Nella specie, il Tribunale friulano rileva l’infondatezza della questione relativa alla titolarità del credito in capo alla società convenuta. Anzitutto, ripropone la distinzione tra le contestazioni che abbiano a oggetto la prova dell’esistenza del contratto di cessione e quelle che riguardano, per converso, solamente la prova dell’inclusione del credito oggetto della controversia nel novero di quelli oggetto delle operazioni di cessione di crediti in blocco. Ebbene, secondo la Suprema Corte, «in caso di cessione di crediti in blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B., quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete»[1]. Solo nel caso in cui le indicazioni contenute nell’avviso pubblicato in G.U. non facciano desumere con certezza la riconducibilità del credito in esame tra quelli oggetto di cessione sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà necessario fornire la prova della cessione dello specifico credito in altro modo.
Nel caso in cui, invece, sia contestata anche la prova dell’esistenza del contratto di cessione, non è sufficiente la produzione dell’avviso di cessione pubblicato in G.U., ma sarà necessaria la produzione in giudizio di altri elementi che inducano a ritenere esistente il contratto.
Ciò premesso, poiché l’avviso di cessione pubblicato in G.U. contiene elementi idonei a individuare il credito dell’attore tra quelli ceduti in blocco, la sua produzione in giudizio risulta essere idonea e sufficiente al fine dell’assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla convenuta.
Al tempo stesso, il fatto che il contratto di cessione sia stato prodotto in lingua inglese, al contrario di quanto affermato dall’attore, non ne inficia il valore probatorio. Invero, l’allegazione di un documento in lingua straniera, infatti, non costituisce una violazione dell’art. 122 c.p.c., in quanto, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, il principio di obbligatorietà della lingua italiana sancito da tale articolo si riferisce solamente agli atti processuali “in senso stretto” e non invece ai documenti prodotti dalle parti. A tal riguardo, il giudice pordenonese richiama la pronuncia n. 24980/2020 della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, per cui: «La necessità dell’uso della lingua italiana riguarda gli atti processuali in senso stretto e non i documenti offerti dalle parti. Ne consegue che qualora siffatti documenti siano redatti in lingua straniera, il giudice, ai sensi dell’art. 123 cod. proc. civ., ha la facoltà, e non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può farsi a meno allorché le medesime parti siano concordi sul significato delle espressioni contenute nel documento prodotto ovvero esso sia accompagnato da una traduzione che, allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, non sia stata oggetto di specifiche contestazioni della parte avversa».
In questo caso, il documento prodotto in inglese contiene anche la traduzione in italiano di parte del contenuto e, peraltro, nessuna contestazione è stata mossa dall’attore circa la correttezza della stessa.
Da ultimo, l’irraggiungibilità del sito web, cui rimandava l’avviso di cessione per i dati indicativi dei crediti, non è sufficiente a inficiare il valore probatorio degli elementi prodotti dalla società convenuta, anche perché quest’ultima, in sede di comparsa di costituzione e risposta, ha sanato l’irregolarità, provvedendo a indicare l’indirizzo web corretto.
Infine, per quanto riguarda la prova dell’avvenuta iscrizione dell’atto di cessione dei crediti nel Registro delle Imprese, ai sensi dell’art 58 TUB, si evidenzia che la norma in questione dispiega i propri effetti in relazione all’esclusione o meno dell’efficacia liberatoria del pagamento eseguito al cedente, in quanto tale disposizione disciplina quegli adempimenti che producono i medesimi effetti dell’accettazione o della notificazione previsti dall’art. 1264 c.c., i quali, tuttavia, rimangono estranei al perfezionamento della fattispecie traslativa. Posto che nella fattispecie non si discute di pagamenti eseguiti al cedente in luogo del cessionario, la disciplina pubblicitaria richiamata da parte attrice risulta non pertinente.
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 22.06.2023, n. 17944.
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