Erano cinque anni che non facevo ritorno a Diamante, nella terra di Pierino il Calabrese, com’ era definito mio papà dai colleghi di lavoro a Ravenna. Non che me la passassi male quando trascorrevo le vacanze, da quando ero nata, al Riviera Bleu Hotel di Zio Mimì con nonna Maria, nonno Fiorino, tanti amici e cugini. Ora sono rimasti tutti i cugini con la nuova generazione della loro prole e Zia Stefania, che era la moglie del proprietario dell’albergo. Costruito negli anni 60, ubicato direttamente sul mare nella più pregevole insenatura della costa, è immerso in un giardino di palme, banani, bougainvillee, praticamente un orto botanico profumatissimo. Avevo proprio tanta nostalgia di quei posti ma il Covid e altre situazioni mi avevano allontanato solo fisicamente: i ricordi erano ben vivi in me e dovevo assolutamente riavvicinarmi alle mie origini. Avevo bisogno di impossessarmi dell’infanzia che mio padre aveva trascorso prima di trasferirsi in Emilia Romagna dove avrebbe sposato mia madre, ricongiungermi a lui. Prima di partire il mio responsabile, avendomi visto così appassionata a questo ritorno, mi aveva spiegato che l’Azienda Ausl Romagna di cui sono dipendente, causa l’alluvione e le problematiche ad essa legate, aveva stipulato nuovi accordi con le altre regioni italiane riguardo ai trasferimenti del personale. Fino a qualche tempo fa gli spostamenti avvenivano per interscambio cioè io, Fiorella, se volevo spostarmi a Diamante per esempio, dovevo trovare attraverso le liste di mobilità un dipendente che dalla Calabria desiderasse occupare il mio posto a Ravenna. Naturalmente la faccenda era alquanto complicata così l’istituzione sanitaria ha semplificato la questione stabilendo esclusivamente un accordo tra le parti: se io trovo, fuori dal comprensorio ravennate, un altro ente disposto ad assumermi, quello di appartenenza darà il nullaosta permettendomi di lavorare dove preferisco. Per me libera viaggiatrice, da sempre refrattaria a lunghe permanenze a Ravenna, cittadina di ogni luogo che visito, abituata sul posto a verificare in tutto il mondo la possibilità di rimanervi, questa notizia arrivò come una bomba ad orologeria: potrò portarmi dietro il posto fisso come una chiocciolina. Iniziamo subito a pensare a chi potrò rivolgermi una volta giunta. Un amichetto di quando ero ragazzina era diventato un famoso e stimatissimo avvocato; con la mia solita faccia tosta lo avrei scovato e contattato, fosse mai che mi avesse scordato. Avrei nuotato in un bel mare, mangiato divinamente, fotografato le centinaia di murales. Essi rappresentano uno spettacolo unico che stupisce coloro che si trovano a camminare tra le sue pittoresche strade. Siamo nella Riviera dei Cedri, un tratto che si estende sul Mar Tirreno. Proprio qui prende vita Diamante, una bellissima realtà nota per essere sì la “Città dei Murales”, ma anche quella del peperoncino a cui ogni anno a settembre è dedicata una sagra. Spiagge, case di pescatori e panorami suggestivi, la rendono una meta affascinante tutta da scoprire. Un luogo dove inebriarsi di arte in ogni angolo. Tutto questo è stato possibile grazie all’ “Operazione Murales” ideata dal pittore Nani Razetti che, con il benestare del sindaco di allora Evasio Pascale, nel 1981 diede vita a questo interessante progetto. Durante quegli anni nella cittadina calabrese (che possiamo definire un vero e proprio museo a cielo aperto) arrivarono più di ottanta pittori, tra italiani e stranieri, che realizzarono diverse opere d’arte sui muri delle case del centro storico. Il numero di queste opere è cresciuto nel tempo. Fa parte dell’Associazione Italiana Paesi Dipinti, che fa rete tra tutte quelle realtà che posseggono e valorizzano il patrimonio artistico. Tra le varie abitazioni prendono vita alcune piazzette molto singolari con bar e ristorantini nel tipico contesto artigianale. Diamante è anche una spettacolare località di mare con ben otto chilometri di costa tra cui scogliere, lidi, veri e propri paradisi estivi dominati da un mare cristallino costellato di paesaggi che lasciano senza fiato.
