La tutela ambientale è ormai (o dovrebbe essere) uno dei punti immancabili nell’agenda politica di molti paesi, dati i disastri climatici che hanno coinvolto paesi come l’America, la Spagna e alcune regioni italiane come l’Emilia-Romagna.
L’ambiente è ormai riconosciuto come un bene meritevole di tutela (come ha dimostrato la recente modifica dell’articolo 9 della nostra Carta fondamentale) e la giurisprudenza lo ha affermati in più occasioni, condannando gli stati per aver mancato di adottare soluzioni concrete di contrasto all’emergenza climatica.
Ne abbiamo parlato nell’articolo “Vittoria per l’associazione “Anziane per il clima”: la CEDU condanna la Svizzera” dedicato a una pronuncia della Corte EDU del 9 aprile 2024.
In quel caso, l’associazione ricorrente avevano chiesto alla Corte di accertare la violazione da parte della Svizzera del diritto fondamentale alla salute, previsto all’art. 2 della CEDU, e quello alla vita privata e familiare di cui all’art. 8 della convenzione europea, dovuta alla mancata adozione di provvedimenti legislativi e amministrativi volti a contrastare il cambiamento climatico.
Una causa simile è stata intentata in Italia avverso il Governo (“Giudizio universale“). Gli attori – 24 associazioni e 179 individui – avevano convenuto in giudizio lo Stato italiano, chiedendo al giudice ordinario di dichiararlo responsabile ex art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale) per violazione dei diritti fondamentali della persona, come quello alla salute, e anche del diritto a conservare le condizioni di vivibilità delle generazioni future e di condannarlo a adottare tutte le iniziative necessarie a ridurre – entro il 2030 – le emissioni di CO2 del novantadue per cento rispetto agli anni ’90.
Nel caso italiano, tuttavia, il giudice ha dichiarato inammissibile l’azione per difetto di giurisdizione, sollevando non pochi dubbi in merito all’effettività della tutela dei diritti fondamentali come quello alla salute, inevitabilmente compromessi dai disastri climatici.
Se, dunque, nel nostro ordinamento non è ancora possibile chiedere la condanna dello Stato per l’inefficienza nella lotta al cambiamento climatico, i giudici amministrativi, invece, hanno ormai affermato la possibilità di sindacare l’operato della pubblica amministrazione in materia di tutela ambientale.
In particolare, con sentenza n.3945/2024, il Consiglio di Stato-Quarta Sezione è intervenuta in materia di tutela ambientale secondo le indicazioni europee contenute all’interno della Direttiva Habitat.
Nel caso concreto, alcune associazioni ambientaliste avevano censurato il silenzio serbato dall’Amministrazione regionale rispetto a delle richieste di intervento, mediante l’adozione delle misure adeguate, contro per evitare il degrado degli habitat naturali presenti nel SIC/ZSC IT6010024 ossia la zona relativa al bacino del lago di Vico.
Il caso sottoposto all’analisi del Collegio era particolarmente delicato giacché implicava un giudizio su attività discrezionale della P.A.
Ebbene, il Consiglio di Stato ha accertato l’inadempimento dell’amministrazione, confermando la possibilità per cittadini e associazioni di incidere sull’operato della P.A. a tutela di beni fondamentali come l’ambiente.
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