Il kiwi, o più precisamente l’Actinidia, è ancora un ottimo investimento per la frutticoltura per il 2025. Un frutto che in Europa ha fatto il suo ingresso solo una quarantina di anni fa, ma che in Oriente esiste da sempre.
L’Italia oggi è tra i maggiori produttori mondiali, che peraltro si sono organizzati in un sistema di internazionalizzazione e integrazione delle produzioni frutticole del kiwi notevole. Dunque andrebbe tutto bene, se non fosse per l’odioso cancro batterico. Ma si può provare a combatterlo, soprattutto con la prevenzione.
In Italia da mezzo secolo
Sono passati poco più di cinquanta anni da quando, agli inizi degli anni ’70, si iniziarono a vedere i primi kiwi anche in Italia.
quei tempi l’actinidia venne presentata sul mercato come “frutto dell’amore”, e le sue caratteristiche nutrizionali benefiche (alcuni dicono miracolose!) vennero fatte pagare a peso d’oro.
Il nuovo frutto si vendeva a pezzo: ogni kiwi costava circa mille delle vecchie lire. Non era quindi per tutti.
Superata l’iniziale curiosità, ma anche diffidenza da parte dei consumatori, il kiwi oggi è un grande classico sulle tavole delle famiglie italiane, che ne consumano, all’anno, circa otto chilogrammi ciascuna.
Di questo frutto è apprezzata anche la versatilità: oltre a essere consumato fresco, trova uso nella preparazione di macedonie di frutta e prodotti freschi di quarta gamma, in quanto la polpa non imbrunisce per l’alto contenuto di acido ascorbico che previene l’ossidazione.
Il suo successo tra i consumatori è dovuto anche all’apporto calorico contenuto, alla quantità elevata di potassio, di calcio, di acido ascorbico (vitamina C) e alla presenza di vari microelementi ed enzimi che regolano l’attività digestiva e di assorbimento degli elementi minerali. Per i frutticoltori italiani – al netto di qualche problema di ordine gestionale – il kiwi è stato e continua a essere un ottimo business.
Si presenta cosi
La pianta di Actinidia è una liana rampicante con tralci lunghi che si avvolgono ai rami degli alberi del bosco, oppure, nel caso di piante coltivate, ai fili delle strutture di sostegno. Il meccanismo di attorcigliamento, però, è diverso rispetto a quello della vite, che allo scopo si serve dei viticci.
Nell’Actinidia ci pensa il cosiddetto tropismo tattile: in pratica, la pianta è dotata di una sensibilità biochimica per cui, quando l’apice del germoglio in accrescimento entra in contatto con un ramo o un filo della struttura di sostegno, si curva e lo avvolge.
Non ordinaria è anche la struttura radicale, che è caratterizzata da radici carnose, poco consistenti, che si dispongono nello strato superficiale del terreno e la rendono molto esigente nei confronti della disponibilità di acqua e dei nutrienti nel suolo.
Il potere delle femmine
Per quanto riguarda il sistema riproduttivo, Actinidia è una specie dioica e dunque esistono piante dei due sessi: quelle femminili portano i fiori pistilliferi che danno frutti – sono ben riconoscibili, perché hanno l’ovario decisamente sviluppato – mentre quelle maschili hanno fiori staminiferi, che non danno frutti e servono solo a produrre il polline per la fecondazione dei fiori femminili.
Ne consegue che gli impianti di Actinidia devono essere costituiti per lo più da piante femminili – che danno frutti – e da circa il 10 per cento di piante maschili, che servono come impollinatori.
L’impollinazione avviene a opera del vento e degli insetti pronubi come api e bombi; la fioritura avviene nelle prime settimane di maggio e in questo periodo è buona norma porre 3-4 alveari per ogni ettaro di actinidieto per favorire l’impollinazione.
frutto è una bacca che presenta circa un migliaio di semi inseriti sull’asse centrale del frutto, la columella. Il colore della polpa dipende dalla specie e varia dal verdastro al giallo fino al rossastro, come riscontrato in alcune nuove selezioni allo studio in Cina e Nuova Zelanda.
Come si coltiva
L’impianto e la forma di allevamento dei frutteti di actinidia variano in funzione dell’andamento climatico, del tipo di terreno e della disponibilità idrica.
In merito a quest’ultima, va detto che la struttura delle radici e la forte traspirazione delle foglie, fanno si che il kiwi abbia un enorme fabbisogno di acqua: un ettaro richiede circa 6-7.000 metri cubi di acqua, quindi per produrre un chilo di frutti servono oltre 300 litri di acqua.
Per irrigare il frutteto sono molto diffusi i sistemi a goccia, o microaspersione, cosi come viene effettuata spesso e volentieri la fertirrigazione.