Di solito i miei acquisti di biglietti aerei e ferroviari avvengono all’ultimo minuto per la tratta di andata, il ritorno lo decido sempre sul posto per avere la scelta di soggiornare quanto voglio. Il prezzo della libertà è alto perché naturalmente non riesco a usufruire di tariffe agevolate ma di sicuro non mi annoio mai, compiuta la mia impresa rientro. Per la prima volta, vista la decisione di andare a Diamante, mi ero munita di biglietto di andata ben dieci giorni prima usufruendo di una vantaggiosissima offerta a 77 euro: sconosciuta la data del ritorno. Mi recai a Bologna con il treno regionale, quindi sul binario di partenza del mio Frecciarossa delle 15,37 ma ne trovai due, uno sul binario 18, uno sul 19, entrambi in partenza per Reggio Calabria a distanza di dieci minuti l’uno dall’altro. Nel dubbio chiesi ad un viaggiatore, non trovando il ferroviere preposto causa sciopero del personale, se per il mio fosse prevista la fermata a Salerno dove avrei preso la coincidenza per il mio paesello. Il signore si documentò online e mi riferì che solo per l’altro treno era prevista la sosta così, senza esitazioni, presi posto sull’altro treno partendo dieci minuti prima. Wow, sarei arrivata anche in anticipo! Ad occupare il posto 11 A della carrozza n. 8 ci ritrovammo in due ma la spuntai io sul secondo acquirente che sedette nello scompartimento dietro; già infamavo l’impiegato della stazione di Ravenna che mi aveva venduto il biglietto sbagliato. Nel mio posto c’era un ragazzo che voleva sedere accanto alla moglie, non tornava in quello a lui assegnato pur avendomi visto. In qualche modo l’obbligai, convinta appartenesse a me, ad accomodarsi lontano dalla compagna e mi chiese, in inglese, come mai non gli avessi reso quella gentilezza. Sempre in inglese gli risposi che il passeggero vicino a lui era troppo grasso, di conseguenza mi avrebbe tolto libertà, agilità nei movimenti. Purtroppo l’uomo in causa, capendo l’inglese e offesosi per le mie parole, diventerà il mio peggior nemico finchè non scenderà a Roma. Cercherà di convincere il personale di bordo a farmi ripagare il biglietto. In corsa verso la meta mi accorsi infatti che avevo sbagliato treno quando il controllore mi fece notare il mio errore: avrei dovuto verificare senza fidarmi di nessuno, soprattutto avrei potuto controllare il numero del treno……….si sarebbe fermato a Salerno, eccome! Probabilmente dovrò ripagare l’intera tariffa del nuovo convoglio. Feci tante conoscenze in quelle arrabbiatissime ore, oltre al ciccione che boicottava ogni mia iniziativa di comunicazione avvisando in anticipo chiunque che ero tonta e palesandone il motivo. Persi anche la coincidenza a Salerno causa un ritardo di quasi tre ore. Non potevo chiedere i danni avendo commesso il peccato, per fortuna non mi fecero ripagare il biglietto perché ormai tutti i controllori che si alternavano ad ogni sosta sapevano che avrei trascorso la notte lì e mi graziarono. Ciò di cui non ero a conoscenza era che il giorno dopo ci sarebbe stata la festa del patrono San Matteo, quel giorno era la festa di San Gennaro a Napoli per cui tutti gli alberghi sarebbero stati pieni. E io dove dormirò attendendo il treno delle 11 per la Calabria il giorno dopo? Mi attivai mentre viaggiavo chiamando mia cugina che viveva a Salerno in un monolocale con quattro gatti più fidanzato, chiedendole i nomi di alcuni alberghi di fiducia. Telefonai alla mia amica Annalisa, residente sempre in loco, che si era rotta una gamba per cui mi sarei dovuta preparare il letto ma questo non sarebbe stato un problema. Lo divenne nel momento in cui lei mi disse che mi avrebbe offerto la soffitta polverosa in cui nessuno metteva mani, scopa e detersivi da almeno tre anni e da dove sicuramente non sarei mai più scesa, uccisa dall’allergia alla polvere. E’ sempre la stessa che, avendole raccontato la settimana prima del mio passaggio dalle sue parti mi disse: “ Perché non vieni a salutarmi?”