri – tutela il convivente superstite dalle pretese restitutorie dei successori del defunto, garantendo un tempo ragionevole per soddisfare diversamente le proprie esigenze abitative”.
Tutela estesa in caso di figli minori o disabili
La legge prevede ulteriori garanzie nel caso in cui nella casa convivano figli minori o disabili del convivente superstite. In tali circostanze, il diritto di abitazione si estende per un periodo minimo di tre anni. Questa disposizione sottolinea l’attenzione della normativa verso la protezione dei soggetti più vulnerabili, come i figli che necessitano di un ambiente domestico stabile.
Tuttavia, l’avvocato Vietri precisa: “Il diritto di abitazione del convivente superstite è riconosciuto salvo quanto stabilito dall’articolo 337-sexies del codice civile, che dà priorità all’interesse dei figli nell’attribuzione del godimento della casa familiare”.
Quando lo status di convivente non risulta dai registri anagrafici
Un caso particolarmente delicato si verifica quando la convivenza non è formalmente registrata, né il superstite risulta residente nella casa di proprietà del defunto. “Anche in assenza di registrazioni anagrafiche – aggiunge Vietri – lo status di convivente può essere attestato mediante un’autocertificazione resa ai sensi dell’art. 47 del DPR n. 445 del 2000”. Questo rappresenta un importante strumento per garantire i diritti del convivente in situazioni di irregolarità formale.
Assegnazione della casa familiare nelle coppie di fatto
Un altro tema che emerge spesso riguarda l’assegnazione della casa familiare in caso di scioglimento del nucleo familiare di una coppia di fatto. Qui, il principio guida è rappresentato dalla tutela dell’interesse dei figli, qualora presenti. “L’assegnazione – spiega Vietri – non dipende dalla proprietà dell’immobile, bensì dalla necessità di garantire ai figli minori o non autosufficienti un ambiente familiare stabile e protetto”.
In tali casi, il genitore con cui i figli vengono prevalentemente collocati (in regime di affidamento condiviso o esclusivo) ha diritto all’assegnazione della casa familiare. Questo diritto, oltre a preservare la stabilità emotiva dei minori, si riflette anche nelle condizioni patrimoniali tra i partner, considerando l’utilità economica derivante dall’abitazione assegnata.
Coppie senza figli: il diritto di proprietà prevale
Per le coppie di fatto senza figli, invece, i criteri cambiano sensibilmente. “In assenza di esigenze legate ai minori – spiega Vietri – i tribunali tendono a far prevalere il diritto di proprietà, rendendo difficile per il convivente ottenere l’assegnazione dell’immobile”. Tuttavia, in caso di comprovate difficoltà economiche, il partner potrebbe ottenere una proroga temporanea per soddisfare le proprie esigenze abitative.
Il quadro normativo italiano offre una serie di tutele per il convivente di fatto superstite, pur subordinandole a specifici requisiti e limiti temporali. L’avvocato Rosaria Vietri sottolinea l’importanza di una corretta documentazione della convivenza e di una chiara comprensione dei diritti previsti dalla legge: “La normativa attuale bilancia il diritto all’abitazione del convivente con le esigenze degli eredi, ma è fondamentale agire tempestivamente e nel rispetto delle procedure previste”.
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