Il terreno di norma non viene lavorato, ma lasciato inerbito; quando l’erba viene falciata viene lasciata sul posto in modo da arricchire il suolo di materia organica e mantenere un buon tenore di fertilità.
Le forme di allevamento sono simili a quelle della vite: nelle regioni dell’Italia Settentrionale viene utilizzato il sistema “T-bar” (una sorta di pergoletta romagnola), mentre al Centro-Sud si usa la forma a “tendone”, che consente ombreggiamento e pertanto limita le scottature dei frutti.
Per la cultivar Hayward, ossia quella maggiormente diffusa, la raccolta avviene quando i frutti hanno un contenuto zuccherino di almeno 6,5° Brix e un tenore in sostanza secca pari a circa il 15per cento.
Nel caso delle altre varietà a polpa gialla, la raccolta avviene sulla base del colore dei frutti e del contenuto zuccherino, che deve essere intorno a 7,5° Brix. La conservazione dei frutti raccolti avviene in normali celle frigorifere a una temperatura di circa 1°C, e può durare fino a 6 mesi dalla raccolta.
Cresce la varietà di varietà
Le piantagioni di Actinidia in Italia, fin dagli anni ’70, erano costituite quasi totalmente dalla sola cultivar neozelandese Hayward, alla quale erano affiancate, con scarsa diffusione le cv. Bruno, Monty, Abbott, Allison, tutte appartenenti alla specie A. deliciosa.
La cv. Hayward si è affermata per la costanza produttiva, la pezzatura dei frutti e soprattutto la buona capacità di conservazione in frigorifero, e tuttora copre circa il 90% della produzione di kiwi. Nell’ultimo decennio, però, grazie alle tecniche di miglioramento genetico, sono state ottenute e brevettate, tramite selezione e incroci naturali, nuovi biotipi sia di A. deliciosa a frutto verde (Green Light, Summerkiwi, BO. ERICA), sia di A. chinensis a frutto con polpa gialla (Jin Gold, Zespri Gold, SORELI).
Il vero flagello è il cancro
Dal punto di vista fitosanitario, la coltura dell’Actinidia fino a poco tempo fa era praticamente esente da attacchi di insetti, funghi e batteri, per cui ci si limitava a trattare solo contro alcuni funghi del legno.
Negli ultimi anni sono comparsi alcuni insetti come le cicaline, le cocciniglie, la mosca della frutta, che però non hanno creato danni evidenti.
I problemi sono iniziati con l’introduzione del kiwi giallo e con l’intensificazione degli scambi commerciali: recentemente si è diffusa una odiosa batteriosi – Pseudomonas syringiae sp. actinidiae (PSA), nota anche come cancro batterico dell’actinidia – che si è messa a fare danni di notevole entità nelle regioni italiane a maggior vocazione per la produzione di kiwi.
Induce infatti la degenerazione del sistema vascolare delle piante, l’emissione di essudati sul tronco e sui tralci e provoca la morte della pianta con evidenti ricadute sul potenziale produttivo e dunque sugli aspetti economici.
I sintomi più evidenti si manifestano in pieno inverno-inizio primavera, a carico del tronco, dei cordoni principali e dei tralci in cui si evidenziano fessurazioni della corteccia e cancri con abbondante produzione di essudato, prima di colore ambrato e in seguito rosso scuro.
Altri sintomi, evidenti soprattutto in primavera, riguardano l’imbrunimento dei fiori e dei boccioli con conseguente cascola, necrosi fogliari di forma irregolare di colore marrone scuro contornate da un alone giallo.
In presenza di PSA, i frutti possono avvizzire e collassare; nei casi meno gravi si ha un deprezzamento della produzione, in quelli più gravi, come si diceva, si può verificare la morte delle piante il che significa commercializzazione uguale a zero.
Combatterlo si può
La parola d’ordine è tempestività: se si riesce fin da subito a contenere l’inoculo eliminando le parti colpite, allora qualche speranza c’è. Altrimenti, una volta che il batterio penetra nelle piante, diventa davvero dura controllarlo.
In pratica, quindi, la lotta si combatte a colpi di prevenzione e dunque utilizzando sistemi di irrigazione diversi da quelli per aspersione sopra chioma, garantendo il drenaggio e l’eliminazione di ristagni idrici, limitando le ferite accidentali, utilizzando attrezzature disinfettate e non transitando con trattori e altri macchinari da impianti infetti ad altri in apparenza sani, eliminando – bruciandolo – il materiale risultato infetto. Inutile dire che, in caso di rinvenimento di sintomi riferibili al batterio, occorre richiedere il sopralluogo del servizio fitosanitario.
Perché kiwi?
La denominazione kiwi deriva dal nome di un piccolo uccello neozelandese con un piumaggio e forma che ricordano questo frutto. Tale “nomignolo”, sta sostituendo il nome botanico di Actinidia.
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