. In quei momenti giuro che l’invito mi suonava come una presa per i fondelli, me l’aveva tirata (la jella)? Dopo aver contattato almeno dieci reception prenotai al volo, è il caso di dirlo, una stanza al Grand Hotel ( vogliamo riparlare del risparmio sul biglietto del treno?). Mia cugina Rebecca venne a prendermi con il fidanzato Salvo in stazione, lui trascinò il mio trolley per circa un chilometro fino ad un piccolo hotel molto economico che non mi aveva risposto al telefono, giunti all’entrata in effetti scoprimmo che era fallito. Sognavo l’alternativa al futuro salasso. Il mio calvario e quello del facchino Salvo proseguì ancora per venti minuti finchè decidemmo per una pizzeria dove cenammo raccontandoci gli ultimi cinque anni di vita. Pagarono per me la cena e il taxista che mi accompagnò all’ hotel, un gesto encomiabile oltre a quello di aver scarrozzato a mano il mio bagaglio per il centro storico lastricato di sampietrini che avrebbero schiantato le spalle di chiunque. Per la cifra di 110 euro mi ritrovai in una suite con sei posti letto che dava su una vista eccezionale: il Luna Park. Fortuna che mi ero raccomandata: stanza no fumatori e silenziosa. Alle 23 dovevo ancora fare la doccia, riposare, puntare la sveglia per le 8.00 della mattina successiva, alle 10 checkout dopo colazione. Approfittando della vasca in bagno preparai un bel bagno rilassante ma, non essendoci i rubinetti, sfruttai al massimo il microfono della doccia mentre preparavo il corredo per la notte. Ad un certo punto mi venne un tragico dubbio e mi fiondai nella toilette: allagata. Il getto d’acqua, fuoriuscito dal bordo vasca, continuava la sua folle corsa all’esterno ma c’erano un sacco di teli calcolati su sei ospiti così asciugai in mezz’ora pavimento e sanitari per poi rantolare in acqua stanchissima. Prima di infilare la giusta via alla volta della sala colazioni mi persi nell’ascensore che non dava retta; chiamato da chiunque a qualsiasi piano feci il tour del palazzo prima di decidere di scendere al settimo piano e a piedi giungere al primo. Rientrando in camera per prendere i bagagli non funzionava il badge d’accesso ma la fortuna premia gli audaci e dopo un quarto d’ora avevo convinto le addette alle pulizie che la n. 778 in effetti era la mia. Mi aprirono. Visto com’era iniziata la giornata mi rassegnai a continuare ad armarmi di pazienza, ma tanta. E pensare che stavo chiedendo loro di poter spostare il check out di mezz’ora prendendomela comoda! Sono un tutt’uno con la sfiga, perdonatemi! “Fare presto”! Frase per me in disuso ma ora più che mai da ripristinare mentre noto un cartello a caratteri cubitali appeso alla reception: “Enjoyyour stay” ovvero “ Goditi la permanenza”. Per una volta che avevo acquistato in anticipo il biglietto a tariffa scontata avevo: sbagliato treno, pagato una notte in più in hotel, rallentato un viaggio già allungato dalle bombe d’acqua piovute. Altro che fuochi d’artificio! Erano tuoni, lampi e acqua a catinelle che avevano provocato alluvioni proprio quella notte tra Napoli e Salerno per