LECCE – C’è di tutto in questa vicenda che ne ricalca molte altre nello schema, fra minacce e aggressioni fisiche, rabbia incontrollabile che si traduce in danni a mobili e altri oggetti, telefonate continue, richieste di riappacificazioni, intrusioni in luoghi altrui, imposizioni autoritarie, persino un tentativo di possedere una donna contro la sua volontà.
Della vicenda ne risponde un uomo di 47 anni, residente in un comune dell’area del Casaranese, al momento agli arresti domiciliari. Vittima, la moglie, 36enne. Con lei, parte offesa è anche il padre 66enne, considerando che il 47enne si sarebbe introdotto anche in proprietà della famiglia della donna, nel tentativo di riavvicinarla, quando ormai lei se n’era andata da casa, essendo la convivenza inconciliabile.
La giudice per le udienze preliminari Maria Francesca Mariano ha fissato al prossimo 5 febbraio l’udienza nella quale si discuterà il rinvio a giudizio richiesto dal pubblico ministero Erika Masetti. Svariati i capi d’imputazione: maltrattamenti in famiglia, tentata violenza sessuale, lesioni personali aggravate, atti persecutori, furto aggravato, ingresso abusivo nel fondo altrui, danneggiamento. L’imputato è difeso dall’avvocato Francesco Maria De Giorgi.
Il primo atto: le violenze
La storia si può scindere in due atti ben distinti. Il primo, a partire dall’aprile del 2023 al 4 maggio 2024, data in cui, avendo subito la donna l’ennesima aggressione fisica, ha tagliato definitivamente i ponti con il marito. La seconda, da quella data fino al suo arresto, costretto ai domiciliari con braccialetto elettronico.
Anche a causa dell’abuso di alcool, il 47enne si sarebbe dimostrato nel tempo sempre più offensivo e manesco, arrivando a ferirla non solo moralmente, con epiteti volgari, ma anche fisicamente. In una circostanza, per esempio, le avrebbe schiacciato il polso della mano destra fra la porta e lavatrice, nella lavanderia, in un’altra le avrebbe mollato un ceffone nel corso di una banale lite e, ancora, durante una riparazione, l’avrebbe colpita – tutt’altro che in modo accidentale – con il cacciavite che stava usando al dito di una mano, provocandole un piccolo taglio.
Ma sono davvero tanti gli episodi confluiti nel fascicolo, uno dei più gravi (e che fa reato a sé) riguardante un tentativo di costringerla a un rapporto sessuale, bloccandole le mani, dopo essersi seduto improvvisamente su di lei, e provando a baciarla, per essere respinto con forza. Ma arrivando, a quel punto, a obbligarla comunque ad assistere alle sue masturbazioni.
Non meno inquietante un altro episodio, secondo il quale le avrebbe persino impedito che facesse una doccia, arrivando a minacciare di usare un suo fucile contro di lei se ne avesse fatto parola con qualcuno. L’episodio che ha fatto traboccare il vaso, però, spartiacque fra un prima e un dopo, quello del 4 maggio scorso, quando le avrebbe assestato un violento pugno fra collo e spalla sinistra. Quel giorno la donna era stata costretta a farsi refertare in ospedale, riportando lesioni per sette giorni.
Il secondo atto: lo stalking
Decisa a non tornare con il marito, quest’ultimo avrebbe iniziato da quel momento a bombardarla di telefonate continue, a qualsiasi ora del giorno e della notte, usando varie utenze a lui stesso sempre riconducibili, arrivando anche ad appostarsi fra la vegetazione di un terreno in uso alla moglie, in un altro comune non molto lontano, per spuntare all’improvviso, implorandola di ritornare insieme.
Al netto rifiuto, sarebbero seguiti altri episodi, con nuove intrusioni. Una volta, sradicando una telecamera di sorveglianza e portandola via, dopo essersi accorto di essere ripreso e in un’altra circostanza, presentandosi addirittura con passamontagna, danneggiando una recinzione. Era comunque stato individuato grazie alla presenza di fototrappola nascosta.
Dalle violenze in casa, dunque, si sarebbe passati allo stalking, provocando nella malcapitata uno stato di agitazione continua e timore per la propria incolumità che ha portato, dopo denunce, a un’indagine conclusasi con l’arresto dell’uomo. Che ora rischia di finire a processo.
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