cui avevo dormito poco e male. Però che potere questi Santi! Avevo appena abbandonato questa situazione in Emilia Romagna sperando di godermi il sole! Credo che quelle ore siano ancora oggi il mio incubo peggiore, vista la confermata inclinazione della sottoscritta a non abbandonare il letto prima delle 10, tra l’altro. Mi recai in stazione convinta che valesse ancora il biglietto del giorno prima ma fui fermata dalle guardie che m’impedirono l’accesso ai binari. Come prima cosa fui spedita in biglietteria a convalidare il mio pass con una fila di quindici persone. Quando, ancora rincoglionita dal sonno perso, dissi loro che avrei perso il treno delle 11 mi tranquillizzarono spiegandomi che, causa i recenti nubifragi, il primo convoglio disponibile sarebbe partito, forse alle 13.30. Osto! Intanto mi stavo rendendo conto che questo viaggio calvario in Italia sarebbe stato alla stregua di una traversata transoceanica anzi, decisi proprio in quell’occasione, se fossi arrivata dai miei parenti sana e salva, che avrei tranquillamente ripreso le peregrinazioni in Sud America e in Oriente. Raggiunsi l’Hotel Riviera Bleu il pomeriggio successivo alle ore 17 con un regionale che non saltò una fermata, secondo me ne aveva inventate di nuove lungo la via perché erano nomi di paesi a me sconosciuti in 56 anni. A non rischiare che mi adagiassi rilassandomi ci pensò il controllore che, in corsa, mi fece notare come in biglietteria a Salerno avessero sbagliato la data di convalida del mio pass posticipandola al giorno dopo. Sarà stata la sua stanchezza ad ascoltare il mio lungo racconto da quando ero partita, “solo” 24 ore prima, o la faccia esaurita con cui lo guardavo, fatto sta che mi ammutolì con un “ tutto a posto”. Quando riuscìì a salutare i miei cari mi rivolsi a mio cugino dicendogli: “ Da qui non mi sposto, non chiedetemi quando andrò via! Preparatevi a sopportarmi”. Avevo inizialmente pensato di trascorrere quattro notti, diventarono otto prima di trovare il coraggio per acquistare la via del ritorno partendo dalla città di Paola: un’ora di regionale da Diamante, due in trepida attesa di sicuri ritardi, cinque ore e mezza fino a Bologna che, come dubitarne, scalarono la vetta delle sette e mezza. Rientro della speranza pagato la modica cifra di 120 euro………..ma questa è la libertà! La sera in cui sbarcai al magico ritrovo del mio amatissimo nucleo famigliare, sistemati i vestiti e le rotelle del trolley rese fuoriasse dai sampietrini, con i benefici di una lunghissima doccia e una rifocillata a base di pesce, iniziai la perlustrazione del paesino. Il tempo di percorrenza, se non ci si fermasse ad ammirare i murales, i negozietti e i paesaggi, sarebbe stimato in mezz’ora. A me ogni volta ne servono almeno tre ma quella prima passeggiata aveva il sapore di una caccia al tesoro perché dovevo scoprire dove abitava il mio vecchio amico avvocato, a cui non riuscivo a risalire tramite Google, e dove fosse ubicato il piccolissimo polo sanitario a cui domandare per il mio eventuale trasferimento. Al primo calabrese che incontrai sul lungomare, così a caso, chiesi le informazioni e lui mi fece da guida accompagnandomi sotto il portone del mio compagno di merende e davanti al Comune: avrei dovuto parlare con il vicesindaco. Ovvio arrivarci, facilissimo! Rientrai sconcertata in camera. Ci avrei pensato il giorno dopo, per oggi avevo dato. La mattina seguente, venerdì, dopo aver visitato prima di tutto il bagno del comune per vestirmi causa aria condizionata, mi avviai in portineria presentandomi, chiedendo di incontrare il vicesindaco con la naturalezza con cui chiedo un paio di mutande al mercato. L’impiegata al ricevimento mi rimandò direttamente al lunedì successivo in quanto il vice sindaco era impegnato in una lunga riunione. Feci dietrofront, tornai in bagno a svestirmi perché la temperatura esterna sfiorava i 32 gradi e uscìì alla volta del fantastico palazzo del compagno d’ infanzia situato nella traversina parallela, come dire…….. casa e bottega. Suonai il campanello come fossi la postina, rispose uno dei quattro figli sfornati in questi anni il quale, per togliersi dai piedi la sottoscritta visto che gli stava narrando i primi diciassette anni di vita del padre in sua compagnia, giustoper farsi riconoscere, sempre al citofono le dettò il numero del padre. Ora torno in me. Digitai con fervida trepidazione i numeretti magici, lui mi rispose, mi riconobbe, gli raccontai le mie peripezie di viaggio, in comune e mi aiutò subito. Intanto il vicesindaco era un suo grande amico d’infanzia che avevo conosciuto anche io, quindi ero in famiglia. Mi disse di tornare immediatamente in comune e spendere il suo nome, dovevo riparlare con la receptionist che mi aveva mandato via spiegandole che sono l’amica di Mauro, compagno d’infanzia mio e del vicesindaco, impossibile non incontrarlo. Come pronunciai il suo nome mi si aprirono le porte del paradiso facendomi accomodare direttamente ai piani alti: l’illustre mi avrebbe ricevuto da lì a poco. Ripassai dal bagno a rivestirmi per l’ennesima volta poi nella sala d’attesa davanti alla finestra che avevo aperto per non congelare. Fui ricevuta come una premier, raccontai la mia storia di ravennate mezzosangue giramondo, impiegata all’Ausl ma desiderosa di vivere e lavorare nella patria di mio padre che sentivo mia. Lui chiamò la sua collega avvocatessa, mi fecero mille domande e saltò fuori la mia squattrinata carriera da scrittrice che andarono a verificare sui social. Le alluvioni in Emilia Romagna hanno reso gli abitanti “possibili esodati”, praticamente adesso i terroni siamo noi che chiediamo di trasferirci al sud. Andai via saltando dalla felicità, esterrefatta dopo un’ora con la promessa da parte loro che avrebbero provveduto a cercare in Calabria un posto per me. Al numero diretto del cellulare del vicesindaco inviai immediatamente il mio curriculum vitae e artistico ma…….dovevo ringraziare Mauro e scelsi un vocale su Whattsapp per non disturbarlo ulteriormente! Il suo nome sembrava una parola d’ordine, appena la pronunciavo accadevano i miracoli, sarebbe servita per essere invitata nelle trasmissioni di Luciana Litizzetto? A lei avevo inviato i miei primi scritti, li aveva pubblicati sul suo blog incoraggiandomi a continuare a scrivere ma non l’ho mai conosciuta di persona. Nel dubbio feci capolino nel golosissimo ristorante del Riviera Bleu e affogai le mie incredibili emozioni tra spaghetti alle vongole e gelato alla crema. Perché ogni mio più semplice spostamento da Ravenna si trasforma inevitabilmente in una Pechino Express? E meno male che non ho nessuno appresso altrimenti a quest’età sarei rimasta oltretutto senza amici. Calata nei panni della lavoratrice calabrese residente mi sono adoperata, tramite un’agenzia immobiliare, per visitare un graziosissimo appartamentino completamente ristrutturato con due camere da letto, basso il prezzo richiesto: 70.000 euro. Mai come qui mi ero spinta tanto oltre analizzando la concreta possibilità di viverci.
Avventurandomi tra le viuzze del centro storico ammiravo i murales che trattano temi di tutti i generi: razzismo, maternità,pace, ambiente, ecologia. E’ alquanto limitativo il riassunto poichè vanno vissuti sul posto per gli stati d’animo che smuovono. Molti sono dedicati ai pescatori del luogo nelle varie fasi del loro lavoro, impiegati per ravvivare perfino gli scalini delle casine più vecchie sono presenti veri e propri inni alla vita, ai motivi che spingono a dimorare tutto l’anno in un piccolo centro vivo solo d’estate. Questi ultimi si identificano nella pace, nella quiete, nell’ ammirazione, nell’amore per il contesto naturalistico, per il mare e gli stupendi tramonti che non conoscono stagioni. Mi imbatto in una simpatica coppia di Scalea, cittadina distante circa 15 chilometri, stranamente non aveva mai visitato Diamante. Io, Cicerone per un giorno, ho mostrato loro gli angoli più reconditi indicando un ristorantino dove pranzare. I signori hanno un bed & breakfast e un appartamentino, altra possibilità nel caso avessi bisogno di un rifugio in quella zona. Ci siamo congedati dopo un’ora di amichevole conversazione, salvati i nostri contatti telefonici reciproci. La sera seguente trovai un vicolo sbarrato dalla presenza di un folto gruppo di persone fuori da un localino, riconobbi diversi accenti, provenivano sicuramente da tutto lo stivale. Allegrotti facevano capolino attorno a una ragazza bendata seduta al centro del passaggio pubblico, a turno le sussurravano qualcosa nell’orecchio. Incuriosita iniziai a chiedere delucidazioni a un ragazzo sul motivo di quel gesto, mi spiegò che era il compleanno della giovane e ogni partecipante alla festa le donava una frase personale riservandola solo a lei. Si trattava dell’incontro di iscritti ad un gruppo avente come obiettivo il benessere psico fisico, provenienti da tutta Italia scelgono ogni mese un punto di ritrovo, da Nord a Sud, in modo che ognuno possa partecipare senza percorrere sempre lunghe distanze. “L’adepto “ con cui parlavo era romagnolo come me, Lucio di Forlì, faceva parte della squadra anche un signore di Ravenna che adocchiò in mezzo alla banda per presentarmelo. Appena lo vidi mi venne un colpo! Si trattava di Sebastiano, lo ricordavo bene perché ben 37 anni prima la mia migliore amica di allora, Nadia, innamorata pazza di lui, mi aveva trascinato in un villaggio turistico a Porto Ainu in Sardegna sulle sue orme. Bellissimo, alto, moro, insegnava tennis in un contesto stupendo, la sera a faceva l’animatore assieme ad un ancora sconosciuto Giobbe Covatta. Con quella vacanza mi giocai il bonus regalo per il conseguimento del diploma della maturità magistrale ma andò bene: io mi divertìì moltissimo mentre la mia compagna non fu minimamente calcolata dal fustone. Le sue mire navigavano ben oltre tra bionde spumeggianti e moraccione provocanti mentre lei pesava circa quaranta chili, esile con i denti in fuori, le gambette storte, gli occhialoni spessi, imbronciata per l’occasione tutta la settimana. Durante l’inverno indossava sempre una pelliccia ecologica color giallo chiaro per cui la chiamavano “Pulcino”. Quando, ora a Diamante, gli ricordai la situazione del nostro precedente incontro, riaffiorarono malinconici anche i ricordi dei nostri padri, colleghi di lavoro, entrambi morti giovani in seguito ai gas respirati in quel maledetto polo chimico di Ravenna. Nemmeno un vago ricordo di Nadia. Salutai e aprii una breccia tra tutti riuscendo a fuggire per continuare la mia passeggiata ormai verso l’albergo, vista l’ora. Era una serata freschina di fine settembre, io sempre freddolosa indossavo berretta e piumino neri mentre i diamantesi erano in mezze maniche anche a mezzanotte. Devo aver spaventato sul lungomare una vecchietta in canottiera che procedeva verso di me perché bruscamente, mentre si avvicinava, fece dietrofront. Avrà poi pensato che forse forse non le avrei fatto del male perché cambiò idea ed tornò sui suoi passi. Non era la prima volta che incutevo timore con i miei look: o sono vestita di nero e la notte posso essere male interpretata se cammino da sola con passo deciso, o allontano perché talvolta, specie all’estero, con le mise antistupro sembro proprio una zingara.
Il souvenir che và per la maggiore è la calamita, incontro sempre qualcuno a Ravenna che, prima di partire, me ne chiede una del luogo che visiterò per la sua collezione, io sono inclusa nella lista. Anche questa volta non mi sarei potuta esimere dall’incombenza perché la persona che l’avrebbe ricevuta sarebbe stata l’attuale colf: bravissima e preziosissima. Finchè sei sul campo non ne apprezzi l’importanza in quanto le vedi ovunque. E’ quando a casa la tiri fuori dalla magica bustina e l’attacchi al frigorifero che il magnete assume un valore completamente diverso. Rappresenta il trofeo dell’avventura appena conclusa, realizzi che sei tornato, che quelle calamite non accompagneranno più le tue gite, ormai ti eri abituato a dare un’occhiata a quei muri colorati tappezzati di targhette di ogni forma. Affiora prepotentemente dentro me un senso di tristezza, il ricordo del viaggio sarà eternamente legato a quel pezzetto di ceramica o plastica spesso con l’etichetta “ Made in China” che tu stacchi immediatamente già nel negozio. Te ne resta una sola, non romperla, sarebbe come spezzare il ricordo della spensierata felicità.
La differenza tra questa regione e i Caraibi è data dalla presenza costante, preponderante, massiccia dei fichi d’india. Scatto fotografie in cui sono sicura di immortalare solo lo splendido paesaggio poi torno a selezionarle e ovunque compaiono sempre loro. Sembra che nell’istante in cui scatto si spostino quatti quatti per rubare la scena alle turchesi, limpide acque. Forse è un uomo travestito per cui è Carnevale tutto l’anno. Magari, con le loro spine e i loro testoni, devono rovinare la scena ai furbetti che accanto alle immagini scrivono di essere in Thailandia, ad Antigua, a Cuba, invece si trovano “solamente” a Diamante, in Italy. Tornai a casa rilassata, come se avessi compiuto una missione ma convinta del fatto che anche questa volta la Romagna è casa mia. Non bastano le nuove avventure, le conoscenze, gli affreschi a depistare il ricordo di papà Pierino Il Calabrese a cui finalmente mi sono riavvicinata nella sua terra natia e qui lo ritrovo come quando venivamo assieme in inverno. Mia madre Lucia, maestra elementare, non aveva le ferie, mia sorella Silvia preferiva il suo letto e io seguivo babbo che mi iniziava all’amore per l’ignoto con la curiosità di un bambino. Dal suo carattere aperto, gioioso, generoso io comprendevo i valori che mi accompagnano tutt’ora i cui insegnamenti si interruppero prematuramente con la sua scomparsa quando avevo solo 17 anni…….ma sono bastati! Era un tifoso milanista e un giorno, tornando a casa dal lavoro attorno alle ore 17.15, vide il suo idolo Gianni Rivera fare autostop sul ciglio della strada con la macchina in panne. Non gli sembrò vero che potesse trovarsi proprio a Ravenna così si fermò, dopo essersi presentato si offrì di accompagnarlo a Milano non prima di aver affidato l’auto al carroattrezzi. In segno di gratitudine, una volta giunti a destinazione, il giocatore lo ricompensò con la medaglia d’oro della squadra contenente a rilievo lo stemma del Milan; papà la portò dal gioielliere il quale ne confezionò un prezioso ciondolo che indosserà nella catenina regalata per l’occasione da mia madre, anche da parte mia e di Silvia. Solo la morte lo separerà da quel tesoro ora custodito gelosamente da mia sorella. A me è stata affidata l’altra sua medaglia al valore, sempre d’oro, per i 25 anni di servizio.
Mentre ero in vacanza arrivò una mail: terza classificata al Concorso Nazionale di Letteratura Giornalistica “ Hombre Itinerante”, premiazione ad Alatri il 28 ottobre, esattamente dopo un mese. Un regalo dal cielo dei miei genitori. Il giorno prima di partire Zia Stefania mi mostrò un delizioso abitino stile anni ’60 con i cuori, non andava più bene a mia cugina però calzava a pennello a Fiorella, ora è mio: lo indosserò sul palco della premiazione, un ennesimo strabiliante dono dalla mia famiglia.
L’anno dopo vinsi e sempre il primo premio Giornalismo allo stesso concorso “ Hombre Itinerante”, premiazione a Santo Stefano di Sessanio (L’Aquila). Cerimonia in borghi diversi ogni anno. Fu un’impresa arrivare là, sul cucuzzolo della montagna nel Parco Nazionale della Maiella. Pernottai a Pescara giungendo in treno e Manuela, un’altra vincitrice residente in città, mi diede un passaggio in auto fino a destinazione. Diventammo amiche. Il giorno dopo il trionfo mi invitò ad un incontro di scrittori e poeti e il direttore della nuova rivista di Pescara, “Sintassi Urbane”, mi incluse nella lista dei partecipanti. Ancora oggi collaboro. Tornata a casa preparai un comunicato stampa con le foto della premiazione che inoltrai a più riviste sperando che almeno una pubblicasse la notizia. Incredibilmente l’articolo uscì in almeno una decina tra quotidiani, a partire dal “Resto del Carlino”, siti web, riviste di cultura locale, nazionale ed ebbe un’eco inaspettata. Avevo anche inoltrato un secondo comunicato che riguardava, oltre a me, due ravennati vincitrici, una del premio per la silloge poetica (raccolta di poesie), l’altra del primo e secondo premio per la fotografia; non avevano voluto allegare foto personali per cui furono sempre le mie a capeggiare. Due articoli su di noi, gli altri solo su di me!!!!! La viaggiatrice compulsiva che non aveva mai letto un libro e si era diplomata con voto 36 alle scuole private come maestra, bocciata due volte al liceo classico, era collocata tra celebrità ed eventi del giornalismo nazionale. Fantastico!! Ero talmente in fibrillazione che, distratta, sbattevo dappertutto, speravo di calmarmi prima di farmi davvero male. Questo il comunicato con le mie foto. Sapete con quale racconto ho vinto? Proprio con quello che avete appena letto : Al mio paesello acquisito, una perla chiamata Diamante!
La scrittrice ravennate Fiorella Gimigliano, 57 anni, vince il Premio Giornalismo della XIX Edizione del Concorso Nazionale Letterario Hombres Itinerante, rivolto a viaggiatori e non solo. Da sempre il viaggio rappresenta la fuga, il desiderio di scoprire sè stessi, questo non succede alla nostra autrice che nel viaggio cerca invece gli altri, i luoghi che possano appagare la sua sete di curiosità. Da sempre sopra le righe, senza regole, sfida l’infinito affrontando continuamente rischi e avventure pericolose ma spesso comiche, grottesche, uniche, surreali. Quest’anno la premiazione si è tenuta sabato 26 ottobre presso il Comune di Santo Stefano di Sessanio. Lo scorso anno si è piazzata al terzo posto sempre nella stessa categoria. Il suo primo libro: “Infanzia di una viaggiatrice compulsiva, da Topolino a Mister Magoo”. Ha pubblicato a marzo 2022 “Capitomboli di una viaggiatrice compulsiva, distruzioni per l’uso”, prima e seconda posizione su Amazon nella sezione Bestseller in Letteratura di Viaggio il secondo giorno di uscita. Esce ad agosto 2023 il terzo volume: “Acrobatiche evoluzioni di una bizzarra viaggiatrice compulsiva”, già in premiazione. A breve disponibile il quarto: “Premiate avventure di Fio’, compulsiva viaggiatrice “.
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